Buongiorno! Grazie alla splendida Casa Editrice Gremese, ho avuto la possibilità di leggere L'amore malato di Amelie Cordonnier, giornalista e scrittrice francese che ha scritto una storia che affronta in modo diretto e reale un problema che riguarda tutti noi: la violenza verbale. Un tema a me molto caro.
l'amore malato di Amelie Cordonnier Editore: Gremese Pagine: 172 GENERE: Romanzo Prezzo: 16,00€ Formato: Cartaceo Data d'uscita: 2020 LINK D'ACQUISTO: ❤︎ VOTO: 🌟🌟🌟🌟🌟
Trama:
«La violenza delle parole è meno grave dei pugni solo perché non lascia lividi?»
L’amore malato è l’esordio letterario che ha conquistato e turbato migliaia di lettori francesi.
Per sette anni ha creduto che Aurélien ne fosse finalmente uscito. E poi, senza preavviso, una mattina di settembre, l’incubo ha ripreso vita. Aurélien, che pure sostiene di amarla, ha ricominciato a vomitarle addosso insulti con una violenza inaudita, della quale ha reso spettatori anche i due figli. Caduta l’illusione del cambiamento, da quel giorno lei ha preso l’abitudine di annotare le oscenità e le offese che Aurélien le rivolge, per tenerne traccia e insieme provare a disinnescarle, nella patetica speranza che vadano a incrostarsi nelle note dello smartphone invece che nella sua anima. Ma ora, non è più disposta a sopportare tutto questo.
Restare? Andarsene? Il 3 gennaio compirà quarant’anni, e nel disperato tentativo di aggrapparsi a qualcosa che le dia la forza necessaria, si impone di prendere una decisione proprio entro quella data. Due settimane per ripercorrere i ricordi, le speranze, la disillusione, nell’imminenza di un Natale che a quell’angoscia aggiunge lo stridore delle inevitabili cerimonie familiari. Con una scrittura nervosa e asciutta che mantiene una distanza quasi documentaria dal racconto – a partire dal «tu» usato per la protagonista in luogo della prima persona singolare –, Amélie Cordonnier mette in scena la storia di un amore malato. Una di quelle storie di violenza coniugale che distruggono una donna pur senza lasciarle lividi sulla pelle.
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RECENSIONE
L’amore malato di Amelie Cordonnier è un romanzo che affronta una tematica attuale e dolorosa: la violenza verbale. Ci si chiede sin da subito cosa significhi e l’autrice è estremamente chiara e diretta nell’esporre il suo punto di vista strutturando una storia fatta di frasi brevi, coincise, asciutte, che vanno dritte al punto senza perdersi in inutili racconti.
Così come la violenza verbale di un uomo verso una donna è precisa, forte, offensiva, determinante e disabilitante per certi versi, così il romanzo è scritto per essere compreso su larga scala; non è fatto di preamboli, né di giri di parole, ma di realtà e verità.
La protagonista è una donna, una moglie e una mamma di due bambini, un maschio e una femmina. Il marito è un uomo all’apparenza perfetto che ama i suoi figli e la sua compagna. Tutto sembra procedere nella giusta direzione, il matrimonio è un traguardo voluto da entrambi, così come la crescita dei loro figli, ma ci sono episodi che non possono essere ignorati. Aurelien, all’improvviso, cade in una sorta di trance nella quale insulta pesantemente la moglie, chiamandola con epiteti volgari e impossibili da replicare.
Purtroppo ciò avviene anche davanti ai bambini che, ovviamente, nella loro ottica di fanciulli, prendono le difese della madre, nel senso che riconoscono quell’aggressività del padre come una sorta di cattiveria gratuita. Una malignità senza motivo, senza scopo alcuno, e in qualche modo, pur nel loro ragionamento semplice e infantile, hanno ragione.
Tremendamente ragione. Perché poi, alla fine, ci si rende conto che lei non compie alcun gesto particolare, o non dice nulla di così assurdo che possa giustificare la reazione violenta del marito.
Indi, è chiaro che c’è un problema esorbitante da affrontare: una violenza che non ha una vera e propria giustificazione e che soprattutto non esplode in seguito a una determinata provocazione, bensì è senza alcun motivo. Quindi ancora più difficile da estirpare, da guarire e, concedetemi, anche da capire.
Ciò che subito mi ha colpito è una delle frasi che si trovano nel prologo dove la protagonista ammette che ha sempre fatto delle liste, di qualsiasi cosa facesse parte della sua vita e a un certo punto decide di farla anche delle offese, delle umiliazioni e degli insulti subiti dal marito.
Ecco, una lista. È qualcosa di scioccante, che ha, secondo me, un sotto senso finemente psicologico che probabilmente affonda le proprie radici nella volontà di lei di esorcizzare quella violenza rendendola qualcosa di meccanico, mettendola fuori creando una lista che possa renderla meno cattiva, aggressiva, dolorosa.
Una lista che possa forse anche portare ad accettare determinati comportamenti, scelta ovviamente sbagliata, che però denota la sofferenza della donna che forse vorrebbe inserire quegli insulti in una sorta di codice della moralità senza però riuscirci.
Anche perché fare una lista delle feste da non dimenticare, oppure una lista dei film da non perdere, è un conto, ma stilare una lista delle violenze subite, beh, non so sinceramente a cosa possa portare se non a una sempre più maggiore consapevolezza dell’inadeguatezza dell’uomo che abbiamo accanto.
Gli episodi di violenza non sono continui, ma saltuari. C’è addirittura un lungo periodo in cui Aurelien sembra guarito e lei ne è entusiasta. È doloroso ma anche profondamente commovente leggere come lei ami molto suo marito, e attraverso i suoi ricordi, conosciamo la nascita della loro storia e parte della loro vita insieme. Ma purtroppo tutto questo non basta, perché lentamente, pagina dopo pagina, accresce dentro di noi la tristezza, la delusione, la rabbia per il ripetersi di una serie di comportamenti aberranti che diventano puro terrore nel momento in cui coinvolgono anche due anime innocenti. — La porta sbatte forte come la sua minaccia.
Minacce che si susseguono le une dietro alle altre; minacce che fanno riferimento a una violenza fisica che si attua attraverso una sciabolata di parole mirate a distruggere mente e cuore prima del corpo stesso. – Qualcosa dentro di te, ricomposta male anni fa, è ormai andata distrutta.
Lei che si racconta in seconda persona, all’interno del romanzo, compila liste di oscenità che rappresentano per lei la sua lunga battaglia. Una battaglia per non mollare e per non dimenticare qual è la strada da percorrere. – Fissare le cose per dare consistenza a ciò che si sgretola. Perchè tutto si sgretola, mente, cuore, anima, persino l'uomo che hai sposato, l'uomo in cui credevi l'impossibile, si sta sgretolando davanti a te.
I racconti degli episodi a volte sono minuziosi, altri sembrano lasciare al lettore la possibilità o l’intenzione di cogliere fino in fondo tutte le sfumature; in entrambi i casi si coglie il malessere esistenziale di una donna che si sente misera e infelice come le pietre fino al punto di desiderare che il giorno non torni più.
È impossibile, credetemi, non sentirsi coinvolti, non soffermarsi a riflettere su ciò che è raccontato e chiedersi con assoluta sincerità se capitasse anche a me, cosa farei? Subirei esattamente come fa la protagonista, per amore, per i figli, per rispetto di quella vita che si è scelti di fare insieme? O reagirei mandando tutto al diavolo e riprendendomi la mia vita in mano?
È difficile rispondere perché ciò che senti è solo tanta rabbia e voglia di rivalsa. E ci vuole un grande coraggio a restare impassibili quando l’uomo che ti ha insultato, piange davanti a te, trema, ti chiede scusa promettendoti ogni volta che sarà l’ultima volta. Sai benissimo che si tratta di un disco rotto, ma come spiegare alle persone che non capiscono, che è ancora più doloroso separarsi evitando di morire un po’ dentro? – Il dolore fa battere i denti, lo hai capito quel giorno.
Eppure la protagonista ci riesce; a momenti alterni si allontana dal marito e prova a costruirsi una nuova vita. In fono lo fa sempre con un unico pensiero in testa: l’amore smisurato per i suoi figli, figli che gli ha dato proprio quell’uomo che a volte sembra un mostro. Lei non può cancellare questo legame cattivo e distruttivo, ed è per questo che ogni volta si fa la stessa patetica domanda. Una domanda a cui nessuno saprà mai dare una risposta. – Sei tornata. O rimasta? In fondo non lo sai più.
È più forte chi resta o chi se ne va?
La lucidità per capirlo è un’utopia quando vivi sulla tua pelle questi amori così scarnificati eppure così forti da marchiare per sempre le esistenze. Si arriva al punto che non si sa nemmeno più se ferisce di più la sua violenza o la tua stupidità quando comprendi che l’incubo è destinato a ripetersi.
I bambini che dovrebbero stare fuori da tutto questo, diventano la vera e unica salvezza. Perchè il dolore si livella, ci si abitua al dolore, dopo le lacrime, dopo il frignare, tutto si appiana. – Hai messo il tuo malessere a tracolla, come una borsa. Ma se pensate che questo sia il peggio, scoprirete insieme alla protagonista cosa significa tremare di fronte alla consapevolezza terribile che l’aspetto peggiore della violenza è che puoi ereditarla. Perchè proprio il figlio maschio che lei ha tentato di proteggere in tutti i modi usa la stessa violenza del padre.
L’incubo non solo si ripete ma prende anche strade diverse.
L’amore malato è una storia di ordinaria violenza, è inutile nasconderlo. Soprusi e abusi fatti di parole e di frasi che cuciono offese e insulti senza ragione. Perchè la violenza verbale NON è meno grave nè meno pericolosa delle mani addosso.
Ora resta solo da riflettere su una cosa: quanto una storia come questa, di cui si parla tanto ma forse troppo poco ancora, possa toccare il cuore di tutti, possa, anche solo attraverso una semplice lettura, contribuire a diffondere la consapevolezza che una violenza è una violenza qualunque forma abbia la sua mostruosità.
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