Il secondo post di oggi è dedicato a Corte
Nera, raccolta di racconti
rigorosamente Noir di Tina
Cacciaglia, Paolo D’Amato, Rocco Papa e Piera Carlomagno ed è la
lettura che vi propongo oggi, in seguito della mia recensione.
Ringrazio la Runa Editrice per la fiducia e vi
invito a leggerla!
Titolo: Corte Nera
Autore: Tina Cacciaglia, Paolo D'Amato, Rocco Papa, Piera Carlomagno.
Editore: Runa
Pagine: 242
Genere: Racconti Noir
Prezzo: € 14,00
Uscita: 2014
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Larghetto San
Pietro a Corte, nel cuore del centro storico di Salerno, è un luogo misterioso
e affascinante in cui sono stati scoperti tutti i vari strati della storia
della città, fino alle fasi di vita più antiche, sette metri sottoterra. Gli
autori della raccolta di racconti “Corte nera” hanno ambientato qui le loro
storie, all’ombra dell’unico ambiente superstite del mirabile palazzo fatto
edificare dal principe Arechi II, all’indomani della caduta del regno
longobardo d’Italia nelle mani dei franchi di Carlo Magno. Quattro autori, quattro storie, un'unica
Corte: uno degli angoli più noir di Salerno! Quattro gialli che attraversano i secoli. Con
“Gemma” di Tina Cacciaglia siamo nell’anno 785, dove un mistero si cela nelle
penombre dei conventi e delle mura, nel pieno della Salerno Longobarda. 1860,
"Trista Provincia ribelle" è il titolo del racconto con cui Paolo
D’Amato fa rivivere i giorni dell’unificazione d’Italia e dell'arrivo di
Garibaldi in città proprio mentre si cerca di tenere nell’oscurità il brutale
omicidio di una giovane cameriera. Rocco Papa, con "Secondo natura",
ricorda l'operazione Avalanche del 1943, lo sbarco degli alleati e la fuga dei
nazisti in una città deserta e semidistrutta, dove si dipanano passioni e
delitti, con la certezza dell'impunità. Infine è il 1990 e lo storico palazzo
Fruscione, parte dell’antica corte, ora di proprietà del Comune, è ancora
abitato da famiglie. Il delitto raccontato da Piera Carlomagno, si consuma in
una notte di “Plenilunio d’estate”.
Corte Nera è un’antologia noir incentrata sull’inserimento
di un filo conduttore molto particolare: Gemma, una giovane ragazza che ricompare volente o
nolente in tutti e quattro i racconti, fungendo da collante e nello stesso
tempo rappresentando l’elemento da cui scaturiscono tutte le riflessioni e l’intenso
coinvolgimento che ne segue.
Quattro
sono le storie e quattro sono gli autori, tutti con il proprio stile e
soprattutto la loro verve storica messa in evidenza da una consistente capacità
descrittiva sia degli ambienti che del tempo stesso in cui sono ambientate le
vicende.
Ho apprezzato
sin da subito l’intelligente narrazione, precisa, chiara, dettagliata, l’argomento
storico attraverso cui si è invitati ad immergersi nelle atmosfere
significative e pregnanti della città di quegli anni: Salerno.
Tutto è
focalizzato sul luogo campano che diventa mistero e segretezza, realtà ed
immaginazione, una visione preziosa e ricca, che affonda le proprie radici nell’antichità
e soprattutto nella leggenda, a metà tra la fede e la divinità.
Nel primo
racconto intitolato Gemma di Tina
Cacciaglia, risalente al 784
d.c. ho potuto con piacere riconoscere lo stile dell’autrice, coinvolgente,
asciutto, che va dritto allo scopo e nonostante questo con quella onnipresente
volontà di raccontare sempre qualcos’altro, di dare voce anche allo spirito, al
mito, a ciò che non può essere razionalmente spiegato. A quello che potrebbe
essere definito magico e divino, a ciò che, in altre parole, non può essere
afferrato ma sentito.
“Vi parrà
strano, principessa, ma quello che di lei seduce è l’estremo candore. Ho letto
nei suoi occhi e vi ho trovato innocenza.”
Amore,
sangue, morte, gelosia e magia si respirano tra le pagine mentre la figura
unificatrice di Gemma nasce proprio tra quelle righe e il suo destino sarà
assolutamente crudele perché il suo essere è percepito come un pericolo, un
rischio, un affronto indicibile rispetto a tutto ciò che è sacro e accettabile.
La sua identità apparentemente è molto vicina a quella di una strega e sarà
proprio l’eco lasciato dalla sua presenza irrisolta, trascinata tra il sangue
ed il candore della sua anima, a tessere la rete nella quale si andranno ad
incastrare anche le parole di Paolo D’Amato, l’autore del secondo racconto, intitolato Trista provincia ribelle, ambientato nel 1860, all’epoca di Garibaldi,
e incentrato ancora una volta su una giovane cameriera morta di nome Gemma. In
questo racconto, rispetto al precedente, ho percepito maggiore propensione per
l’indagine stessa facente parte dello stile dell’autore molto più dedito al
noir vero e proprio. Non c’è visionarietà mistica tipica dello stile della
Cacciaglia, c’è più crudezza, prontezza e volontà di chiudere un cerchio che ha
come monito una morte ancora una volta ingiusta. La ricerca della verità
diventa l’urlo dell’innocente e la condanna dell’indiziato più probabile che si
rivelerà quello più privo di colpa. In un gioco di luci ed ombre anche qui
Salerno è raccontata nella sua antichità, impigliata tra le sue strade cariche
di memoria e appesa ai fili della storia, rivestendo un ruolo di comprimaria,
diventando il contesto più adatto ed apprezzabile per narrare quasi sottovoce
una storia che parla ancora di morte e di nero.
In Secondo Natura
di Rocco Papa, l’atmosfera cambia in modo brusco e sentito.
Siamo nel 1943 e il protagonista non è più un rappresentante della giustizia
che tenta di far luce su strani casi di omicidio ma un ex carcerato che tenta
di indagare sulla morte di Matteo, un amico che gli muore tra le braccia
invocando un unico nome: Gemma. Uno stile preciso, quasi chirurgico da vero
giallo, uno sfondo che ripete la storia, donandoci una pressante ed
indimenticabile fotografia degli anni dell’Avalanche, e la fuga dei nazisti in
concomitanza con lo sbarco degli alleati. La triste e velata Salerno, centro
propulsore di queste storie macchiate di oscurità e rosso sangue, si presenta,
questa volta, in una versione decadente, avvinghiata alle macerie di quel tempo
disastrato e perduto nel quale l’aria pullulava di omicidi irrisolti e di amori
sbagliati, prostitute cangianti e bambini oltraggiati. Mi è piaciuto molto nella sua realtà e
fascino sporco, nella capacità di dare ancora un tocco in più a una serie di
racconti dove sembrava che fosse stato detto già tutto.
“La natura
asseconda se stessa e decide per tutti. Una folata di vento improvviso, un
passaggio di mani inconsapevoli: la tela è spezzata. La preda è libera. Il
ragno è vittima. Secondo natura.”
Tra l’altro
ho adorato questa frase che oltre a rappresentare il senso totalizzante del
pezzo, evoca, a mio parere, molto altro ancora, un’infinita sfilza di significati
applicabili a più aspetti della vita e della realtà.
Infine, in Plenilunio d’estate di Piera
Carlomagno, il cerchio si
chiude e si ripete per l’ultima volta, rinfrancando l’attenzione del lettore,
avvolgendolo ancora una volta in un racconto che ha come protagonista una
giovane ragazza che muore e il suo nome è ovviamente Gemma. Qui la situazione
non sembra affatto facile, è coinvolta la madre ed importanti esponenti introdotti
in un gioco rischioso ed oltraggioso nel quale sono le stesse passioni amorose
ad essere considerate pericolose. Amore e sangue si mescolano e danno vita ad
un breve ed intenso squarcio sulla vita di questi personaggi che ci appaiono
veloci e sfuggenti ma non per questo non marcati. Nella storia di Piera Carlomagno è presente un
odore di malinconia, quasi di abbandono, di sogno pieno di polvere e di addio.
Forse perché è l’ultima storia di questa raccolta che presenta autori di grande
rilievo, capaci di raccontare, ognuno con il proprio stile, un pezzo di Salerno
e della sua magia. Una magia nera, ma non per questo priva di luce nella quale
si mescolano intrighi di corte, omicidi e pozioni magiche. Senza mai tralasciare
l’alone di mistero e di segretezza, quella quiete soltanto apparente che però t’inquieta
perché sussurra cose non dette. Parole negate, spezzate in gola ma anche
desiderate tanto quanto è desiderata la verità, l’unica grande meta alla quale
i viaggi di queste storie aspirano.
Ho sentito
la città sospirare di morte e di vita e l’ho vista più cupa e sinistra di come la conoscevo, ho
intravisto il suo lato storico e pittoresco, la sua atmosfera di luogo che
accoglie i sentimenti e le perversioni. Ho sentito che ha avuto una voce,
quella di chi ha saputo raccontarla, rendendola un’eco di potenza narrativa e
di fascino tenebroso ma caldo.
Ciao Antonietta,una buona critica,la tua,interessante ed esauriente.
RispondiEliminaIl mio giorno nelle librerie è di venerdì,cercherò il libro che tu proponi.
Ciao,fulvio
Grazie mille Fulvio! Spero che il libro ti piacerà!
Elimina“La natura asseconda se stessa e decide per tutti. Una folata di vento improvviso, un passaggio di mani inconsapevoli: la tela è spezzata. La preda è libera. Il ragno è vittima. Secondo natura.” Dici di aver adorato questa frase... io di più! Ho letto il tuo post tutto d'un fiato, così bello, scorrevole ma quando sono arrivata qui, mi sono soffermata più e più volte. Tanto da farmi venire una voglia irrefrenabile di leggere immediatamente il libro e non si sa mai che io abbia trovato il regalo giusto da consigliare a mio marito. Grazie tante per la passione che ci metti e che trasmetti.
RispondiEliminaChe belle parole le tue, cara Romina! Non sai quanto mi fanno felice!
EliminaSono contenta che il libro ti abbia colpito, spero mi farai sapere se lo leggerai! <3
Sembra davvero bello! Prossimo acquisto!
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