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venerdì 15 aprile 2022

Recensione: FAME BLU di Viola Di Grado

Buongiorno! Grazie alla collaborazione con la casa editrice La nave di Teseo, oggi vi parlo dell'ultimo libro di Viola Di Grado, autrice che volevo leggere da tempo. Ecco cosa penso di Fame blu.

fame blu

di Viola Di Grado
Editore: La nave di Teseo
Pagine: 162
GENERE: Romanzo
Prezzo: 9,99€ - 18,00
Formato: eBook - Cartaceo
Data d'uscita: 2022
LINK D'ACQUISTO: ❤︎
VOTO: 🌟🌟🌟🌟🌟 

Trama:
Dopo aver perso il fratello gemello, un’italiana solitaria lascia Roma e si trasferisce a Shanghai, la città dove lui sognava di vivere e aprire un ristorante. Lì, mentre insegna italiano ai cinesi, incontra una ragazza enigmatica: Xu. Anche Xu è in fuga da un passato turbolento: un padre violento, una madre evanescente, una famiglia numerosa che la voleva maschio. Accomunate da una solitudine che somiglia a una fame implacabile, le due ragazze si avvicinano sempre più l’una all’altra, divise tra il bisogno di affetto e la tentazione oscura di superare il limite oltre il quale il linguaggio si disgrega e l’eros diventa divoramento. Tra fabbriche tessili abbandonate e mattatoi degli anni Trenta scoprono una dimensione estrema in cui mordersi, appropriarsi dell’altra, è parte essenziale del rito amoroso. In una Shanghai tentacolare e aliena che contiene ogni altra città e ogni altra storia, in cui le culture e i simboli dell’Asia si mescolano all’Europa, la ricerca dell’amore diventa un percorso vertiginoso in se stessi che annienta ogni tabù, ricordandoci i nostri sogni più bizzarri e potenti.

RECENSIONE

Fame blu mi ha conquistato dalla prima all’ultima pagina. Il modo di scrivere dell’autrice è stato un colpo al cuore. 

La protagonista, di cui non sappiamo il nome, dopo la morte del fratello Ruben, decide di andare a Shangai, dove lui voleva aprire un ristorante. 
Perchè proprio questa città? Lei se lo chiede tante volte. E ogni volta che visita un luogo diverso della città, ne parla come se fosse suo fratello a farlo. 
Sono gemelli. O meglio, erano gemelli. 
Il blu degli occhi di Ruben si confonde con il blu della città. 
E con una fame blu che è quella d’amore verso Xu, una ragazza conosciuta a scuola dove la protagonista fa la supplente. 

Un rapporto pieno di rabbia, di cose irrisolte, di indifferenza, solitudine, malinconia e tanto erotismo. 
Xu è giovane, la tradisce anche con altre donne, ed è un enigma. Nonostante ciò, la protagonista non riesce a staccarsene. Il loro rapporto è così carnale, come è carnale la fame, che si esprime attraverso i morsi. Questi sono simbolo di un desiderio interiore che travalica i confini del corpo e cerca di annodarsi all’anima. 

 
Il mondo era una ragazza stupenda che mi faceva domande banali.

Viola Di Grado è un’autrice immensa. 
Le sue descrizioni di Shangai mostrano una città tentacolare, un luna park dell’horror, una dimensione dark piena di fumo e di fantasmi. Ho adorato i luoghi descritti come se fossero delle fotografie fatte a pezzi da denti acuminati.
Mi ha ricordato Roberto Peregalli e il suo libro “I luoghi e la polvere” grazie al quale ho imparato ad amare l’architettura, i posti abbandonati, quelli che nascondono un’anima proprio perchè pieni di crepe, quindi imperfetti e ancor di più umani. 

Il suo modo di descrivere i posti che la protagonista e Xu visitano e vivono, mi ha emozionato talmente da farmi innamorare di quei luoghi perché pieni di ricordi, di ferite, di sangue. 
Come l’ex mattatoio dove le due donne si recano per fare l’amore, più volte. 
C’è odore di paura, di tragedia, di morte, ma anche un forte senso di appartenenza, di scambio di liquidi vitali, di lingue e memorie spezzate. 
L’autrice scrive come se ti prendesse a cazzotti e nello stesso momento ti lecca le ferite che ti provoca. 
Nelle sue parole c’è orrore e meraviglia, lacrime e risate pazze. 

 
Questa città ti entra nella testa.

Il linguaggio è una prova di forza ma anche d’anima e di cuore. Così brutale, viscido, languido, pieno di ossa e di anfratti nascosti nei quali è impossibile non desiderare di rifugiarsi. 
La protagonista senza nome è una donna che cerca redenzione, forse perdono. 
Mentre la sua amante, la giovane Xu, convive con un passato di abusi e di mancanze che la rendono così dura all’apparenza ma fragile dietro la crosta del suo esibizionismo. 

Questa è una storia d’amore, ma è anche un racconto di tanti luoghi che si mescolano dentro e fuori la vita di ognuno di noi. È un inno alla bella scrittura, originale, mai banale, imprevedibile, capace di regalare brividi e paure. 
In alcuni momenti, ho stretto gli occhi di fronte a certi scenari così drastici, ma necessari, se si ha il coraggio di andare oltre la bella e fiabesca scrittura. 
Qui non c’è traccia di romanticismo. C’è una storia di dolore, di lutto, di violenza. 

Ruben è morto per una malattia e lei, sua sorella, non sembra essere in grado di superarlo. Segue e si lascia seguire da questo fantasma. Tenta di fare tutte le cose che avrebbe fatto lui come se portasse un peso sulle spalle di cui in fondo non vuole liberarsi. 

La potenza di questo romanzo consiste nei luoghi ma anche nella forma del linguaggio, che più volte diventa vittima e carnefice nelle esistenze dei personaggi. 
Basta un aggettivo messo nel posto giusto a far tremare l’intera pagina. 
Una potenza distruttiva ma anche ammaliante, è questo lo stile di questa autrice. Un terremoto di emozioni che vanno oltre il piacere o non piacere della storia. 
È una scrittura che ti resta dentro, aggrappata con le unghie alla tua sanità mentale e ti spinge a pensare… pensare… pensare… 

 
Mangiami: fammi tua, fammi sparire.

Un rapporto d’amore morboso, che diventa ossessivo, e che lotta per ottenere la tanta agognata libertà. È questo quello che fa la protagonista. Si lega a Xu, la subisce, si sottomette ai suoi modi autoritari, ma allo stesso tempo, vuole liberarsene. Vuole riconquistare il suo autocontrollo, vuole agire e smetterla di subire. 

Fame blu è stato come un sogno dal quale ti svegli con il cuore in gola. 
Ci penso ancora, e mi sembra tutto così assurdo. La scrittura è proprio come Shangai. 
Orrorifica e surrealista. Una città in cui tutto quello che puoi immaginare, esiste già, e quindi se immagini, si crea un esubero di immaginazione che poi ti fa male. 
Un libro che ti entra dentro e ti sfracella le emozioni. Come un pensiero fisso che non sai quanto male possa farti. 

Mi costa dirlo, ma la scrittura di Viola di Grado ferisce. E quindi, fa male. 
Non so quanti di voi siano in grado di sostenere qualcosa di così potente e irraggiungibile. 
Mi è rimasta la sensazione di aver toccato il cielo con un dito. 
Solo per un attimo. 
Ma di essere, comunque, sprofondata all’inferno. 
E nella testa sento ancora l’eco di quella risata folle, di notte, in una strada vuota. 
Una voce cupa, di bambina abituata alla solitudine che mi chiede: “Ruben esiste davvero?” 
Touchè.

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