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venerdì 11 settembre 2015

Visions di Hanker L. D. Crimson Recensione

Buon venerdì cari lettori! Prima del weekend vi lascio con un’altra recensione di un romanzo di cui mi avevano incuriosito diverse cose ed è per questo che avevo deciso di leggerlo, sotto invito dell’autore. Visions di Hanker L. D. Crimson, scrittore rigorosamente italiano che usa questo pseudonimo, è un romanzo horror in cui si fondano incubi e sogni, realtà e fantasia. Il mio giudizio non è stato positivo, nonostante l’interesse iniziale. Vi spiego perché!


Autore: Hanker L. D. Crimson
Titolo: Visions
Editore: Selfpublishing
Pagine: -
Genere: Romanzo Horror
Prezzo: € -
Ebook: € 2,99
Uscita: 2015
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Un uomo ucciso in modo orribile. Il pollice che sembra nascondere un'indizio. O forse preservarlo con maggior cura. Poche frammentarie tracce che si disperdono nella neve. L'uomo aveva accolto nella sua capanna poche ore prima un ragazzo disperso nella tormenta... Da qui inizia una serie di indagini che condurranno l'investigatore Lewis Crave a confrontarsi non solo con uno spietato assassino ma con le sue paure più profonde. In un continuo alternarsi di visioni che gli riportano alla mente ciò che aveva cercato di dimenticare anni prima. Attraverso spazi temporali dissonanti che sembrano incrociarsi progressivamente in un'America gelida e distante, assopita nel torpore della neve.





“Alle mie silenti inconsapevoli muse… Cremisi…”

Questa è una delle frasi che si trovano all’inizio del libro e che introducono, in qualche modo, alla lettura di questo mondo altamente visionario e altresì immaginario.
Una frase che mi ha colpito subito e mi ha spinto ad accettare la richiesta da parte dell’autore di leggerlo.

Non nascondo che nella scelta della lettura di un testo, possono essere tanti gli elementi che m’inducono a farlo mio, dalla cover al titolo, passando per la trama oppure leggendo una semplice frase, proprio come quella. Chi mi conosce sa quanto ami le storie nelle quali si mescolano sogni e realtà, incubi e visioni al limite della razionalità, della logica, per sfociare nell’horror più inquietante, purchè sia altamente percepibile, cosa che non è avvenuta in questo caso.

L’autore, che si presenta con uno pseudonimo straniero, quale Hanker Crimson, costruisce una storia che si basa sul continuo alternarsi tra realtà e fantasia. Ma una fantasia piuttosto nera, macabra, perversa perché il protagonista è un ispettore di polizia di nome Lewis (Dex) Crave, alle prese con cadaveri che sembrano divorati da esseri animali e fantasmi che arrivano dalla più profonde cavità infernali.
Immediatamente si percepisce uno strano piglio confusionario nell’esposizione delle vicende, perché, ammesso e non concesso, che l’autore voglia creare proprio questo, cioè confusione, in realtà tu continui a leggere nella speranza che qualcosa lentamente possa chiarirsi, e nel mio caso l’illuminazione è avvenuta soltanto per metà, oltretutto facilmente intuibile fin dall’inizio.
Hanker Crimson vorrebbe in qualche modo coinvolgere il lettore in un tremendo e tremolante universo pullulante di scene immaginarie che trasudano sangue e terrore, vorrebbe che il lettore non se ne facesse una ragione e fosse soltanto colto da un’insanabile voglia di proseguire per scoprire. Vorrebbe catturarlo e fonderlo con la stessa sua follia narrativa, presentando una storia che è davvero faticoso seguire soprattutto per i continui cambi di scena, per i personaggi che invadono il palcoscenico narrativo e ancor di più per la costante presenza proprio dell’autore che interviene continuamente nella storia e dialoga con i personaggi.
Le sue intromissioni e i suoi scambi di battute con i protagonisti sono incentrati sull’andamento della storia stessa, su come proseguirà ed in particolare su come finirà. Una presenza non eccessivamente disturbante ma che a mio parere, ha contribuito a rendere ancora più inconcludente il tutto.

Elemento non trascurabile: Dex è il diminutivo di Deceptive che significa illusorio, ingannevole, menzognero.
Cosa vi fa pensare questo?
A me ha fatto subito immaginare, già dalle prime pagine, che ci fosse qualcosa che non andasse nel protagonista, la cui mente è continuamente preda impazzita di visioni e di illusioni della più orrenda fattura. La realtà, con le sue morti ed il suo sangue, si contrappone a momenti di vera introspezione psicologica, di alti e bassi che sovrastano la logica a dismisura e che s’impongono semplicemente come momenti di film horror che lasciano il tempo che trovano. Dex sembra essere un bravo poliziotto, almeno all’inizio. Sembra avere un suo intuito, una sua professionalità, quel fiuto che lo fa apparire un uomo rispettabile e razionale.

“Eppure c’era (come si potrebbe definire?) qualcosa di strano in quegli occhi. Secondo alcuni (non ricordava dove ma l’aveva letto… o almeno così gli sembrava) negli occhi di chi sta per essere ucciso si stampava, come in una fotografia, l’immagine dell’assassino. Era evidentemente uno stereotipo, una falsa credenza, un’insulsa superstizione. O qualcosa di molto simile. E la sua parte razionale lo sapeva benissimo.”

Poi, da un momento all’altro, iniziano una serie di descrizioni torbide e sconclusionate che dovrebbero portarti a pensare che c’è un avvallamento, una collisione evidente tra ciò che Dex vive realmente e ciò che si porta dentro e infatti alla fine ci arrivi pure, ma piuttosto frastornata e anche, nel mio caso, delusa.

In altre parole, non mi è piaciuto il modo in cui l’autore ha deciso di raccontare questa storia che è abbastanza complicata e che secondo me, andava realizzata molto meglio.
Eppure le capacità descrittive ci sono tutte. Ho apprezzato momenti in cui la narrazione abbracciava la calma e la pacatezza, la sinuosità di una scenografia esterna, capace di usare metafore e raffigurazioni, abili nel rendere l’idea di ciò che si stava raccontando. Lo stesso per le scene più sanguinarie, orrende, tragicamente prolifiche nella loro macabra voluttà. Scene da vero film dell’horror. Parole messe al posto giusto, frasi in grado di inquietare, di lasciare sospesi, così come era giusto in quel momento. Ed era proprio in quegli attimi che la mia voglia di lettura si esaltava e allora volevo capire, volevo andare avanti, volevo squarciare il velo d’illusione che avvolgeva la vita di Dex e della sua mente, preda di chissà quale misterioso male. Ma poi tornavano i momenti inzuppati di confusione, di parole che sembravano messe a caso, una dietro l’altra, spinte meccanicamente come un carro funebre capace di portare soltanto morte, senza alcuna spiegazione. Perché è così che ho avvertito alcuni momenti narrativi: semplicemente come insani e sterili racconti di cadaveri, di corpi squartati, di brandelli di carne svolazzanti, senza capo né coda.
Non mi hanno coinvolto più di tanto come invece è accaduto in altri piccoli e rari casi.
Alcune frasi come questa, mi hanno sedotto a continuare la lettura…

“Il globo infuocato all’orizzonte stava sparendo lentamente lasciando il posto alle prime stelle della sera. Tremolanti puntini luminosi nella scura distesa del cielo. Lacrime di Dei insoddisfatti.”

Talune immagini sono certamente poetiche e rendono bene l’idea di mistero, segreto, qualcosa di celato che bisbiglia nell’ombra. Una continua lotta tra presenze inafferrabili, non si sa bene se contenute nella mente o nella realtà che tramortisce continuamente Dex.

Una scrittura non sempre scorrevole, che si blocca, impedendo la fluida comprensione del testo. Ho fatto fatica a leggere perché non capivo, perché certe cose si sovrapponevano senza farmi sentire quel coinvolgimento necessario. Frasi come passi pesanti, umidi, appiccicaticci, come colla incapace di farti percepire il respiro ampio e largo della storia.

Mi sono sentita oppressa da riflessioni inconcludenti, pensieri sfuggevoli, distorsioni prive di significato. In alcuni momenti ho pensato di abbandonare la lettura, ma non lo faccio mai. Anche se un libro non mi prende, porto a termine la storia per avere una visione completa e chiara di ciò che mi ha trasmesso.

Ed ora eccomi qui, con la consapevolezza di essere rimasta all’esterno di questo labirinto di illusioni, che mi ha detto davvero poco, troppo poco per potervi riportare ancora qualcosa.
Gli errori non mancano, i pezzi si sfaldano, il quadro generale si sfonda, per un finale che non sono riuscita ad afferrare fino in fondo. Un mio limite? Anche, ci può stare.
Tutto si gioca sul sogno, l’immaginazione, la visione primordiale di ciò che il cervello conserva e che può volontariamente o indottamente riportare in vita.

“La suggestiva, affascinante possibilità da parte dell’uomo di immaginare. Di legare fra loro elementi inconciliabili fino a fare assumere al mosaico composto una parvenza di realtà. L’incredibile abilità del cervello umano nel ricavare dal nulla il tutto. Un fantastico, impressionante gioco di luci, di suoni… di sensazioni ed immagini… il sogno…”

L’incubo di Dex ha il suono di una risata perenne, costante, che si unisce al suo battito del cuore e coincide con la sua sopravvivenza. Un mostro, un essere, una creatura o semplicemente un uomo corrode i fili fragili del suo sogno, li rosica, vuole spezzarli e farlo sprofondare nel nulla, in quel nulla dal quale la mente prende il tutto.

“Il sogno di un folle, di un visionario innamorato di se stesso. E della morte.”


La psicologia, le tenaglie della follia che straziano la pelle della mente, i tentacoli ondulatori dei pensieri malsani che affogano speranze in bicchieri di sangue, avvolgono la storia e te la porgono su un piatto di cui, ahimè, non c’è fondo. C’è solo un prorompente istinto animale, fatto di fame ancestrale pronto a divorare persino se stesso.

“Sensazione inebriante per me, per il mio eterno istinto animale che ancora una volta continuava a farsi sentire.”

Non sono stata catturata da questa storia, non nel modo in cui avrei voluto, avevo immaginato. Percepivo sensazioni diverse in principio ma poi il mondo di Dex mi ha completamente chiuso fuori. E non perché la porta fosse serrata. Bensì era socchiusa, cigolante, maledettamente avvicinabile, trapassabile e in alcuni momenti mi è sembrato di entrarci ma era anch’essa un’illusione in mezzo alle illusioni. Il peccato è che l’autore non mi ha chiuso dentro quella stanza, avrebbe dovuto sbarrarla. Con me dentro.




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