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venerdì 28 marzo 2025

Recensione: GEMITO. LA VITA. L'OPERA di Salvatore Di Giacomo

Buongiorno! Grazie alla collaborazione con la casa editrice Roberto Nicolucci, oggi vi parlo di Gemito. La vita. L'opera di Salvatore Di Giacomo.

GEMITO. LA VITA. L'OPERA

di Salvatore Di Giacomo
Editore: Roberto Nicolucci
Pagine: 260
GENERE: Biografia
Prezzo: 18,00
Formato: eBook - Cartaceo
Data d'uscita: 2023
LINK D'ACQUISTO: ❤︎
VOTO: 🌟🌟🌟🌟

Trama:
«Gemito è un maestro il cui posto è oramai nella storia dell’arte italiana: egli ha spinto la manifestazione della vita fino al suo limite estremo e le ha conferito la forma più squisita e più degna», scriveva Salvatore di Giacomo in una lettera dell’aprile del 1905. Disegnatore e scultore innamorato della pittura del ‘6oo e del Caravaggio, Vincenzo Gemito non è mai stato così attuale…

RECENSIONE

Salvatore Di Giacomo, poeta, giornalista e scrittore napoletano, scrive Gemito. La vita. L'opera, che non è solo una biografia, ma un viaggio dentro l’anima tormentata di uno degli artisti più affascinanti e sofferti dell’Ottocento italiano: Vincenzo Gemito. 

L’autore non si limita a raccontare la vita dello scultore, ma ne scruta la psiche, analizza il suo tormento creativo e il suo rapporto con il mondo circostante, portando alla luce le tensioni tra il genio e la follia, tra il successo e l’isolamento, tra il riconoscimento e il rifiuto delle convenzioni artistiche. 

La vita di Vincenzo Gemito inizia con un abbandono: lasciato alla Ruota degli Esposti dell’Annunziata di Napoli, cresce tra orfanotrofi e vicoli, immerso in un ambiente dove la povertà e l’ingegno si mescolano in una danza continua. Questo elemento biografico è cruciale, non solo per comprendere la sua visione artistica, radicata nella rappresentazione di un’umanità autentica e popolare, ma anche per capire il suo senso di estraneità e il suo bisogno di trovare un’identità al di fuori delle istituzioni e delle accademie. 

Fin da giovane, Gemito dimostra una capacità straordinaria nel modellare la materia, scolpendo figure di una vitalità struggente, impregnate di un realismo che sembra trascendere la scultura stessa per diventare carne, respiro, emozione. Grazie al suo talento precoce, Gemito entra nell’Accademia di Belle Arti e ben presto si distingue per la sua visione innovativa, distante dalle imposizioni accademiche. Il suo Giocatore di carte (1870), una delle prime opere a renderlo celebre, rappresenta un ragazzo intento nel gioco, un’opera che cattura il movimento e la psicologia con un’intensità quasi fotografica. 

Il suo successo si estende ben oltre i confini di Napoli: a Parigi, dove si trasferisce nel 1877, viene accolto con entusiasmo e considerato alla pari di artisti come Rodin. Il suo stile, caratterizzato da una fusione di naturalismo e introspezione psicologica, affascina la critica francese e gli vale commissioni prestigiose. Tuttavia, Parigi è anche il luogo della sua prima grande crisi: lo stress del successo, l’incapacità di conformarsi alle richieste del mercato e la sua natura ipersensibile lo portano a un crollo mentale. 

L’autore analizza il lungo periodo di isolamento di Gemito, ritiratosi a Napoli dopo aver abbandonato le commissioni parigine. La follia, in questo caso, non è solo un incidente di percorso, ma diventa una dimensione esistenziale da cui l’artista non riesce a fuggire. Per anni si chiude in una stanza, perseguitato da visioni, ossessionato dalla perfezione e dalla paura del fallimento. Questo conflitto interiore tra il desiderio di creare e l’angoscia dell’inadeguatezza è raccontato dall'autore con una sensibilità acuta, senza mai cadere nella pietà ma anzi valorizzando la lotta interiore dell’artista come parte integrante del suo processo creativo. 

Ciò che distingue Gemito da molti scultori della sua epoca è la sua capacità di infondere nelle sue opere un’umanità tangibile. Che si tratti di busti di pescatori, di ritratti di uomini illustri o delle celebri figure infantili, ogni sua scultura sembra respirare, vivere di una propria interiorità. Il marmo e il bronzo nelle sue mani si fanno carne, raccontano storie silenziose e potenti. Gemito non cerca la bellezza classica, non idealizza, ma estrae dalla materia un’essenza vitale e inquieta, in cui il dettaglio naturalistico non è mai fine a se stesso, ma un mezzo per rivelare l’anima del soggetto. 

Napoli è la sua culla e la sua prigione. Se da un lato la città gli offre ispirazione continua – con i suoi volti segnati, la sua teatralità naturale, il suo spirito vivace – dall’altro è anche il luogo del suo isolamento, della sua alienazione. L'autore descrive con grande rispetto il legame tra Gemito e la città, sottolineando come la sua arte sia intrinsecamente napoletana, ma mai folkloristica. I suoi bambini non sono stereotipi da cartolina, i suoi pescatori non sono caricature: sono esseri umani, con le loro gioie e i loro dolori, colti in un attimo di verità assoluta. 

Gemito. La vita, l’opera è un libro da leggere non solo per chi vuole approfondire la figura di Vincenzo Gemito, ma per chiunque sia affascinato dalla complessa relazione tra arte e sofferenza, tra genio e malattia. La scrittura dell’autore sempre elegante e ricca di sfumature, ci guida attraverso la vita di questo artista straordinario con uno sguardo che è al tempo stesso affettuoso e analitico. Il libro non è solo una celebrazione di un grande scultore, ma una riflessione sulla condizione dell’artista in senso universale: sulla sua solitudine, sulle sue lotte interiori, sulla necessità di creare anche a costo della propria salute mentale.

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