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sabato 21 settembre 2024

Recensione: LA MORTE DELLA CULTURA DI MASSA di Vanni Codeluppi

Buongiorno! Grazie alla collaborazione con la casa editrice Carocci, oggi vi parlo di La morte della cultura di massa di Vanni Codeluppi.

la morte della cultura di massa

di Vanni Codeluppi
Editore: Carocci
Pagine: 116
GENERE: Saggio
Prezzo: 13,00
Formato: eBook - Cartaceo
Data d'uscita: 2024
LINK D'ACQUISTO: ❤︎
VOTO: 🌟🌟🌟🌟🌟

Trama:
Mi chiamo Sebastian Lindstrom, e sono il cattivo della storia. Ho deciso di mettermi a nudo, di dire la verità per una volta nella mia ingannevole vita, non importa quanto possa essere oscura. E vi assicuro che è così oscura, che vi ritroverete a vagare per i recessi bui della mia mente, in cerca della maniglia della porta che non c’è. Non scambiatela per una confessione. Non sono in cerca di perdono, e in ogni caso non lo accetterei. I miei peccati mi appartengono. Mi tengono compagnia. Si tratta della vera storia di come l’ho trovata, rapita e poi persa. Era una dolce donzella e aveva già il suo principe azzurro. Ma ogni fiaba ha un cattivo, qualcuno appostato nell’ombra pronto a mandare tutto all’aria. Un mascalzone disposto a mettere il mondo a ferro e fuoco pur di ottenere ciò che vuole. Quello sono io. Il cattivo della storia.

RECENSIONE

Nel suo saggio La morte della cultura di massa, Vanni Codeluppi traccia una linea netta e impietosa tra il passato della cultura condivisa e il desolante presente, in cui ciò che resta è una moltitudine alienata, frammentata in "sciami digitali". 

Il libro, colmo di osservazioni taglienti e supportato da un’indagine sociologica che non lascia scampo, è tanto una cronaca quanto un requiem per ciò che una volta era considerato “cultura popolare”, oggi ridotta a un’ombra del suo stesso significato. 

La tesi di fondo è semplice: la cultura di massa, nata negli anni del boom industriale e consolidata attraverso media come radio e televisione, ha subito un declino irreversibile, affogata in un mare di sottoprodotti globalizzati e mediocri. Dalla casa editrice Urania, che popolava le edicole con capolavori della fantascienza, al cinema di genere italiano degli anni Sessanta e Settanta, che, sebbene di medio valore, soddisfaceva le esigenze di una cultura intermedia, fino agli sceneggiati televisivi della Rai, che traghettavano la letteratura sugli schermi domestici. Tutto questo rappresentava un compromesso dignitoso tra intrattenimento e valore artistico. 

Oggi, quel mondo non esiste più. L’industria culturale ha subito una mutazione, verso il basso, e i contenuti si sono appiattiti, svuotati di senso e originalità. Netflix, Marvel e TikTok sono i nuovi sovrani di un regno dove l'arte non è altro che una superficie scintillante e la profondità un ricordo lontano. L’ascesa del digitale ha trasformato l’esperienza culturale in un “flusso di contenuti ininterrotto” che, come un fiume in piena, travolge tutto ciò che incontra, riducendo la qualità a una questione di velocità e visibilità. 

C’è una sorta di “marvelizzazione” della cultura: ripetizione ossessiva di personaggi e situazioni preconfezionate, destinate a confermare le aspettative del pubblico, invece di sfidarle. Non è più questione di stupire, emozionare o educare; si tratta semplicemente di “essere visti”, come i protagonisti dei brevi, banali video di TikTok che tengono incollate le masse a uno schermo, alimentando l’illusione di un’interazione che in realtà è pura alienazione. 

Ciò che un tempo era considerato midcult – un terreno di mezzo tra alta e bassa cultura – è stato del tutto cancellato. Persino i palinsesti televisivi, un tempo maestri di pedagogia popolare, sono ormai infestati da reality show, fiction di dubbia qualità e volgarità varie, contribuendo a quel che l’autore descrive come “la trappola alienante della distrazione di massa”. 

La televisione educativa degli anni Cinquanta e Sessanta si è trasformata in una macchina diseducativa, destinata a compiacere il peggior istinto delle masse, omogeneizzando i gusti e uccidendo ogni velleità di stimolare il pensiero critico. Il quadro che emerge dalle pagine è inquietante, ma ancor più lo è la sua conclusione: non siamo solo spettatori di questo declino, ne siamo complici. 

La cultura di massa, che per decenni ha alimentato la creatività popolare, è stata abbattuta da un processo di frammentazione che ha disperso le identità collettive in una miriade di sotto-culture, nicchie e fandom isolati, privi di qualunque spirito comune. Il passaggio dalla cultura di massa alla cultura di sciami digitali segna il punto di non ritorno. La diffusione globale di fenomeni come i film della Marvel o successi come Squid Game non rappresenta una democratizzazione della cultura, ma una sua riduzione a fenomeno globale senza anima né radici, uniformato dai parametri commerciali imposti dalle grandi piattaforme. Come un virus, queste logiche di mercato colonizzano ogni spazio creativo, lasciando dietro di sé un deserto culturale. 

Questo libro è un’esortazione a riflettere, a non accettare passivamente la deriva culturale. È una lettura che lascia il segno, sia per la lucidità con cui affronta temi complessi, sia per la capacità di collegare l’aspetto sociologico con quello culturale. L’amarezza che traspare tra le righe è palpabile: non c’è nostalgia, ma una fredda constatazione che qualcosa di essenziale è andato perduto. Il declino della creatività di massa, inteso come spazio comune di espressione e di identità collettiva, segna anche il declino della società stessa.

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