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lunedì 23 giugno 2025

Recensione: GOODBYE HOTEL di Michael Bible

ye Buongiorno! Grazie alla collaborazione con la casa editrice Adelphi, oggi vi parlo di Goodbye hotel di Michael Bible.

goodbye hotel

di Michael Bible
Editore: Adelphi
Pagine: 127
GENERE: Narrativa contemporanea
Prezzo: 12,99€ - 18,00
Formato: eBook - Cartaceo
Data d'uscita: 2025
LINK D'ACQUISTO: ❤︎
VOTO: 🌟🌟🌟🌟 

Trama:
C’è un posto, a New York, che chiamano Goodbye Hotel, perché è l’ultimo rifugio di chi, per ragioni diverse, si è allontanato dal mondo e nel mondo non vuole (o non può) più tornare. Lì, mentre una nevicata «ipnotica» cade sulla città, François siede davanti al fuoco, stappa una bottiglia di vino da quattro soldi e inizia a scrivere la sua storia. Vuole metterci a parte di un avvenimento capitato venticinque anni prima, ma soprattutto raccontarci quello che sarebbe potuto succedere e – forse – è successo davvero. Ha a disposizione solo «un pezzetto di verità», che certo non basta a colmare tutti i vuoti. La sua voce, carica di un’antica sofferenza, ci trasporta ancora una volta a Harmony, un’anonima cittadina del Sud degli Stati Uniti, dove ogni sera «si confonde con un milione di altre sere» e i giovani sono «destinati a perdersi» ma non smettono di desiderare «l’impossibile». Dove «non c’è differenza fra chi è amato e chi non lo è», perché «tutti si sentono soli, con addosso la maledizione di un vuoto americano che gli cresce dentro». Eppure, come sanno i lettori di L’ultima cosa bella sulla faccia della terra, Harmony è anche un crocevia dove il destino dà appuntamento alle sue vittime ignare: in questo caso due ragazzi innamorati e un misterioso uomo con un completo di seersucker, che in una notte di fine estate si incontrano sotto lo sguardo benevolo e saggio di Lazarus, una tartaruga dai poteri chiaroveggenti, indimenticabile protagonista del romanzo. Perché nell’universo di Michael Bible il passato può facilmente diventare futuro e viceversa; come in un sogno di David Lynch, a una dimensione della realtà ne corrispondono infinite altre, parallele e comunicanti. Non ci resta quindi che abbandonarci al ruolo di testimoni involontari e accettare che la verità a volte risulti inaccessibile, protetta da un guscio di bugie e inganni simile a quello di una testuggine centenaria.

RECENSIONE

C’è una soglia silenziosa che si attraversa leggendo Goodbye hotel di Michael Bible. È quella tra la vita e il sogno, tra il senso di colpa e la speranza di redenzione, tra il tempo lineare e la vertigine del ricordo. Michael Bible non scrive un romanzo nel senso tradizionale del termine: Goodbye Hotel è una visione allucinata e struggente, un’elegia adolescenziale piena di cenere e tartarughe, di amore mai detto e di verità nascoste sott’acqua. 

Questa è la storia di Eleanor e François, due adolescenti che una notte uccidono accidentalmente un uomo — un viandante mitico, Seersucker, accompagnato da una tartaruga profetica di nome Lazarus. Scelgono il silenzio. Annegano la macchina, il corpo, la verità. E con essa, affondano anche loro. 

La colpa: non solo come fatto, ma come forma di esistenza. Eleanor diventa il volto tragico di una generazione che non sa più distinguere il desiderio dall’annientamento. È una ragazza che sogna di sparire, che idealizza figure adulte che non la proteggono (come il dottor Holland, psichiatra ambiguo e pavido), che si aggrappa alla sua tartaruga Little Lazarus come unico appiglio alla realtà. La colpa si trasforma in una lunga dissociazione: la vita di Eleanor si dissolve in sogni, flashback, incubi. E noi, lettori, naufraghiamo con lei in questo tempo psicotico, dove ogni parola è memoria che lacera e ogni frase è un tentativo disperato di trattenere il passato. 

L'autore cattura l’adolescenza con precisione: non c’è niente di romantico, niente di luminoso. Solo vuoto, fuga, autodistruzione. Harmony, la cittadina americana in cui tutto accade, è un paesaggio interiore: una prigione dalle chiese enormi e dai supermercati eterni, dove l’unica ribellione possibile è ubriacarsi, drogarsi, amarsi male. 

François è l’altro testimone silenzioso. La sua voce si affaccia come un eco più remota, più stanca. Vive nel rimorso e nel non detto. E poi ci sono le tartarughe, la metafisica che diventa fisicità priomordiale, saggia, imperscrutabile. Lazarus e Little Lazarus non sono solo animali: sono archivi viventi di memoria e sogno, discendenti da una tartaruga primigenia che ha donato al mondo la capacità di sognare. In loro c’è la spiritualità che l’uomo ha dimenticato: silenziosa, terrestre, senza dogmi. Quando l’isola prende fuoco e centinaia di tartarughe si radunano attorno a Eleanor per salvarla, il romanzo raggiunge il suo vertice visionario: una sorta di Apocalisse biblica capovolta, dove l’ultima chiesa rimasta è una piscina, e il miracolo non è divino ma animale. 

 “Non ricordo di aver provato senso di colpa o rimorso, quelli sarebbero venuti dopo.” 
Tutto ruota attorno a un gesto e a una decisione: non fare nulla. Eleanor e François non chiamano aiuto, non confessano. Nascondono, negano, affondano l’auto nel lago. Da quel momento inizia la loro discesa nell’inferno interiore. Il romanzo esplora come la colpa agisca nel tempo: non come un fardello istantaneo, ma come una malattia a rilascio lento, che si infiltra nella memoria, nei sogni, nei gesti quotidiani. La rimozione non salva nessuno: anzi, li condanna a un’esistenza frammentata, senza pace. 

L’amore in Goodbye Hotel non è mai compiuto. È desiderio che non trova sbocco, tenerezza che si fa ossessione, passione che implode. Eleanor ama François, ma troppo tardi. François ama Eleanor, ma non sa dirlo. Eleanor idealizza il dottor Holland, che le offre solo una parvenza di sicurezza. Il desiderio è sempre sbilanciato, confuso, impossibile da nominare. L’amore è anche dolore condiviso: questa è forse la sua definizione più vera nel romanzo. È qualcosa che si manifesta solo quando si sopporta insieme il peso dell’esistenza, anche se questo peso schiaccia. 

Il desiderio di sparire è onnipresente. Eleanor sogna di rimpicciolirsi fino a diventare una molecola. François vuole dissolversi nell’acqua. Il sogno è l’unico rifugio dalla realtà: il sogno dell’infanzia, dell’amore, della fuga, dell’oblio. Ma i sogni si contaminano con gli incubi. E il tempo non è più lineare: presente, passato e futuro si sovrappongono in un flusso confuso. Il romanzo è costruito come un sogno lucido che si trasforma in allucinazione: l’isola in fiamme, la piscina piena di tartarughe, il cielo nero. Niente è del tutto reale, ma niente è falso. È il tempo dell’inconscio. 

L'autore scrive con uno stile liquido, frammentato, ipnotico. I suoi paragrafi sembrano ricordi riemersi dal fondo, sogni spezzati, confessioni sussurrate sott’acqua. Non c’è una narrazione ordinata, ma una vertigine emotiva. Si entra nel libro come in un lago di notte: non sai cosa troverai, ma una volta dentro non puoi più uscire indenne. Non tutto funziona sempre: a tratti il flusso è talmente rarefatto da rischiare la deriva onirica fine a sé stessa. Ma è il prezzo da pagare per entrare in una scrittura che non ti racconta una storia: ti abita. 

È un romanzo sull’amore che non salva, sulla colpa che non si estingue, sulla memoria che non guarisce, ma che può forse diventare una forma di compagnia. È il racconto di ciò che sopravvive all’incendio: una ragazza, una tartaruga, e il desiderio di credere ancora nei sogni. 

Michael Bible ci lascia con un’immagine potentissima: le tartarughe che tornano alle colline, Eleanor stesa al sole, sopravvissuta. 
Non è salvezza. Ma è qualcosa che ci somiglia. 

Un romanzo rarefatto e incandescente. 
Poetico come una preghiera pagana. 
Doloroso come una ferita d’amore.

Da leggere se credete che il passato non passi mai davvero, e che ogni creatura viva sogni, anche se non parla.

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