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martedì 4 marzo 2025

Recensione: ADDIO, BELLA CRUDELTÀ di Riccardo Meozzi

Buongiorno! Grazie alla collaborazione con la casa editrice Edizioni E/O, oggi vi parlo di Addio, bella crudeltà di Riccardo Meozzi.

addio, bella crudeltÀ

di Riccardo Meozzi
Editore: Edizioni E/O
Pagine: 208
GENERE: Narrativa 
Prezzo: 11,99€ - 17,50
Formato: eBook - Cartaceo
Data d'uscita: 2025
LINK D'ACQUISTO: ❤︎
VOTO: 🌟🌟🌟🌟🌟 

Trama:
Lidia e Giovanni sono molto giovani quando si incontrano, agli inizi degli anni ‘90. Lei è una ragazza sola e fragile, lui il contrario: un uomo che vuole dominare la vita, rabbioso e temerario. Entrambi prendono dall’altro ciò che vogliono, voracemente: Lidia un amore che sfiora la dipendenza, Giovanni una passione selvaggia, con risvolti oscuri. Vivono in simbiosi, di sesso e tenerezza, e rinunciano a tutto il resto. Si sposano quasi subito. Eppure, presto, un terremoto nella vita della coppia stravolgerà completamente le dinamiche di potere del rapporto. Forse la ragazza timida e dipendente non è disposta a rinunciare ai propri desideri e al suo diritto di definirsi al di fuori dello sguardo di chi la ama, e forse il maschio dominante, al contrario, dovrà fare i conti con la paura e l’impotenza. Addio, bella crudeltà è un romanzo potente e affilato sull’amore giovanile, la passione, la malattia e la responsabilità. Sui bivi imprevisti della vita e i destini che cambiano all’improvviso.

RECENSIONE

Addio, bella crudeltà di Riccardo Meozzi non offre sconti e ti sbatte in faccia con assoluta sfrontatezza come va a finire male, molto male, una relazione d’amore e di dipendenza tossica che era già partita con il piede sbagliato. 
Il titolo? Un presagio funesto di ciò che accade durante il libro, un epitaffio sulla figura sgraziata e decomposta di Giovanni, il protagonista maschile, il “malessere”, colui che sottomette la donna che considera “sua” non perché la ama, ma perché dipende dal ruolo che lei ricopre nella sua vita. 

Esistono storie che ci cullano e ci permettono di addormentarci felici, entrando saltellando nel nostro mondo dei sogni preferito. E poi ci sono storie come questa, che ti scuotono, ti tengono aperti gli occhi anche se vorresti chiuderli e ti costringono a guardare il dolore senza niente che possa proteggerti. Una storia brutale, crudele, che ti mostra come una donna può ridursi se ama un uomo e quest’ultimo non è in grado di ricambiare come dovrebbe. 

Egoismo? Narcisismo? Chiamatelo come vi pare, fatto sta che Lidia conosce Giovanni al liceo, ha qualche anno in meno di lui e rimane folgorata dalla presenza fisica del ragazzo, dall’eterna sigaretta in bocca, da quel suo fare arrogante, sbrigativo, che del silenzio fa come una mano che ti tappa la bocca. Perché è questo quello che fa Giovanni alla donna che dice di amare: le tappa la bocca metaforicamente. Le impedisce di essere indipendente emotivamente e la tiene legata a sé con le sue parole che tagliano come un bisturi che affonda nella carne tenera di una ragazzina alla sua prima storia d’amore. Lui invece, no, lui va con altre donne, la tradisce persino ed è perseguitato da quel mal di testa che lo rende irascibile, cattivo, a tratti violento, quando sente la testa scoppiargli. — “Era sempre questione di attimi, lievi spostamenti di pensieri che Lidia vedeva in Giovanni ma che non riusciva a prevedere, come se non sapesse mai dove fosse nello spazio.” 

L'incontro tra Lidia e Giovanni, nei primi anni Novanta, è fatto di poche parole, gesti veloci, toccate e fughe e da una passione che li divora. Lei è fragile, insicura, affamata d'amore. Lui è spavaldo, rabbioso, dominante. — “Vivranno in simbiosi, di sesso e tenerezza, e rinunceranno a tutto il resto" ci avverte l'autore sin dall'inizio, ma dietro questa simbiosi si cela un gioco di potere pericoloso e ineguale. 

Il guaio è che dopo qualche tempo, Lidia se lo sposa pure, contro il volere della madre, covando giù dentro di sé una strana sensazione che la rende in bilico sul filo esistenziale della sua stessa vita. Lidia è intelligente, è una donna che lavora, ma ha un bisogno costante di essere rassicurata; lei sa che sentirsi viva solo se lui la guarda è sbagliato, ma non può farne a meno, non sa come fare. Non sa come vivere e respirare senza quell’uomo accanto. 

Giovanni, con la sua fisicità e la sua presenza ingombrante, impone a Lidia un modello d'amore totalizzante: "Comunque t’ho sposata, mica t’ho ammazzata", le dice con tono sprezzante dopo le nozze, quasi a segnare il confine tra il prima e il dopo, tra l’illusione e la verità. Eppure, nonostante le sue parole taglienti, Lidia si convince che l’amore debba contenere tutto, anche la sofferenza, anche l’umiliazione. "Si deve amare tutto di una persona, anche quel che dice", pensa, senza rendersi conto di quanto questa convinzione sia la radice della sua prigionia. 
Lidia si perde in Giovanni, ma lo fa volontariamente, come chi non ha mai imparato a esistere da solo. La sua identità si sgretola sotto il peso delle parole di lui, delle sue pretese, della sua costante superiorità. 

La dipendenza emotiva di Lidia non nasce con Giovanni, ma affonda le radici nella sua famiglia. Sua madre, Anna, è una figura dura, giudicante, più attenta alle apparenze che ai sentimenti della figlia. A casa sua, l’amore è qualcosa che va meritato, mai concesso senza condizioni. Durante la cena con Giovanni, la madre di Lidia si rivela per quella che è: una donna che misura il valore delle persone sulla base della loro capacità di soddisfare aspettative economiche e sociali. "Sei con Lidia, no?", gli dice, quasi a sottintendere che sia lei la garanzia del suo valore. Lidia cresce con il bisogno costante di essere accettata, di piacere, di non deludere. E Giovanni diventa il prolungamento di questa ricerca: un uomo che può ferirla, ignorarla, trattarla con superiorità, e che lei continuerà comunque a voler amare, come se ogni sua indifferenza fosse una prova da superare. 

Se la famiglia di Lidia è un microcosmo di giudizi e silenzi soffocanti, il rapporto di Giovanni con il fratello Jacopo non è meno significativo. Jacopo è un ingegnere, una figura che sembra aver trovato un equilibrio, e per questo rappresenta un costante termine di paragone per Giovanni. Lui, invece, è sempre stato "quello che non ce la fa", quello che compensa l’insicurezza con la rabbia, che cerca di dominare gli altri per non sentirsi inferiore. 

Se pensate che il peggio per Lidia sia stato il matrimonio, vi sbagliate. 
Giovanni, poi, si ammala. Quei mal di testa così frequenti che lo perseguitano da tutta la vita sono il sintomo di una malattia molto grave che non gli lascia scampo. Cosa succede, dunque, all’uomo che non deve chiedere mai? A quello che prima del matrimonio, ha provato persino a spaventare Lidia, stalkerandola, inseguendola e soffocandola con le sue parole e le sue richieste fuori luogo? E già allora, lei aveva compreso che c’era qualcosa che non andava. Dannazione, lo aveva fatto, ma non aveva ascoltato il suo istinto. Diavolo, perché? 

Quando Giovanni si ammala, la sua maschera cade definitivamente. Il corpo, che per lui era stato lo strumento principale del controllo, lo tradisce. La sua debolezza fisica diventa una metafora del suo crollo psicologico. L’uomo che si sentiva invincibile, si ritrova vulnerabile e terrorizzato. "Che cazzo mi è successo?", urla quando si rende conto che qualcosa in lui si è rotto, non solo nel corpo, ma anche nella percezione di sé. Se prima era ingestibile, con la malattia diventa una bomba pronta a esplodere un giorno sì e l’altro pure. È un animale in gabbia, non reagisce, non vuole fare più nulla e non riconosce nemmeno quanto abbia rovinato la vita a una ragazzina e come continua a distruggere l’esistenza di una donna che ancora lo ama MA che non ce la fa più. 

Lidia si rende improvvisamente conto che non può più vivere così, e insieme a lei scopriamo lentamente tutte le cose che davvero non vanno e che non sono mai andate durante il loro rapporto, come un flusso di coscienza che si mescola alle pagine e si rivela un poco alla volta. Il cuore si spegne per un po’, l’attrazione si sfiamma, e resta solo la mente, lucida, produttiva, concentrata su sé stessa che finalmente comprende il vero stato delle cose. 
Lidia è vittima di manipolazione psicologica, di violenza emotiva ed è incapace di determinare se stessa al di fuori della relazione con lui. 

Lo stile di Riccardo Meozzi è chirurgico, spietato. La sua prosa è asciutta, tesa, densa di dettagli sensoriali, riesce a trasmettere con poche parole tutta la sofferenza dei personaggi. Le scene tra Lidia e Giovanni sono scritte con una precisione che toglie il fiato, senza retorica, senza filtri. L'autore usa il corpo come luogo di scontro: il sesso non è mai semplicemente sesso, ma un terreno di gioco di potere, di controllo, di sopraffazione. Il dialogo è spesso breve, essenziale, capace di racchiudere in una sola frase il peso di un'intera relazione. Gli spazi vuoti, i silenzi, le pause, sono altrettanto importanti delle parole pronunciate. 

Addio, bella crudeltà non è solo un romanzo su un amore tossico: è un’indagine sul modo in cui le donne imparano ad amare, su come la società normalizzi certe dinamiche di potere, su quanto sia difficile smettere di esistere attraverso gli altri. Oggi, più che mai, questa storia ha valore perché mostra quanto sia arduo spezzare certi meccanismi, quanto sia necessario imparare a riconoscere l’amore vero da quello che consuma. 

Lidia, alla fine, non si salva nel modo in cui ci si aspetterebbe. Non trova una redenzione facile, non diventa un’eroina emancipata. Ma qualcosa cambia: il suo sguardo si sposta dal passato al futuro. "Meglio il futuro, per quanto schifoso e ignoto, che i ricordi", pensa mentre inizia a immaginare un’altra possibilità per sé. 

Forse il vero senso di questo romanzo sta tutto qui: “la consapevolezza che l’amore non deve essere un gioco, che l’identità non può dipendere dallo sguardo di un altro, che esistere da soli non è una condanna, ma una CONQUISTA.” 
Che dura tutta la vita.

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