Siamo giunti a metà settimana
e una nuova recensione dedicata ad un romanzo scritto dal giornalista Valerio Varesi, con uno stile molto forte,
determinato, privo di mezze misure ed estremo, diretto a dare una visione dell’Italia
in trent’anni di politica e di storia,
senza sconti e senza falso perbenismo. Lo stato di ebbrezza, edito da Frassinelli, un titolo che ritengo molto bello per una storia che non lascia indifferenti, nel bene e nel male, perché non può, è impossibile.
Titolo: Lo stato di ebbrezza
Autore: Valerio Varesi
Editore: Frassinelli
Pagine: 324
Genere: Narrativa
Genere: Narrativa
Prezzo: € 18,50
Uscita: 2015
TRAMA
Domenico
Nanni è un uomo che sta facendo i conti con se stesso. A sessant'anni, si
guarda indietro e quello che vede è l'immagine di chi non si è fatto scrupoli
ad arraffare tutto ciò che poteva, senza nulla in cui credere se non successo,
potere, denaro. Presto orfano di padre, cresciuto da una madre che ha sgobbato
per potergli garantire un'istruzione, negli anni Sessanta Domenico sposa gli
ideali rivoluzionari, forse più per il desiderio di essere come gli altri che
per convinzione. Giornalista di nera a l'Avvenire, per un po' se ne sta a
guardare, ma ben presto inizia a cedere alle lusinghe di un mondo sensuale,
prepotente e affascinante che si va affermando giorno dopo giorno. Con gli anni
Ottanta inizia il gran ballo, e molti pensano a riempirsi la pancia, con buona
pace di sogni e utopie. Nanni è uno di quelli. Con l'ascesa del Partito
Socialista e la vittoria di una politica del bengodi, salta sul carro del
vincitore e – grazie anche all'aiuto di Susanna e della sua prorompente e
cinica vitalità – si reinventa come pierre, perché «se la fame non c'è, bisogna
ingolosire». Un teatrante che vende idee ammantandole d'oro. Si sporca le mani
con la politica, l'industria, la finanza, e così attraversa gli ultimi
trent'anni della storia italiana. E la sua parabola diventa metafora di quella
del nostro Paese. Fino a uno sconvolgente rigurgito di coscienza che regala al
lettore uno sguardo affilato e spietato su una Grande Bellezza che ci ha
lasciati con un gran carico di immondizia. Lo stato di
ebbrezza è nello stesso tempo una lunga e appassionata invettiva, e un
profondo, a tratti struggente, romanzo psicologico e introspettivo, che ci
obbliga a ricordare che cosa siamo stati, e a chiederci che cosa siamo
diventati. Un "viaggio al termine della notte" nell'Italia degli
ultimi trent'anni.
Valerio Varesi, nato a
Torino nel 1959, vive a Parma e lavora nella redazione de la Repubblica di Bologna. Romanziere eclettico, è
il creatore del commissario Soneri, protagonista dei polizieschi che hanno
ispirato le tre serie televisive Nebbie e delitticon Luca Barbareschi (distribuite anche negli
Stati Uniti). I romanzi con Soneri sono stati tradotti in tutto il mondo e nel
2011 lo scrittore è stato finalista al CWA International Dagger, il premio
internazionale per la narrativa gialla. Recentemente è stata ripubblicata da Frassinelli
la prima indagine di Soneri, Ultime notizie di una fuga, con una nuova
prefazione dell'autore. Parallelamente Varesi ha iniziato la propria personale ricognizione della Storia con due romanzi generosi e appassionanti: La sentenzae Il rivoluzionario.
Lo stato di ebbrezza potrebbe
essere un saggio ma è un romanzo nel quale si mescolano molteplici argomentazioni
e diversi stili, linguaggi che lo denotano come una lettura molto interessante
e affascinante.
Valerio Varesi è
giornalista oltre che scrittore ma all’interno di questo testo non troverete
nessun taglio giornalistico o una forma narrativa assimilabile a quella di un
articolo, bensì una scrittura altisonante, esaltata, feroce per certi versi,
indignata e urlata. Perché? Basta semplicemente dire che la trama ripercorre le
vicende politiche e sociali che hanno visto protagonista l’Italia, la nostra
Italia, dagli anni 70 fino al duemila, poco prima del governo Renzi.
Un lasso
di tempo non indifferente ma soprattutto una totalità di argomenti, storie,
vicende, scandali, vergogne e menzogne davvero senza dignità che però hanno
contribuito inesorabilmente a rendere il nostro paese quello che è oggi: un
collasso che continua a collassare, un serpente che si mangia da solo la coda, perché
la colpa è principalmente la nostra, degli italiani, la mia, la tua.
Domenico Nanni, il protagonista, è ormai
un uomo maturo sulla sessantina, condannato sulla sedia a rotelle, che però ha
vissuto gli anni dei grandi sogni, delle meritate illusioni, è stato uno che ha sempre creduto nei grandi ideali, quando c’era ancora qualcosa in
cui credere probabilmente e che poi, lentamente, insieme ai tempi che sono
inesorabilmente e tristemente cambiati, ha mostrato una certa predisposizione
alla corruzione, ai mezzi termini, alla scelta di quel grigio, che non è più
bianco e nero con contrasto netto, che gli ha permesso di andare avanti e di “sottomettersi”
al flusso corrente di ciò che andava fatto per sopravvivere, per andare avanti
insomma, senza troppi scossoni.
Egli rappresenta la decadenza dell’Italia, è il
simbolo che attraverso il suo corpo, le sue scelte, i suoi pensieri e
soprattutto la sua morale ha decretato lo stato in cui verte il nostro paese
oggi. Non ci sono molti personaggi nel romanzo, ma ognuno di essi riflette a
piene mani e con soddisfazione (delusione) i ruoli importanti e che ammettono
senza interferenze né ammorbidimenti di sorta, quali sono stati gli errori, le
cecità, i passi falsi di un popolo che ha sempre avuto bisogno soltanto di
incantatori. Gente di un paese come l’Italia imbambolato dalle personalità
della tv, da uomini che sono saliti al potere grazie alle promesse mai
mantenute, gente che non ha mai voluto
guardare in faccia i veri problemi, cullandosi nell’idea che ci fossero persone
oneste (?) a cui importasse davvero qualcosa di sostenere il paese invece che di
arricchirsi a spese dei cittadini.
“Il mondo va un po’ dove ne ha
voglia e un po’ dove lo menano», gli dico. «Adesso lo stanno menando gli altri.
Ce lo hanno sfilato mentre noi ci facevamo un mucchio di seghe mentali. In
tanti hanno trovato di meglio perché, in fondo, non gliene fregava niente. Era
solo moda.”
Un gran bel sogno, non c’è che
dire, ma il tempo delle illusioni è finito da un bel po’ ed è proprio quello
che racconta Varesi nel suo libro, dove attraverso un’analisi attenta ed
approfondita ma mai asciutta o distaccata, sempre pregna di partecipazione e di
convinzione, di sostanza e di appartenenza, egli mostra il volto struccato di
una classe politica che ha distrutto l’economia di un paese, e noi glielo
abbiamo lasciato fare.
Nanni non è innocente, come cittadino, come uomo, come
essere umano, come Italiano, e non lo è nessuno di noi di fronte all’ingiustizia
di un impoverimento che partendo dal passato, non ha lasciato altro che ossa
alle generazioni future. Ossa mezze marce dalle quali è davvero difficile
partire per creare una nuova base solida di un paese che dovrebbe prima di tutto
ritrovare la fiducia. Che parolone, non è così? Non tanto la speranza, perché quella
la puoi ritrovare prima o poi, basta adocchiare un barlume di luce ed essa
rinasce, perché nessuno vuole che la notte duri per sempre. Ma il problema è la
fiducia. Quella ce l’hanno martirizzata, oltraggiata, ci hanno sputato addosso
dall’alto delle loro cariche, l’hanno resa una marionetta con la quale ci hanno
preso in giro per anni, raccontandoci solo un mucchio di fandonie.
“Il mondo, caro mio, è di chi
sa reggere la sua parte con convinzione, mi ripeteva. Tutto è ormai in
superficie: è l’apparire, la figura che fai e la sicurezza che mostri. Nessuno
ti verrà mai a chiedere quel che sei per il resto. Li han drogati a dovere con
la televisione che gli basta quel che vedono.”
Lo stato di ebbrezza, questo
titolo che io ho trovato meraviglioso e che invece alcuni hanno criticato,
significa proprio l’imbambolamento e la pietrificazione di un paese davanti alle proprie
responsabilità, perché il problema vero secondo l’autore non è la corruzione,
ma il coraggio. Ebbrezza perché il sogno dell’incanto è ormai finito ed è
finito pure il tempo dell’essere ubriachi, ebbri, sfatti di bugie e di promesse
illusorie, questo sarebbe il momento della responsabilità e della
controtendenza, ma potrebbe essere anche tardi per un popolo che si è lasciato
ingolosire, corrompere, abbagliare per anni ed anni inutilmente.
“Il male maggiore non è la
corruzione, ma l'assenza di coraggio.”
Questo romanzo narra la storia
degli ultimi trent’anni e lo fa passando per i governi bugiardi, per Tangentopoli,
per gli scandali, per i maghi della tv che hanno reso celebre la politica
attraverso le immagini, gli spot alla cui testa c’è stato Berlusconi. Una storia
che ha reso la democrazia una finzione, il voto un’apparenza, la realtà uno
scherzo di cattivo gusto che tutti ci siamo ritrovati cuciti addosso e ancora
oggi stiamo a chiederci perché siamo arrivati a questo punto?
Valerio Varesi non è per gli
sconti, il suo stile è efferato, l’uso dei dialetti rende tutto palpabile e ancora
più sinistro, terribile, irreparabile. O ti volti dall’altra parte o non ti
resta che affrontare. E’ inutile fuggire perché ci siamo dentro tutti, senza
nessuna esclusione. E’ questa la sensazione angosciante, greve che mi ha lasciato addosso questa
lettura. Il senso di colpa, la perdita di innocenza, la consapevolezza che
abbiamo perso la cultura dell’appartenenza, il senso di orgoglio per il nostro
paese, la dignità di un popolo che si è visto spolpare viva la fede della
riuscita e ancora adesso siamo nelle mani di pagliacci di cui non abbiamo
nemmeno votato l’inserimento al governo.
Insomma le riflessioni che vengono
fuori sono tante, forse anche troppe per contenerle tutte e per non
sentirsi quasi oppressi da tale furia, mancanza di pietà, condanna, che il
protagonista rivolge in qualche modo verso se stesso e che emerge quasi come un
invito per ciascuno di noi a fare i conti
con la propria coscienza. Un atto di coraggio a guardarsi in faccia, smettendo
di fare le vittime perché gli italiani c’erano mentre succedeva tutto questo, non dimentichiamolo e tanto per ricordarlo, ci siamo anche adesso.
L'avevo adocchiato e la tua recensione mi ha messo ancora più curiosità. Penso però che lascerò passare ancora qualche tempo prima di prenderlo perché penso che non si sia mai del tutto obiettivi sulle questioni politiche se le si sta vivendo sulla propria pelle.
RispondiEliminaNon credo molto nell'obiettività, la nostra sensibilità prende comunque sempre il sopravvento, ancora di più se si legge un romanzo simile, davvero tosto.
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