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mercoledì 29 maggio 2024

Recensione: AUTORITRATTO di Carla Lonzi

Buongiorno! Grazie alla collaborazione con la casa editrice La nave di Teseo, oggi vi parlo di Autoritratto di Carla Lonzi.

autoritratto

di Carla Lonzi
Editore: La nave di Teseo
Pagine: 416
GENERE: Critica dell'arte
Prezzo: 11,99€ - 22,00
Formato: eBook - Cartaceo
Data d'uscita: 2024
LINK D'ACQUISTO: ❤︎
VOTO: 🌟🌟🌟🌟🌟 

Trama:
«L’opera d’arte è stata da me sentita, a un certo punto, come una possibilità d’incontro. Cosa rimane, adesso che ho perso questo ruolo all’interno dell’arte? Sono forse diventata artista? Posso rispondere: non sono più un’estranea.». Con questa riflessione, nel 1969 Carla Lonzi è pronta a far precipitare "Autoritratto" nella galassia della critica d’arte in Italia, attribuendo al suo libro-asteroide proprietà che associamo agli oggetti provenienti da un altro spazio, da un altro piano: la meraviglia della scoperta, la fascinazione verso qualcosa di cui non si capiscono immediatamente i contorni, ma che avrà dei riverberi profondi non solo sul modo di intendere la critica d’arte, ma anche sul dialogo tra persone impegnate a ragionare sul senso del proprio lavoro, come le artiste e gli artisti coinvolti nel libro. L’obiettivo, in una scrittura che si ostina a essere libera rispetto ai tipici codici culturali con cui attribuiamo valore alle cose, è stabilire un punto di contatto orientato all’autenticità, cercare di avvicinarsi il più possibile a un momento di luce nella vita interiore. "Autoritratto" è un libro fondamentale per come si scrive d’arte, ma è anche il preambolo della pratica dell’ascolto che rivoluzionerà il femminismo di Carla Lonzi e rappresenta un documento inestimabile per chi vuole esplorare la zona di contatto in cui la teoria, dissolta in qualcosa di nuovo, si fa anche letteratura.

RECENSIONE

Autoritratto fu pubblicato per la prima volta nel 1969, data che rappresenta un momento fondamentale nella vita di Carla Lonzi, (1931-1982), “la pensatrice femminista più amata al mondo.” 
Il suo libro più importante, Sputiamo su Hegel, è un testo di fondamentale importanza per chi voglia approcciarsi alle radici del femminismo e a quel distacco dal sistema patriarcale e dal suo conseguente riconoscimento come veleno per qualsiasi sistema di libertà. 

Prima che Carla si dedicasse alla lotta femminista, era una critica d’arte. Un ruolo che le è sempre andato stretto e che critica aspramente in questo testo, caratterizzato da una serie di dialoghi, all’epoca registrati con un sistema assolutamente innovativo come il registratore, fin tanto che moderno per l’epoca, tra lei e i più importanti artisti dell’epoca. Un discorso ampio che abbraccia tutti gli aspetti artistici e che spinge ogni artista a parlare di sé, proprio come se ne facesse un ritratto le cui parole e immagini scaturiscono dalla sua stessa voce e gesti. 

Tutti uomini tranne una donna: Carla Accardi, amica stretta della Lonzi con la quale, un anno dopo, fonderà il movimento Rivolta femminista che costituisce uno dei primi gruppi femministi in Italia, basato sul separatismo e sulla pratica dell’autocoscienza. Carla Accardi era una pittrice, quindi un’artista, mentre la Lonzi era una critica d’arte e si trovarono a fondare questo gruppo perché mosse dallo stesso interesse: porsi come soggetti attivi che s’interrogavano sulla soggettività maschile e sul potere che ne derivava. Entrambe vivono l’intreccio tra arte e politica e si oppongono alla cultura patriarcale. 

In questo libro, Carla Lonzi si oppone al concetto di critico d’arte perché in esso riconosce un ruolo patriarcale che sputa potere da ogni poro e sostiene che il processo creativo non necessita del critico d’arte, anzi, nel momento in cui la società ha deciso di renderlo legittimo, ha reso possibile un atteggiamento patriarcale del critico sull’artista senza tenere conto che in quanto creativo, l’artista è anche un critico. In questo testo c’è la volontà di creare una sorta di “incontro” con gli artisti attraverso un dialogo che mette in evidenza aspetti che di quegli artisti, normalmente, non vengono colti. 

Il percorso professionale di un individuo, così come lo interpretiamo tutti, passa dalla scuola, dall’università, dagli incontri importanti, dalle vicende sociali e politiche, ma tutto questo non permette di andare a fondo nella personalità, nelle motivazioni e dietro alle scelte degli artisti. Indi, attraverso queste interviste, si colgono aspetti impossibili da interpretare in maniera differente. Si coglie finalmente quella vocazione artistica, quella propensione spirituale che altrimenti resterebbe nascosta da qualche parte. 

Il critico d’arte fa il gioco della società, del Sistema, e considera l’arte come accessorio, un pericolo da tramutare in diversivo, qualcosa da gestire e da controllare per evitare che diventi sovversivo. La critica d’arte serve a contenere l’opera d’arte e ancor di più a contenere l’artista. – “E come contenere? Appunto attraverso l’esercizio della critica, che opera sulla falsa dissociazione: creazione-critica.” 

La Lonzi si scaglia contro il potere esercitato in quanto controllo repressivo dell’arte e degli artisti e della loro ideologia. Intanto se non ci fosse il critico, si potrebbe comunque riconoscere chi è un vero artista da chi non lo è? E la risposta è semplice. C’è forse bisogno di questa garanzia? È così essenziale? Fare il critico d’arte in questi termini è qualcosa che non le appartiene più, e non le è mai appartenuta. Significa rapportarsi all’arte in un modo estraneo e giudicarla senza porsi la questione dell’umanità e dell’umano sentire. Così, la Lonzi con questo libro si “autolicenzia” smettendo i panni di critico d’arte e avvicinandosi all’arte in un modo diverso, facendo crollare interamente il ruolo di critico dentro e fuori l’ambiente accademico. “Cosa rimane adesso che ho perso questo ruolo all’interno dell’arte? Sono forse diventata artista? Posso rispondere: non sono più un’estranea. Se l’arte non è nelle mie risorse come creazione, lo è come creatività, coscienza dell’arte nella disposizione del bene.” 

Ci sono due momenti per l’opera d’arte. Il momento del critico e dell’Istituzione culturale e il momento del mercato. Il primo è quello più negativo perché segna il passaggio di deformazione massima dell’opera d’arte. 

Carla si è avvicinata all’arte perché sentiva dentro se stessa un bisogno esistenziale, una ricerca insista nell’animo umano che le poneva delle domande ed esigeva risposte in giro per il mondo. Carla rispose a quel bisogno non come fanno tutti, trovando conforto nella religione, ma nell’arte, soprattutto in quella visiva.“Ho trovato nell’esperienza artistica un’attività che non aveva bisogno di credenze che non mi avevano mai particolarmente interessata, però che soddisfaceva a delle esigenze analoghe.” Si è poi resa conto che il mestiere del critico è per lo più fasullo perché relazionato al novanta per cento all’ambiente dell’Università. – “Ma non pensando che questa attività corrispondesse a un giudicare, a un acquistare potere, a un manovrare certe situazioni.” 

Ciò che si chiede in modo del tutto onesto è come sia possibile che esista la critica dell’arte quando un artista che produce un’opera dovrebbe semplicemente indurre gli altri a produrre altrettanto, a vivere una vita piena di creatività, di gesti e scelte che esaltino il valore intrinseco della vita stessa. E invece, accade il contrario. L’artista produce un’opera e poi la gente, tra cui anche i critici, la commentano in modo spesso fuorviante, e futile. Direi addirittura sterile, perché quell’opera viene distrutta o denigrata o giudicata in modo eccelso, ma la cosa finisce lì. Cioè non viene usata per abbellire la vita stessa delle persone che l’hanno giudicata; non è un esempio e non diventa nemmeno un arricchimento. Quindi a cosa serve? A cosa serve criticare o commentare un’opera? A nulla, o al massimo a contenere l’artista o l’arte in generale, a rinchiuderlo in un sistema gestito da qualcun altro. Un sistema patriarcale, appunto. 

Rimbaud affermava: “tutti saranno poeti, verrà un mondo in cui tutti saranno poeti.” Ovviamente non intendeva che tutti sarebbero diventati artisti, ma che tutti avrebbero vissuto in modo creativo, in pace con se stessi, insomma avrebbero vissuto. E invece la maggior parte dei critici non traggono alcun beneficio dalle opere che giudicano; vivono le loro vite fasulle, ingabbiate, tristi e grigie e con quale faccia si arrogano il diritto di giudicare opere che rappresentano l’arte e quindi la forma più sublime della vita? “Devo capire come l’umanità non si vergogna a commentare, a passare il suo tempo parlando di cose che dovrebbero sconvolgerla, dovrebbero turbarla, dovrebbero aiutarla, invece ne parla e con questo che ne ha parlato, le ha neutralizzate.” 

Il discorso sull’arte che Carla Lonzi affronta in questo libro è così reale da diventare terribile. È così vicino alle cose che accadono oggi, e così stranamente premonitore di tutto ciò che è accaduto alla cultura e alla società. 
Ho trovato una delle sue riflessioni molto attuale. Quando un artista viene criticato e magari giudicato come mediocre, lui può fregarsene quanto vuole, ma in qualche modo quel giudizio influenzerà la sua vita e lo condizionerà in un modo o nell’altro. La critica, il giudizio, il semplice commento esercita un gioco di Potere che sembra banale, approssimativo, quasi scontato, persino dovuto, ma è una manifestazione di controllo e di presa di posizione su qualcosa che essendo in sé arte, non dovrebbe avere. Ci sono artisti che non si sono più ripresi dai giudizi negativi e che hanno vissuto la loro vita in modo tragico come conseguenza di tali atti. 

Quanti pittori, scrittori, artisti hanno patito la povertà e la fame perché incompresi? O giudicati secondo la moda o il sistema di potere del tempo? Ciò che disturba di più, è che oggi vieni criticato e domani, “quando un sistema di circostanze esterne è maturato” all’improvviso diventi un grande artista. 
Però, magari, nel frattempo ti sei distrutto. 
O sei morto. 
Ah, ma tante grazie, eh.

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