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giovedì 9 giugno 2016

Fedele alla linea di Nicola Fermani Recensione

Buon pomeriggio! Fedele alla linea di Nicola Fermani è il secondo romanzo di cui vi parlo oggi. Un viaggio sia reale che metaforico che abbraccia tantissime destinazioni e tante consapevolezze. La domanda che inquieta l'anima dell'autore e del suo protagonista che sono la stessa persona, è se bisogna integrarsi o meno. Tra pensieri filosofici e avventure ironiche e divertenti, un romanzo reale e vero. 



Titolo: Fedele alla linea
Autore: Nicola Fermani
Editore: Eremon
Genere: Romanzo
Pagine: 139
Prezzo: 2,99
Uscita: 2016
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TRAMA



Dal terrazzo della sua camera da letto, in un piccolo paese delle Marche, fino al deserto di Atacama: Nicola, 36 anni, si accompagna, a strappi e singhiozzi, attraverso gli ultimi sette anni della sua vita. Tonfi, conquiste reali o solo apparenti: i titoli dei capitoli scandiscono le mete di furiosi viaggi in solitaria, vissuti senza mai una pausa da se stesso. Dal caos romano alla magia di Tallin, dal gelo di Katowice alle biciclette di Utrecht, dalle vie claustrofobiche di Dublino ai camminatOi traballanti degli splav del Danubio, fino al Machu Picchu e ai piedi scalzi dei bambini di BelenAlla fine del viaggio, Nicola è di nuovo sul terrazzo della sua camera da letto, con i bagagli da disfare. E con gli stessi dubbi di 7 anni prima: adattarsi o andare fino in fondo?

















Fedele alla linea è un romanzo che apparentemente parla di un viaggio, una ricerca che va oltre il tempo e lo spazio tradizionali per poi avvalorarsi di una presa di coscienza costante ed in ripetizione, come un leitmotiv autunnale che si scontra sempre con la stessa frase: Con un piano, infallibile. Per giunta. 
E’ questo il motivo che si ripete e s’incastra indistruttibile e possente alla fine di ogni esperienza che l’autore, parlando di se stesso, affronta, con coraggio e determinazione, ogni volta, come la prima volta, come se volesse cambiare se stesso o forse addirittura il mondo. 
Il suo viaggio reale e metaforico lo porta in giro per il mondo, a scontrarsi con città immense e meravigliose, ma anche squallide, silenziose, inamovibili nella loro tristezza di luoghi che per quanto possano essere grandi, eterni, immensi, effervescenti come Dublino, Copenaghen, Amsterdam, restano sempre e soltanto uno specchio, enorme, di quelli che fatichi a distruggere, pronti a riflettere nient’altro che l’anima del viaggiatore, lo sguardo sconclusionato di chi gli si avvicina, pieno di speranze e con i propri bagagli, pronto a rivoluzionare la sua mente ed il suo cuore. 
Non ho mai amato nessuna donna, credo. La donna della vita non esiste. E quando mi dicono che sono uno che non si innamora, dico che forse hanno ragione. O forse sono il più romantico dei romantici. Forse credo talmente nell’amore che ogni volta non voglio rassegnarmi a credere che sia tutto qui. 
Ma quanto questo sia effettivamente possibile? Quanto, un uomo, come il protagonista di questo romanzo, così radicato nella sua vita, nelle sue scelte, nella sua morale e nelle sue abitudini, possa veramente cambiare, addentrarsi finalmente in quella società, in quel mondo, attenendosi a quel modus operandi di tutti e per tutti, socialmente accettato, che però non gli appartiene, nonostante tutti gli sforzi, gli impicci, le trovate e i tentativi? 
Lo stile dell’autore è ironico, divertente, leggero, scherzoso e riesce a non annoiare narrando di esperienze che potrebbero essere comuni a più persone ma sicuramente interessanti dal punto di vista con cui vengono espresse in questo romanzo. Il linguaggio è diretto, franco, privo di sottigliezze, specchio esplicito dei contenuti, che non si nascondono dietro nessun falso perbenismo ma sono soltanto l’evidente rimando della lezione esistenziale che il protagonista ha ricevuto dalle sue stesse scelte di vita. 
Proverò a rimettere qui le mie radici, proprio quando tutti vorrebbero essere altrove. Senza mai essere stati altrove. Pensando che altrove sia la soluzione. Altrove io ci sono stato, non è meglio di qui. 
Considerando la portata di un romanzo del genere e l’intento con cui viene scritto, due sono i fili conduttori: l’ironia e la riflessione. L’autore riesce a convogliare molto bene in un unico scritto questi due elementi fondamentali per apprezzare questo tipo di narrazioni che si rivelano oggettivamente personali, perché riflettono chiaramente esperienze reali ma al contempo riescono a fornire una visione globale, universale delle emozioni, delle sensazioni e delle consapevolezze che ciascuno di noi ha nella propria vita. 
Piccole e grandi certezze, inquietudini, paure, deliri e follie che tra queste righe s’incontrano, diventando voce di un atteggiamento selvaggio e ribelle nei confronti di qualsiasi struttura e composizione logica che possa fungere da catena e da prigione per l’assoluto senso di libertà di cui è permeata l’anima del protagonista. 
Continuerò a credere che disturbo e privilegio siano sinonimi. Perchè il disprezzo patologico del soggetto per le regole e le leggi della società è un privilegio antisociale di personalità. Un vissuto emozionale eccessivo e variabile è un privilegio borderline di personalità. 
Oltre al racconto di ciascuna città, bello nella sua fedele rappresentazione a volte persino fotografica come scatti, fasci di luce, attimi incastrati tra le parole che ti sembra di vivere tra quelle strade e quella gente, ci sono tanti pensieri, belli e profondi, che andrebbero raccolti e tenuti da parte. Pensieri sulla vita, sulla morte, su ciò che siamo e soprattutto sentiamo. L’autore è in grado di far trasparire in modo chiaro e godibile, l’impatto che quei viaggi e soprattutto quei luoghi hanno avuto su di lui. Lui stesso funge da mediatore, da catalizzatore, trasformando quelle sensazioni in parole e le parole diventano riflessioni, verità, certezze. 
La fuga è ciò che maggiormente intimorisce il protagonista e allo stesso tempo è l’atto che compie più spesso, fino all’estremo, fino a quando raggiunge il punto culminante della sua consapevolezza. Tra feste, discoteche, incontri improbabili, sesso e nuovi e vecchi amici, tra regole da rispettare e poi da infrangere, come quella di lasciare il lavoro, Nicola si sente spesso smarrito. Lo smarrimento rende questo romanzo pazzesco e divertente allo stesso tempo, forte e riflessivo, umano e realistico.  
In 36 anni sono diventato questo, tutto questo. Mi adatterò perché in fondo mi voglio bene e sono stanco di soffrire. Ce la farò, lo so. Ma non sarò mai un integrato. Perchè un disadattato è uno che combatterà fino all’ultimo dei propri giorni. 
Pieno di accenni e di frasi sulla vita a metà tra la filosofia e la strada, tra la voglia di elevarsi, avvicinarsi al mondo sociale, a quell’integrazione tanto formale e normale e l’ansia di riscatto, la voglia di affrontare i propri disturbi e renderli legali. Fedele alla linea percorre un sentiero che non è lineare nella forma ma lo è nello scopo. Nell’intenzione dell’autore di raccontare se stesso, quello che ha fatto e la sua personale visione di ciò che ci circonda, delle cose più banali e più comuni a tutti, c’è un equilibrio distorto, una fantasia ammaccata, una realtà vivida che ancora sanguina. Una grande metafora, quella del viaggio, usata in modo intelligente e astuto, per dare ancora più intensità ed impeto ad un tema così caldo e vicino da appartenere a chiunque si avvicini a questa lettura che forse apparentemente non sembra essere così profonda e corposa ma leggendo si viene colti da una sostanziale consapevolezza. Un libro che, proprio come dovrebbe fare ciascun testo, riesce a darti qualcosa, qualcosa in più, poi sta a chi legge usarlo nel modo che considera migliore. O peggiore. A voi la scelta.


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