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martedì 13 agosto 2024

Recensione: Lo spirito aspetta cent'anni di Shubnum Khan

Buongiorno! Grazie alla collaborazione con la casa editrice NeriPozza, oggi vi parlo di Lo spirito aspetta cent'anni di Shubnum Khan.

lo spirito aspetta cent'anni

di Shubnum Khan
Editore: NeriPozza
Pagine: 322
GENERE: Romanzo storico/Di formazione
Prezzo: 9,99€ - 20,00
Formato: eBook - Cartaceo
Data d'uscita: 2024
LINK D'ACQUISTO: ❤︎
VOTO: 🌟🌟🌟🌟 

Trama:
È un Natale rovente a Durban, come non se ne vedono da anni. Sana sta andando a casa. Non una vera e propria casa, ma l’ennesimo, nuovo indirizzo scelto da suo padre. Lui è convinto che le acque dolci della costa orientale li aiuteranno a lasciarsi alle spalle il dolore per la perdita della madre di Sana, sua moglie. La nuova casa è Akbar Manzil, un tempo la tenuta più maestosa di quel tratto di costa sudafricana. Quando le navi dall’Europa entravano in porto, i passeggeri rimanevano estasiati alla vista del maniero, con i suoi parapetti in marmo, le torri in stile romanico, le cupole dorate. Ora gli antichi fasti sono solo un ricordo: oggi Akbar Manzil è un residence un po’ in disarmo dove si viene per dimenticare, o farsi dimenticare. Ad accogliere Sana e suo padre col loro lutto da elaborare, grandi finestre che li osservano come occhi spenti e, stretto fra corridoi bui, un appartamento polveroso. Il palazzo tuttavia è un territorio che chiede di essere esplorato, in particolare l’ala est, dove non va mai nessuno: solo oggetti dimenticati, porte sbarrate. L’ala dove c’è una stanza chiusa, congelata nel tempo, che contiene foto sbiadite di una coppia felice e un diario che sussurra i suoi segreti. Una stanza le cui pareti vibrano di una presenza: Meena. Sana è un’adolescente sola e la storia di Meena diventa la sua unica compagnia: quella giovane donna morta quasi cent’anni prima in circostanze misteriose, il suo sogno d’amore distrutto. Ma quando la verità sembra vicina, un’ombra impalpabile e insistente inizia a risvegliarsi dal suo lungo sonno e ad Akbar Manzil cambierà ogni cosa. Per i vivi e per i morti. Certe cose non rivedono mai la luce. Gridano, battono i pugni contro il destino, nella speranza di essere scoperte. Una lettera dimenticata sotto uno schedario, un bottone d’avorio in un divano. Fremono di rabbia per la loro palese irrilevanza. Alla fine si placano. Si rassegnano al destino e contemplano il tempo che scorre. Ma continuano a sperare.

RECENSIONE

Lo spirito aspetta cent'anni è un romanzo potente, uno di quelli che difficilmente dimentichi, che ti entrano dentro e ti rimescolano sangue e ossa. Una storia gotica, oscura, ma pregna di significati che vanno al di là della razionalità e che chiedono di essere ascoltati, accettati, creduti, perché la vita è fatta di verità, certo, ma anche di tante cose che non vediamo eppure esistono. 

Sana ha quindici anni, da quattro anni sua madre ha perso la vita. Lei e suo padre non riescono a far fronte all’enorme dolore e decidono di trasferirsi nella tenuta di Akbar Mansil, in Sudafrica. Una volta questo luogo era spettacolare, lussureggiante, pieno di colori e di meraviglie, di luce e di vita, adesso è solo un enorme spazio che è stato diviso in diverse residenze separate e dove le persone si recano per dimenticare o essere dimenticati. 

È un palazzo ormai decadente, scheletrico, quasi informe, la vita sembra un respiro ormai lontano e tutto è fermo nel tempo senza più evoluzione. Chi si reca in questo posto è troppo preso da se stesso per accorgersi che quella dimora ha un’anima e ne conserva altre mille al suo interno, soprattutto una in particolare. 

Sana è curiosa di scoprire cosa si cela dietro una porta chiusa e quando entra in quell’ambiente rarefatto, fermo nel tempo e nello spazio, scopre lettere e segreti che non si sarebbe mai aspettata. Ma soprattutto scopre la storia di Meena, una donna morta cent’anni prima e legata all’uomo che ha costruito quella tenuta. La loro storia è fatta di un amore tormentato, distrutto, di fantasmi e di spiriti che continuano a vagare tra quelle mura e che non riescono a trovare pace. In un luogo dimenticato da tutti e fatto per chi è dimenticato, Sana trova nella ricerca dell’identità di quella giovane e nella scoperta dell’amore che la legava a quell’uomo, il motivo per andare avanti. 

Noi lettori scopriamo prima di lei quale terribile verità si cela dietro quella dimora e sappiamo che Sana non è in grado di sopportare quella scoperta, perché è già in uno stato emotivo complicato e la sua situazione peggiora maggiormente quando scopre un’ulteriore presenza che la inquieta. I due filoni narrativi, uno al presente e un altro al passato, rendono la narrazione piena di colpi di scena e di risvolti quasi cinematografici. 

Lo stile è sinuoso, angosciante a tratti, molto scorrevole e capace di guidarti in un universo parallelo dove tutto può succedere. In alcuni momenti, la scrittura diventa lirica e immaginifica a tal punto da rende tutto come un sogno, come un mondo evanescente da cui forse c’è speranza di fuggire, o forse no. Nonostante le atmosfere siano cupe e serrate, è una storia che cerca e pretende speranza, a metà tra la narrativa storica e quella di formazione. 

Ci sono molteplici personaggi che popolano questo luogo di cui conosciamo la storia attraverso il diario di Meena, una operaia che stravolge la vita di Akbar, il fondatore del luogo, che già era sposato e rimane folgorato dalla sua bellezza. Meena ha sofferto, probabilmente più di quanto meritasse e Sana rivede in lei lo stesso dolore seppur la radice è diversa. Si aggrappa a questa storia come noi ci aggrappiamo a lei per saperne di più. 

L’elemento soprannaturale è presente, ma diventa un oggetto evocativo, non è il punto centrale della storia. Non è un romanzo horror che fa paura, ma piuttosto evoca sensazioni e immagini ben lontane dal terrore, altresì capaci di far riflettere sui grandi temi della vita. Anche se il luogo distrutto sembra voler risucchiare chiunque nel suo baratro, la verità è un’altra. 

Come ogni dimora dimenticata, come ogni luogo dal passato pieno di sfarzi e di meraviglie, vuole soltanto essere compreso e amato per quello che è, anche se non è più bello come prima. Il dolore, che all’inizio sembra malvagità, è solo dolore. Nient’altro. 

Sana soffre come soffrono tutti i personaggi che si sono ritirati tra quelle mura, ma la sofferenza ha uno scopo. Sana dovrà affrontare i pensieri più cupi che la possiedono, rapportarsi a quel mondo così oscuro come la tragedia che si porta dentro e dovrà uscirne a testa alta. 
Perché la sofferenza non è mai fine a se stessa. 
Serve per farci vedere con più chiarezza ciò che ci circonda e per farci capire cosa vogliamo davvero. 
Dalla felicità non si riparte, mai. 
In quanto la felicità è un traguardo. 
Dal dolore, sì. 
Perché il dolore è rinascita.

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