Buongiorno! Grazie alla collaborazione con la casa editrice Feltrinelli, oggi vi parlo di Primmammore di Titti Marrone.
primmammore di Titti Marrone Editore: Feltrinelli Pagine: 296 GENERE: Narrativa Prezzo: 12,99€ - 19,00€ Formato: eBook - Cartaceo Data d'uscita: 2025 LINK D'ACQUISTO: ❤︎ VOTO: 🌟🌟🌟🌟🌟
Trama:
Periferia di Napoli. Sull’asfalto la sagoma di una bambina di sei anni, precipitata dall’ultimo piano. Un incidente? Il palazzo riprende i suoi traffici, il vocio diffuso tra le scale copre i silenzi omertosi, gli odori delle cucine sovrastano la puzza dei sospetti. Eppure Costanza, maestra della bimba, intuisce che quella morte non è stata un tragico incidente. Anche Marco, figlio di Costanza e giornalista come suo padre, nutre molti dubbi. Madre e figlio penetrano così nell’intricato sistema di scale e corridoi del palazzo maledetto. Intercettano segreti, bugie, violenze. Intanto Costanza torna con la memoria alla giovinezza delle lotte sociali condivise con Sirio, l’amore di una vita. Rivive l’esperienza della Mensa dei bambini di Montesanto, la voglia di rivoltarsi contro il patriarcato.
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RECENSIONE
Primmammore di Titti Marrone è un romanzo che non si limita a narrare, ma costringe chi legge a farsi testimone di un orrore quotidiano, un orrore che troppo spesso scegliamo di ignorare perché troppo scomodo, troppo doloroso, troppo reale.
Il crimine su cui ruota la storia, la morte di Nina, una bambina di sei anni, violentata e gettata giù dall’ottavo piano di un palazzo, è il punto di partenza di un’indagine che non è solo giornalistica, ma anche morale, sociale ed esistenziale.
Titti Marrone non si limita a denunciare: costringe il lettore a guardare l’abisso, senza filtri, senza reticenze. Scrive con la precisione affilata di un chirurgo e la compassione straziante di chi non può più distogliere lo sguardo. Il suo stile si nutre di dettagli incisi nella carne viva, di immagini che restano impresse con la violenza di un pugno allo stomaco. La narrazione non si concede tregua: la realtà viene mostrata nella sua nudità più crudele, senza edulcorazioni, senza pietà.
L’autrice utilizza la parola come un'arma, come un atto di ribellione contro il silenzio. Non cerca di proteggere il lettore dall’orrore, ma lo costringe a confrontarsi con esso. La sua scrittura è una lama sottile che incide senza bisogno di clamore.
Uno dei temi portanti del romanzo è l’infanzia come territorio violato, come spazio in cui la vulnerabilità dei bambini viene calpestata dalla brutalità degli adulti. Nina non è solo una vittima: è il simbolo di tutti quei bambini che crescono in ambienti dove la violenza è la norma, dove le urla si soffocano dietro le pareti, dove il silenzio è la legge. Il romanzo ci chiede di guardare negli occhi questa verità: Nina è stata abusata per anni, e nessuno ha fatto nulla per salvarla.
Titti Marrone sottolinea con estrema lucidità come la società, di fronte a questi crimini, preferisca voltarsi dall’altra parte. Il quartiere in cui vive la bambina è un microcosmo di degrado e omertà, un luogo in cui l’ingiustizia non suscita indignazione, ma rassegnazione.
Marco, il giornalista, si accorge del silenzio assordante che avvolge il caso:
"Nel quartiere c’è qualcosa di strano. Troppo silenzio, nessuno dice niente. Sconcertante, in un posto dove di solito non si fa altro che occuparsi dei fatti degli altri."
Il romanzo ci pone una domanda scomoda: quanti crimini come quello di Nina avvengono nel silenzio generale? Quante volte preferiamo accettare la versione più comoda della realtà perché la verità è troppo insopportabile? L'autrice ci costringe a riflettere sul nostro ruolo di spettatori: non basta indignarsi, bisogna agire, bisogna denunciare, bisogna ascoltare i segnali prima che sia troppo tardi.
Melina, la madre di Nina, è forse il personaggio più straziante. Il suo dolore è assoluto, paralizzante. È una donna annientata dal senso di colpa, dalla domanda incessante: "Avrei potuto fare qualcosa per salvarla?". La sua disperazione raggiunge l’apice quando invoca una “moviola”, una macchina del tempo che possa riportare indietro il momento fatale e impedire che Nina esca di casa. Ma la vita non ha moviole, e il suo dolore resta senza redenzione.
Marco, il giornalista, è il testimone che non può permettersi di rimanere neutrale. È un personaggio dilaniato tra la necessità di raccontare e l’impossibilità di accettare quello che vede. La sua lotta interiore è un riflesso della lotta più grande tra giustizia e impotenza.
Costanza, la maestra di Nina, è la figura materna alternativa, quella che avrebbe potuto proteggere la bambina ma che si rende conto, troppo tardi, di non aver colto i segnali. Il suo senso di colpa è quello di chi si è accorto troppo tardi che qualcosa non andava.
È inquietante il modo in cui il romanzo mostra come il male non sia mai opera di un singolo individuo, ma il prodotto di un sistema di silenzi e complicità. Non c’è solo il mostro che ha ucciso Nina: ci sono tutti quelli che sapevano e non hanno parlato. Ci sono i vicini di casa che hanno preferito non vedere, ci sono le istituzioni che non sono intervenute, c’è una società che accetta la violenza sui bambini come un destino inevitabile.
L’autrice ci fa capire che la giustizia, anche quando arriva, è sempre insufficiente. Il processo contro il colpevole non è una vera catarsi, perché nessuna condanna potrà mai ridare a Nina quello che le è stato tolto. E allora il romanzo ci lascia con un senso di rabbia, di frustrazione. Ma forse è proprio questa la sua funzione: non consolare, ma risvegliare.
In un’epoca in cui la cronaca ci restituisce ogni giorno storie di bambini che finiscono male, Primmammore è un libro necessario.
È un libro che ci chiede di non distogliere lo sguardo, di non ridurre queste storie a semplici notizie di passaggio.
È un libro che ci dice che il male non è solo di chi lo commette, ma anche di chi lo permette con il proprio silenzio.
Titti Marrone ha scritto un romanzo doloroso, ma imprescindibile.
Un romanzo che ci costringe a chiederci: COSA FAREMO, la prossima volta che vedremo un segnale?
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