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lunedì 5 agosto 2024

Recensioni: IL BIRD HOTEL di Joyce Maynard

Buongiorno! Grazie alla collaborazione con la casa editrice NNeditore, oggi vi parlo di Il Bird Hotel di Joyce Maynard.

Il bird hotel

di Joyce Maynard
Editore: NNeditore
Pagine: 464
GENERE: Narrativa straniera
Prezzo: 9,99€ - 21,00
Formato: eBook - Cartaceo
Data d'uscita: 2024
LINK D'ACQUISTO: ❤︎
VOTO: 🌟🌟🌟🌟 

Trama:
Irene è sola al mondo: da piccola ha cambiato nome, dopo che la madre è rimasta vittima di una bomba innescata dal gruppo di attivisti che frequentava; poi, artista emergente a San Francisco, ha perso marito e figlio in un incidente fatale. Senza più stimoli né prospettive, arriva quasi per caso in Centroamerica, in un villaggio affacciato su un lago ai piedi di un vulcano. Qui trova alloggio a La Llorona, l’albergo meraviglioso e decadente di Leila, una donna che come lei ha alle spalle un passato complicato. Irene non sa raccontare di sé, non lo ha mai fatto: la paura che la sua vera identità venga scoperta e il dolore per il doppio lutto subìto la paralizzano. Così, ogni sera Leila la distrae con le storie degli ospiti che negli anni sono passati di lì. Grazie a lei, Irene riscopre interesse per la vita e ricomincia persino a disegnare. Finché Leila all’improvviso le lascia in eredità l’albergo, a patto di restaurarlo completamente: anno dopo anno, Irene ricostruisce anche se stessa, trovando in Tom l’amore inaspettato che sembra scritto nel suo destino. Il "Bird Hotel" è la storia romantica di una donna in fuga da tutto, che trova la forza di non arrendersi e continuare a sognare. Come in "L’albero della nostra vita", Joyce Maynard intreccia cultura pop e storia americana, e celebra il potere salvifico della natura e dell’arte, semi da cui può germogliare la speranza anche nei momenti più cupi.

RECENSIONE

Il Bird Hotel di Joyce Maynard è un romanzo coinvolgente, che racconta la storia di una donna di nome Irene, che subisce tragedie indicibili nella sua vita, due eventi che le sconvolgono completamente l’esistenza. 

Da piccola si chiamava Jean e viveva con sua madre, una donna bella e sensuale, che però non riusciva mai a stare ferma. Non riusciva a tenersi un uomo e si spostava continuamente ricercando forme d’affetto ovunque e lasciando sua figlia nella più assoluta solitudine. Nonostante ciò, Jean è molto legata a sua madre a tal punto che quando perde la vita, non sa più cosa fare. Cambia nome e scappa via insieme alla nonna, l’unica persona che le è rimasta poiché suo padre non l’ha mai voluta vedere e non si è interessato a lei. 

Jean diventa Irene e continua a combattere ogni giorno contro il fantasma della scomparsa della madre. Non riesce a riprendersi, il dolore è troppo forte e sembra annientarla. Quando incontra Lenny tutto cambia. È un uomo gentile, che sa prendersi cura di lei, è ottimista e non la lascia mai. Irene è irrequieta, proprio come la madre, ha bisogno dei suoi spazi e continua a coltivare la sua passione che è quella di diventare illustratrice. È un uomo che ha una grande famiglia alle spalle, di cui lei potrebbe davvero fidarsi, e anche dopo la nascita del loro primo figlio, Irene non riesce a raccontargli tutta la verità sul suo passato. 

Oltre al dolore che continua a corroderla dall’interno, c’è anche la consapevolezza che non può rivelare i suoi segreti avendo fatto una promessa in punto di morte alla nonna sul non rivelare mai chi fosse. Lenny continua ad amarla nonostante tutto e lei continua a mentirgli perché crede di non poter fare altrimenti. 
Finché… un brutto giorno, Lenny e suo figlio le vengono strappati via a causa di un incidente. 

Irene piomba nella più assoluta disperazione. Adesso è davvero sola e non ha più nessun appiglio a cui aggrapparsi. L’unica soluzione le sembra quella di farla finita. È così che inizia il romanzo. Irene vuole mettere un punto alla sua esistenza. Vuole scendere dal palcoscenico e assistere mentre il telone viene tirato giù. Vuole che il teatro della vita smetta di parlare, che non ci sia più un suono nella sua testa, che piombi nel buio e si senta soltanto l’eco della fine. Quella vera, quella che mette a zittire tutte le emozioni. 

Eppure qualcosa, una forza sconosciuta, la trascina altrove, in America centrale, ai piedi di un vulcano, dove si trova il Bird Hotel. Una struttura fatiscente, degradata, devastata dal tempo e dall’incuria gestita da una donna matura che ha anche lei un passato poco felice e che affronta il suo presente dopo aver raggiunto finalmente una calma a cui si arriva dopo aver decodificato e metabolizzato le peggiori esperienze. 

Leila è fatalista, crede che ormai tutto sia già scritto, la sua tranquillità è straziante e in qualche momento mi è sembrato di vedere ciò che Irene sarebbe potuta diventare in un futuro prossimo. Il loro rapporto è all’inizio pacato e basato sul semplice scambio di opinioni, ma poi il legame si fa sempre più stretto, al punto che Irene comincia a pensare a come ristrutturare l’albergo mentre Leila ad allontanarsene, lasciando all’altra la gestione. 

Il Bird hotel è un luogo-non luogo che ha le fattezze di una struttura di cemento piena di polvere e di crepe che segnano quasi un passaggio a miglior vita, eppure l’hotel che sembra sul punto di cadere, in realtà, non cade mai. Un po’ come dovrebbe fare anche Irene. Il dolore che prova è sempre lì e accanirsi contro quel dolore per farlo andare via o scappare per non sentirlo più, si rivelano due scelte fallimentari che lei proverà direttamente sulla sua pelle. Soltanto il Bird hotel, la voglia di farlo rivivere e l’incontro con le diverse personalità che popolano questo strano luogo, la riporteranno a credere nuovamente nella vita. 

La sua passione per l'arte riuscirà a trasformare quelle emozioni negative in una voglia di ricostruire qualcosa di esterno che poi, in modo del tutto inaspettato, grazie alla natura del luogo e alla sua totale assenza di contaminazione moderna, metterà radice anche nell'interiorità di Irene, permettendole di fare pace con se stessa e di aprirsi di nuovo all'amore dopo il perdono.

L’hotel non è solo un luogo, ma è fatto di carne e ossa. È un entità, un protagonista che parla attraverso la voce spezzata di tutti i personaggi. È come una fase che tutti dobbiamo passare, è inutile che ci nascondiamo, se vogliamo superare il dolore, e provare una nuova forza dentro di noi. Irene è tragicamente vera, reale, a tal punto che la sua sofferenza sanguina. E deve farlo, altrimenti la ferita non si pulisce e non può guarire. 

Leggere questo libro dalla prosa elegante, intensa, sentita, con parole scelte con cura che rimandano a mondi reali ma anche a dimensioni interiori che spesso mi hanno fatto tremare per la loro profondità, è stata un’esperienza che non dimenticherò. 

Ho sempre creduto che i luoghi più distrutti, abbandonati, sul punto di crollare, fossero quelli che avessero di più da dire perché è attraverso di essi che il tempo ci parla, che la vita si evolve e quelle crepe, quelle pareti scrostate, quella muffa, quelle rovine, non sono testimoni di paure e angosce perché si è perso qualcosa che non tornerà più, ma sono segnali di vittorie mai pronunciate ad alta voce, mai gridate, ostentate, bensì sussurrate nel silenzio dell’eternità. 

Leggere Joyce Maynard è essere trasportati in un mondo fatto di foreste, di grida di aiuto che arrivano da gole chiuse, da occhi bendati, da anime spezzate che fanno fatica a essere visibili. 
Questo romanzo è per tutte quelle persone abbandonate, tristi, emarginate, che pensano che la solitudine sia una condanna che qualcuno ci ha imposto. In realtà è solo il primo passo verso quella che si chiama rinascita. 
Per rialzarsi bisogna cadere, no? 
E Joyce Maynard ci mostra come sia possibile farlo anche dal fondo più devastato. 

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