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martedì 21 aprile 2020

Recensione: TUTTO CHIEDE SALVEZZA di Daniele Mencarelli

Buongiorno cari lettori! Oggi vi parlo del secondo romanzo candidato al Premio Strega 2020 dal titolo Tutto chiede salvezza di Daniele Mencarelli. Una storia che mi ha commosso e che mi ha rubato il cuore.

tutto chiede salvezza
di Daniele Mencarelli

Editore: Mondadori
Pagine: 204
GENERE: Romanzo
Prezzo: 9,99 € - 19,00 
Formato: eBook - Cartaceo
Data d'uscita: 2020
Link d'acquisto: ❤︎
VOTO: 🌟🌟🌟🌟🌟

Trama:
Ha vent’anni Daniele quando, in seguito a una violenta esplosione di rabbia, viene sottoposto a un TSO: trattamento sanitario obbligatorio. È il giugno del 1994, un’estate di Mondiali. Al suo fianco, i compagni di stanza del reparto psichiatria che passeranno con lui la settimana di internamento coatto: cinque uomini ai margini del mondo. Personaggi inquietanti e teneri, sconclusionati eppure saggi, travolti dalla vita esattamente come lui. Come lui incapaci di non soffrire, e di non amare a dismisura. Dagli occhi senza pace di Madonnina alla foto in bianco e nero della madre di Giorgio, dalla gioia feroce di Gianluca all’uccellino resuscitato di Mario. Sino al nulla spinto a forza dentro Alessandro. Accomunati dal ricovero e dal caldo asfissiante, interrogati da medici indifferenti, maneggiati da infermieri spaventati, Daniele e gli altri sentono nascere giorno dopo giorno un senso di fratellanza e un bisogno di sostegno reciproco mai provati. Nei precipizi della follia brilla un’umanità creaturale, a cui Mencarelli sa dare voce con una delicatezza e una potenza uniche. Dopo l’eccezionale vicenda editoriale del suo libro di esordio – otto edizioni e una straordinaria accoglienza critica (premio Volponi, premio Severino Cesari opera prima, premio John Fante opera prima) -, Daniele Mencarelli torna con una intensa storia di sofferenza e speranza, interrogativi brucianti e luminosa scoperta. E mette in scena la disperata, rabbiosa ricerca di senso di un ragazzo che implora salvezza: “Salvezza. Per me. Per mia madre all’altro capo del telefono. Per tutti i figli e tutte le madri. E i padri. E tutti i fratelli di tutti i tempi passati e futuri. La mia malattia si chiama salvezza”.

RECENSIONE

Tutto chiede salvezza è un romanzo che mi ha colpito subito per il titolo, poetico e per certi versi disarmante. Perché il verbo chiedere, nel suo significato, ha sempre qualcosa di debole e di fragile se vogliamo. Chiedere qualcosa implica la consapevolezza che quel qualcosa non lo abbiamo, ci manca, ne abbiamo bisogno. E unire, avvicinare, la parola “tutto” e “chiede”, significa rendere quel tutto bisognoso di qualcosa, ancor di più se quel qualcosa si chiama salvezza.

Tutto chiede salvezza. Già il titolo implica la certezza che questo romanzo sia struggente, malinconico, profondo, perché la poesia contenuta in queste parole, non mente, ma ruggisce la verità, che solo pochi sono disposti ad ammettere, mentre gli altri fingono che non sia così. Fingono che tutto non chieda salvezza. Non abbia bisogno di essere salvato, per salvarsi da questo mondo.

Daniele Mencarelli racconta la sua esperienza all’interno di una struttura psichiatrica, nel 1994, quando fu ricoverato per una settimana per TSO, trattamento sanitario obbligatorio. Non ci stupisce che sia un romanzo autobiografico, lo capiamo sin dalle prime righe, perché subito è evidente la cruda verità che si nasconde, nemmeno poi tanto, dietro a ciascuna parola, scelta con cura, ma in grado di spaccare cuore e anima.

Ormai tutto è malattia, 
ma vi siete mai chiesti perchè?

Daniele è giovane. Un giorno come un altro ha una crisi così violenta che spaventa il padre a morte, rischiando di farlo crepare per il terrore. Viene ricoverato e inizia per lui un periodo strano, giorni e giorni di convivenza forzata che lo mettono in contatto con una realtà paradossale. Con lui, in stanza, ci sono altri quattro degenti. 

Madonnina, così lo chiamano, che non parla, non interagisce, non connette, se non per la ripetizione all’infinito della stessa frase. Per il resto è come se non ci fosse. Alessandro, un giovane che resta perennemente seduto sul letto, con lo sguardo fisso verso un punto immaginario davanti a se. Non parla mai, non ride mai, non si muove mai. Immobile nel corpo, nella mente e nell’anima. È come se non esistesse. Gianluca, un ragazzo gay con il quale Daniele stabilisce subito un legame. È quello più normale dei quattro. E poi, c’è Mario, maestro elementare, dolce, gentile, premuroso, simpatico, che sembra non avere nessun motivo per stare lì, rinchiuso in mezzo ai matti. Eppure anche lui, dall’apparenza così innocua, cela un passato terribile. In un secondo momento arriverà Giorgio, un omone grande e grosso, il cui trauma è collegato alla morte della madre. Non mi vergogno ad ammettere che mi sono commossa.

Mi sono commossa subito, forse appena dopo qualche pagina. Questo romanzo ha il potere di toccarti dentro con una semplicità disarmante. È disarmante in tutta la sua dolcezza e purezza. Ti tocca, ti rende sensibile, ti fa tremare di fronte alla sofferenza, alla lucidità che si perde, e al senso di colpa che affonda le unghie nel trauma della vita. Perché per tutti loro, la vita è stata dolore, insoddisfazione, umiliazione, disperazione, mancanza di accettazione, disagio, o semplicemente follia. 

La paura d'impazzire è peggio della pazzia.

Ogni pagina ti fa riflettere, ti fa nascere dentro la voglia di capire, di scoprire, di entrare nella mente di queste persone e toccare con mano il loro dolore. Daniele vive un profondo disagio, lo vive ancor prima di essere ricoverato, perché passa da un medico a un altro; da un medicinale al successivo senza trovare pace. Il suo è un tormento interiore che gli impedisce di essere lucido, di essere se stesso, di godersi la vita per quella che è. Egli si chiede il fine ultimo dell’esistenza, il perché provi quel senso di nostalgia che gli impedisce di sentirsi parte costante di questo mondo. Ammette di aver usato qualsiasi tipo di droga per cercare di riconciliarsi con la vita, o forse per renderla più sopportabile, o semplicemente per odiarla di più.

I matti hanno qualcosa dentro, come un ricordo lontano, che gli permette di sentire la bellezza che non esiste più. E grazie a questo sono capaci di guardare le cose per quelle che sono, per come erano, prima che tutto cambiasse. E di matti ce ne sono lì, in quel luogo, in quella terra di mezzo, in quello spazio infernale dove gli infermieri ti trattano con distacco, i medici ti studiano come uno tra mille casi, senza nulla di speciale. 

Daniele si sente uno in mezzo al nulla. Si pente di quello che ha fatto, ma non è colpa sua. C’è rabbia in lui, una rabbia che ha tentato di sedare in tanti modi, una rabbia che cova e che esplode quando nessuno se lo aspetta, nemmeno lui stesso. Per fortuna c’è la poesia a raccattarlo da terra quando si sente spezzato. La poesia che rende un senso a quella vita che barcolla nel buio e che non ha appigli.

Io so compiere gesti che fanno del male.

Daniele odia l’ospedale, odia quelle persone che gli sbattono in faccia quotidianamente quello che anche lui si porta dentro. Sono immagini speculari che gli mostrano i demoni che gli divorano le viscere. Quegli uomini, sono bestie, lupi che nella notte risvegliano le paure sopite. Sono urla che gridano e che cercano di combattere il senso di morte. Quegli uomini, compagni di un viaggio, sono i fantasmi della sua coscienza. Sono ombre che non andranno più via. 

Daniele si piega, ma non si spezza. Daniele non sa vivere in un altro modo se non con la ferocia di chi si aggrappa all’esistenza con i denti e le fauci di una bestia. Lui sente tutto e tutto lo ferisce. Tutto lo incide e lo trasforma. Il suo corpo e la sua mente sono permeati da una tristezza senza nome e senza un perchè. Lo copre come un vestito, lo nutre come un bambino. Quella tristezza è la consapevolezza costante di sentire tutta la bellezza e l’orrore del mondo. Gli occhi di Madonnina sono braci che lo consumano. E Daniele piange, piange nel vedere quegli occhi perché li sente infilarsi dentro come serpi pronte a soffocarlo.

Quelle persone all’inizio sconosciute, straniere, quasi nemiche, diventano ciò che di più veritiero e pulito Daniele abbia mai incontrato. Con loro non ha bisogno di fingere, con loro è se stesso. E proprio nei momenti più bui e crudeli, ha condiviso la sua vera natura, quella più fragile, più oscura, quella che trema e che fa paura. Sono loro, Mario, Alessandro, Madonnina, Gianluca, Giorgio, sono loro anime senza peccato, a conservare la purezza della sua anima disgraziata. Nella loro tragedia, sono purezza e bellezza. Terrore e meraviglia. Sono il tocco di Dio e del paradiso, che resta come un’ombra impressa nella loro memoria.

Abbraccio tutto di Madonnina, 
sino alla gloria nascosta, la gioia promessa. 
Sino al pianto, che mi fa uomo.
 

Tutto chiede salvezza ti regala emozioni e brividi. È un romanzo strano, seppure così chiaro e realistico. Strano perché da un lato ti sbatte davanti la realtà, la crudeltà della malattia mentale, le sue psicosi, le sue digressioni, i suoi traumi terribili capaci di infestare la mente di un uomo, ma dall’altro è anche dolce, sensibile, premuroso. È un romanzo gentile, in qualche modo, perché tratta queste persone con rispetto, ne smussa le angolature più infide e capaci di ferire, rendendole umane, così umane da essere comprese da tutti noi. 

Mario è malato. Gianluca è malato. Giorgio è malato. Alessandro è malato. Madonnina è malato.
Daniele è malato.
La loro malattia si chiama salvezza.
Salvezza per tutto.
Perché tutto chiede salvezza.
A noi.

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