Buongiorno
cari lettori! Dopo aver letto diversi romanzi dello scrittore Paolo Grugni che ho apprezzato molto, oggi vi propongo la
recensione all’ultimo suo lavoro pubblicato da Melville, intitolato Darkland. Siamo nel 2015 in Germania e attraverso la storia
che vede come protagonisti un criminologo e un poliziotto vedremo lentamente
venire alla luce molti segreti riguardanti il nazismo ed Hitler e con essi
acquisiremo nuove consapevolezze grazie alle ricerche fatte dall’autore che
sono durate quattro anni. Un romanzo davvero interessante, da leggere per
capire.
Titolo: Darkland
Autore: Paolo Grugni
Editore: Melville
Pagine: 256
Genere: Thriller Storico
Prezzo: € 16,50
Uscita: Novembre 2015
TRAMA
Karl
Jerzyck, un professore di criminologia di Monaco, scopre in maniera del tutto
casuale delle ossa in un bosco vicino a Karlsruhe. I resti appartengono a
persone scomparse 25 anni prima in circostanze mai chiarite. Il criminologo e
Arno Schulze, l'ispettore della Kripo che aveva seguito il caso all'epoca,
decidono di riprendere le ricerche. I due si trovano presto coinvolti nelle
trame di gruppi neonazisti collegati a sette esoteriche e occulte. Un percorso
che li farà tornare indietro nel tempo ai campi di sterminio nazisti. La
ripresa delle indagini coincide però con una serie di nuove sparizioni, questa
volta nella città di Friburgo. Che cosa sta succedendo nella Foresta Nera?
Perché è stata scelta proprio questa zona della Germania? Jerzyck e Schulze scopriranno
che qualcuno ha deciso di riprendere gli esperimenti iniziati da Joseph
Mengele, l'angelo della morte, ad Auschwitz e mai conclusi. A quale scopo?
Perché il mondo del neonazismo è in fermento? Chi si nasconde dietro agli
omicidi? E qual è l'annuncio che una potente organizzazione neonazista si
accinge a lanciare il 20 novembre 2015 proprio in occasione del 70°
anniversario del processo di Norimberga?
Darkland è un romanzo frutto di
tanti anni di ricerca fatta di storia, politica, elementi sociali e soprattutto
culti ed ideologie delle quali, per la maggior parte, come rivelerà lo stesso
autore, siamo all’oscuro. Perché sembrerà assurdo dirlo, ma del nazismo, della sua storia, di Hitler e di tutto ciò che concerne
questo mondo che dovrebbe essere ormai caduto nel dimenticatoio, non si è
ancora detto tutto. E Paolo Grugni,
con il suo stile diretto, allergico ai fronzoli, alle presentazioni, alle descrizioni
per allungare il brodo, avido di dialoghi serrati, immediati, di domande e
pronte risposte, ci fornisce i risultati della sua indagine. Perché egli è uno
scrittore ma prima di tutto un uomo che s’interessa degli aspetti più nascosti,
soprattutto quelli per i quali vale la pena dedicare i propri anni al fine di
avere conferma dei propri sospetti.
Darkland è un thriller a
sfondo storico che parla di nazismo, di follia, di storia e di morte. Tanti
temi che sono stati affrontati in centinaia di libri prima di questo e che vengono
fuori anche qui ma con una luce diversa, quella torbida e cupa della Foresta Nera, il cuore della Germania.
L’avete guardata la copertina?
Nera, piena di nebbia, e
rossa come la svastica che risale in primo piano, i tronchi di alberi che
diventano fantasmi, protagonisti di una morte che aleggia indisturbata nell’atmosfera
che avvolge un’entità che diventa viva e che costituisce il fulcro di tutto il
romanzo.
Ho amato molto l’atmosfera
pesante, angosciante, piena di inquietudine
che l’autore riesce a farti sentire addosso, a respirare in mezzo a
quella foresta. Una dannazione che parla, un’oscurità che sgomenta, che cammina
come un’entità metafisica, che perde passo dopo passo la sua spiritualità per acquisire
consistenza, ferocia, ma con un tono sempre mellifluo, strisciante, che s’insinua
senza scossoni, languidamente nella mente.
“I cani che si
intravedevano dai cancelli delle ville sembravano animali fantastici. I loro
latrati erano la voce dei dannati.”
La Foresta Nera è il
luogo dove il protagonista, il criminologo Karl
Jerzyck trova ossa umane che non appartengono ad un solo corpo, bensì a
sette cadaveri risalenti ad una serie di omicidi irrisolti di venticinque anni
prima. Chi si occupò di quel caso fu il commissario Arno Schulze richiamato a far fronte ai propri demoni proprio dal
criminologo che lo coinvolge nuovamente in una ricerca estenuante, probabilmente
votata al fallimento, per scoprire quali misteri si celano realmente dietro
quelle morti e quelle nefandezze.
“Quelle persone furono
uccise. Lo sapevamo tutti che era così,
ma non avevamo le prove. Ora le ho.”
Per chi non conoscesse
la storia della Germania di quegli anni è un buon modo per prenderne parte con
la dovuta distanza ma anche per chi credesse di conoscere già tutto, beh, il
libro di Grugni può rivelarvi delle sorprese inaspettate.
Perché non si tratta
soltanto di storia raccontata, ma di angosce, domande, pulsazioni inverosimili
di fronte ad una serie di verità che ci sono state celate. Il suo intuito viene
premiato dalla fede nella ricerca e il nostro, di lettori, dalla soddisfazione
di avere tra le mani un libro che resta, che ti ha dato non qualcosa, ma molto
di più.
“Il nazismo non fu solo
una delirante e sanguinosa dittatura, ma fu un pensiero strutturato,
ammaliante, in grado di radicarsi con forza nell’animo umano.”
Un ringraziamento è
doveroso nei confronti di autori, come Paolo Grugni, che non scrivono tanto per
scrivere, non scrivono per intrattenere o per divertire, per il prurito vergognoso
di dire ci sono anch’io, o per il morbo infettivo della vetrina. Persone come
lui scrivono per una ragione ben precisa, la scoperta, la conoscenza, l’apprendimento,
l’acquisizione di domande e di risposte che ci diano una ragione, anche
soltanto una misera ragione in più, per comprendere meglio ciò che ci circonda,
perchè al di là della nostra esistenza di essere umani, del nostro mangiare,
bere, ridere e piangere, noi abbiamo il dovere, come dice la filosofia, di porci
domande, di allargare le nostre consapevolezze, di fidarci del nostro intuito
che ci spinge ad andare oltre, oltre le frasi fatte, le storie già raccontate,
i fatti che sembrano essersi conclusi. Oltre. Paolo Grugni ci porta un bel po’
più in là e non resta che ringraziarlo per quello che fa, anche al posto
nostro.
I personaggi sono
delineati in modo preciso e sostanziale. Due uomini alle prese con una storia
che non può avere perdono e davanti alla quale si può soltanto acquisire nuova
consapevolezza e magari rimanere anche stupefatti e ancora un volta incapaci di
accettare tale lucida follia. Il criminologo è un uomo pratico, con uno sfascio
familiare alle spalle, problemi nel suo ruolo di docente, ma è oltre ogni
dubbio una persona che vuole capire, che agisce per la comprensione e non per l’ottundimento
al quale vorrebbero tristemente abituarci. Il commissario è un uomo triste,
quasi abbandonato con le sue sigarette a fargli compagnia e con il peso
doloroso di un passato che non è riuscito a risolvere.
La luce è un elemento
fondamentale del libro, la stessa luce che si oppone all’oscurità della Foresta
Nera, del nazismo, della stessa Germania che ancora oggi lotta contro quei
fantasmi che pur avendo perso la loro forma non hanno perso il loro potere,
quello di incutere timore. Luce e ombra, che continuamente lottano alla stregua
di una storia che non vede né vincitori e né sconfitti realmente, perché in
fondo è come se fosse tutto già scritto, soltanto con in più una importante verità che
si scioglie sotto il sole.
Darkland è la terra delle tenebre, la terra di ciò
che è nascosto. Perché le tenebre sono state il nazismo, Auschwitz, la morte, i
lagher, Hitler ma c’è anche luce in quella razza ariana che i nazisti credevano
superiore e per la quale si è verificato lo sterminio degli ebrei. Nuove domande
e stupefacenti risposte sono pronte ad accogliervi
nel romanzo di Grugni, senza dimenticare mai che l’autore gioca molto con le
metafore, con la dicitura veget-ariano, e con tutto ciò che concerne e che non
va letto ma interpretato nel suo libro e oltre.
E’ come se lui ci desse tante
chiavi di lettura, forse molte di più di quanto noi siamo in grado di gestire, controllare, archiviare,
eppure lo fa perché si fida di noi, si fida dei suoi lettori e con essi vuole
condividere il suo proposito.
La sua scrittura non è mai fine a se stessa, non
risponde mai ad un bisogno isolato di autoelogio, non ha forme di esaltazione
nello stile né nella forma, non è adulatorio e non è figlia di uno sterile autocompiacimento. La sua è una
missione, un compito, uno scopo ben preciso che si ripete in ogni suo
libro, e che qui raggiunge il punto più alto di presa di coscienza collettiva.
E’ una responsabilità che lui si prende e che di rimando passa a noi. La
responsabilità di essere lettori con gli attributi, di avere almeno la metà del
suo coraggio e della sua perspicacia. Di essere almeno all’altezza della sua
considerazione. Lui condivide, accresce e moltiplica. A noi il peso felice di
diffondere. Meno ignoranza, più coscienza. Anche questo è un libro. Soprattutto.