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mercoledì 22 ottobre 2025

Recensione: TANTA ANCORA VITA di Viola Ardone

Buongiorno! Grazie alla collaborazione con la casa editrice Einaudi, oggi vi parlo di Tanta ancora vita di Viola Ardone.

tanta ancora vita

di Viola Ardone
Editore: Einaudi
Pagine: 301
GENERE: Narrativa contemporanea
Prezzo: 12,99€ - 19,00
Formato: eBook - Cartaceo
Data d'uscita: 2025
LINK D'ACQUISTO: ❤︎
VOTO: 🌟🌟🌟🌟 

Trama:
Una mattina Vita apre la porta di casa e trova, accoccolato sull'uscio, Kostya. Lui, che neppure parla la sua lingua, le cambierà l'esistenza. Perché ogni figlio nato sulla terra è il figlio di tutte, di tutti. Nei romanzi di Viola Ardone l'incontro fra esseri umani ha sempre la potenza di un miracolo, capace di scardinare la solitudine, di ricomporre la speranza. Kostya ha dieci anni quando si mette in viaggio per arrivare dalla nonna Irina, domestica a Napoli. Nello zaino, la foto di una madre mai conosciuta e un indirizzo. Suo padre è al fronte per difendere l'Ucraina appena invasa. Tra soldati che cercano di bloccarlo al confine e sconosciute che gli dànno una mano, il bambino riesce ad arrivare. Vita, la signora per cui la nonna lavora, lo scopre addormentato sullo zerbino. Quattro anni fa lei ha perso suo figlio e ora passa le giornate da sola, o con Irina, che ha letto Dante e parla italiano come un poeta del Duecento. Il piccolo ospite inatteso la costringe di nuovo in quel ruolo che il destino le ha tolto. Poi, quando il padre di Kostya è dato per disperso, Irina torna nel suo Paese a cercarlo. D'impulso, Vita decide di raggiungerla, per aiutarla. Tentare di salvare un altro, del resto, è l'unico modo per salvare noi stessi.

RECENSIONE

Tanta ancora vita di Viola Ardone è un romanzo che non ha niente a che vedere con le storie di "vincitori", di gente che starnazza al mondo la propria felicità, il proprio egocentrismo fautore di un impellente successo nella vita. No, questo romanzo ti porta nella guerra, ai margini dell'odio e della cenere, a girare come una trottola per metà mondo, dove si respira la polvere e la sconfitta. Ti riempie lo stomaco di pugni, e ogni tanto ti scivola addosso qualche carezza, ma prima devi pulirti la bocca sporca di sangue e di saliva rappresa, perché questa è una storia di fame ancestrale e di voglia di vendetta, di ansia di sopravvivenza e di urla gridate contro un Dio che non ascolta, mai, ma proprio mai. 

Viola Ardone sa cosa significa la disperazione e ce la butta addosso e cerca di convincerci a mangiarla come si fa con i bambini quando gli si offrono le caramelle, sì, cerca di sedurci con la sua prosa efficace, diretta, minimalista, ma poi non ti accorgi nemmeno che ti sta avvelenando il cuore. E lo fa diventare pesante, pesante, per poi volare un po' più leggero solo alla fine. 
Ma quanto patire per poi salvarsi. 

Da una parte c'è Kostya, un bambino ucraino di quasi dieci anni che la guerra costringe a un viaggio da solo verso l'ignoto. E già qui, le anime più sensibili, preparano i fazzoletti. Eh, sì, ce ne vogliono per tutta la lettura. La sua voce è un torrente in piena di ingenuità, spavalderia e una paura così profonda da dover essere mascherata con soprannomi buffi per i nemici ("facciadipeste") e una tenacia da piccolo eroe per necessità. Il mondo attraverso gli occhi di Kostya è un videogioco pericoloso in cui c'è una sola vita e le regole sono dettate dal suo "Tato" , un padre che lui venera come un eroe di guerra, aggrappandosi a un'immagine che, scopriremo, è una bugia costruita per sopravvivere. Il suo viaggio non è solo geografico, ma un doloroso percorso di perdita dell'innocenza, un'odissea moderna che strazia il cuore. 

Poi c'è Vita, e il suo nome non potrebbe essere più ironico. Vita è un'anima in apnea, una donna murata viva nel suo dolore dopo la tragica perdita del figlio, Cicú. La sua depressione ha un nome, Orietta, un'inquilina dispotica che le comanda di non vivere, di restare a letto, di arrendersi al nulla. Il suo mondo è silenzio, polvere, ricordi che feriscono e un matrimonio andato in pezzi. È una "madre interrotta", e il suo dolore è così tangibile da togliere il fiato. Quando Kostya, nipote della sua domestica Irina, piomba nella sua vita addormentandosi sul suo zerbino, è come un sassolino che increspa la superficie immobile del suo lago di dolore. Non la guarisce, no, sarebbe troppo semplice. Ma la costringe a muoversi, a prendersi cura, a riaprire uno spiraglio verso quel mondo da cui si era congedata. 

L'alternarsi dei punti di vista ci permette di immergerci completamente nelle due solitudini. Lo stile si adatta come una seconda pelle ai suoi protagonisti. La prosa di Kostya è svelta, musicale, intrisa del suo linguaggio inventato, quasi un dialetto dell'infanzia ferita. Quella di Vita è lirica, introspettiva, piena di metafore potenti che rendono la sua depressione una presenza fisica, quasi un terzo personaggio. 

Non dimentichiamoci della guerra. Quella esterna, fatta di bombe, fughe e confini, che devasta l'Ucraina e la vita di Kostya e di sua nonna Irina. E quella interna, silenziosa e altrettanto devastante, che Vita combatte ogni giorno contro il fantasma del lutto. Il romanzo crea un parallelo potentissimo tra queste due battaglie, dimostrando come la perdita sia un'esperienza universale, un territorio di guerra dell'anima.


La maternità e la perdita sono due temi su cui riflettere. C'è Irina, che parte per cercare un figlio disperso al fronte, aggrappata a una speranza disperata. E c'è Vita, che un figlio l'ha perso per sempre e deve imparare a sopravvivere. Il legame che si crea tra Vita e Kostya non è una semplice sostituzione, ma la scoperta che l'istinto di cura, l'amore materno, può trovare nuove strade, nuovi argini, anche quando il suo corso principale è stato tragicamente interrotto.
 

L'orrore della guerra resta, il dolore della perdita non svanisce. Ma ci mostra che anche nelle macerie più profonde, umane e materiali, può nascere un fiore. Che la vita, appunto, nonostante tutto, persiste, si aggrappa, trova nuovi modi per scorrere. Il finale non è una fine, ma un nuovo, fragile inizio, la nascita di una famiglia improbabile, tenuta insieme non dai legami di sangue, ma dalle cicatrici condivise. 

Leggetelo. Lasciate che la voce di Kostya vi contagi con la sua resilienza e che il silenzio di Vita vi riempia di compassione. Lasciate che questa storia vi ferisca e, infine, che vi guarisca un po', ricordandovi che anche quando tutto sembra perduto, c'è sempre, da qualche parte, "tanta ancora vita." 

Ciò che ti toglie il fiato in questa storia è che tu certi dolori li hai vissuti da vicino, e allora sai cosa significa quando il cervello ti comanda qualcosa che non sta né in cielo e né in terra ma sei talmente anestetizzato dal dolore che tutto ti pare meglio che pensare a quella cosa che ti ha distrutto la vita. 
E anche quando senti parlare di una guerra che non hai mai visto, ti senti colpito lo stesso perché lo vedi quel bambino piccolo piccolo a piedi e solo contro il mondo che si aggrappa con le viscere e con denti a un muro che gli scivola tra le mani, mentre lui precipita sempre più giù. 
Ma non si arrende, questo mai. 
Un piccolo eroe che non sa cosa cosa significa la salvezza, ma che ti salva con la sua innocenza.

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