Buon
mercoledì! La recensione di oggi riguarda Luminusa,
romanzo di Franca
Cavagnoli, inviatomi gentilmente da Frassinelli. Un museo dei migranti è il centro focale della
narrazione, piena di riflessioni molto importanti e necessarie considerando il
problema dello sbarco degli stranieri nella città di Lampedusa. Un tema quanto
mai attuale.
Titolo: Luminusa
Autore: Franca Cavagnoli
Editore: Frassinelli
Pagine: 168
Genere: Narrativa
Genere: Narrativa
Prezzo: € 18,50
Uscita: 2015
TRAMA
Mario,
giovane studente di scienze politiche a Milano, decide di trasferirsi a
Lampedusa durante l'emergenza sbarchi del 2011. Dopo due anni, Mario si è
ambientato nell'isola e lavora insieme ai suoi coinquilini alla realizzazione
di un museo dei migranti: un luogo della memoria dove raccogliere gli oggetti
restituiti dal mare di chi non ce l'ha fatta. Il compito di Mario è quello di
scrivere le didascalie dei pezzi esposti, e lui decide di farlo in versi perché
spera che così restino più a lungo dentro chi le legge. Ma Mario a Lampedusa
cerca di dare un senso anche alla propria esistenza, segnata dalla malinconia,
dalla disillusione e da un segreto che il ragazzo cerca di tenere sepolto...
Franca Cavagnoli: scrittrice e traduttrice, ha pubblicato per Frassinelli i romanzi
Una pioggia bruciante e Non si è seri a 17 anni, e per Feltrinelli i racconti
Mbaqanga e Black. Ha tradotto e curato opere di J.M. Coetzee, Nadine Gordimer,
Katherine Mansfield, Toni Morrison, V.S. Naipaul. Collabora a «il manifesto» e
«Alias». Per il suo saggio La voce del testo ha avuto nel 2013 il premio Lo
Straniero.
In poco tempo mi sono
ritrovata a leggere di musei, il primo quello presente in Non luogo a procedere di Claudio
Magris, il museo della guerra e adesso quello raccontato da Franca Cavagnoli in Luminusa che ha tutt’altro valore e
senso: un museo dei migranti, di eccezionale interesse e valore storico, come tutte le tematiche
affrontate nel libro, in questo particolare momento che tutti stiamo vivendo.
Luminusa è Lampedusa, luogo d’incanto
e di disincanto per milioni di migranti africani giunti sulle coste siciliane
con il loro bagaglio pesantissimo di sogni e speranze.
“Potevo solo andare avanti. E
davanti a me c’era il mare.”
Mario, il protagonista, è uno
studente milanese di Scienze Politiche che decide di trasferirsi a Lampedusa
durante gli sbarchi del 2011. Trovando lavoro all’interno del museo della
città, decide di creare una sorta di memoriale alternativo, fatto di reliquie e
relitti, ricordi ed oggetti che i migranti hanno lasciato nel mare o sulle
spiagge quando non ce l’hanno fatta.
La storia è oltremodo
nostalgica e tristemente malinconica. Appena iniziata la lettura, subito mi
sono venuti i brividi non tanto per quello che l’autrice narra ma per il modo e
per ciò che significa. Il senso di morte, di perdita costantemente presente, la
volontà di guardare questo “problema” con gli occhi di una civiltà che sembra
essere andata distrutta.
Nella narrazione dell’autrice emerge la rabbia, lo
sconforto, la disillusione, e soprattutto l’indignazione per un paese, il
nostro, che ora più che mai, sopravvive solo di compromessi e che non è in
grado di risolvere quella che, anno dopo anno, sta diventando una malattia
incurabile. E nel frattempo Luminusa si ferisce da sola e viene ferita dall’indifferenza,
da quella scia di dolore e di angoscia immensi che la scuotono e la fanno
continuamente tremare e di fronte alla quale dovrebbe essere impossibile
voltare la faccia.
“Ha un nome che evoca la luce,
il fuoco, e nelle giornate limpide ti sembra di percepire la grana dell’aria –
argento puro. In fondo al suo mare, che ha tutte le sfumature del verde,
dell’azzurro e del blu, giacciono ventimila morti senza nome, ammazzati.”
Eppure è ciò che avviene ed è
ciò contro cui le parole dei personaggi, chiari rappresentanti di atteggiamenti
politici e sociali diversi, si scagliano in nome di un’accoglienza che dovrebbe
essere una possibilità e non un andare al martirio.
Mario raccoglie gli oggetti e per ognuno di essi s’inventa una storia
riportandola in versi. Poesia e vita reale si confondono, si incrociano tra le
onde e sulla terra di un luogo che sembra aver perso il proprio dio. Eppure i
migranti, la cui voce esplode lenta e consapevole tra le pagine del libro, ce l’hanno
la fede, ed è quella più grande, indistruttibile e purtroppo spesso persino
insanabile: la fede nella speranza, nella voglia del cambiamento, una fede che
si chiama coraggio e che si scontra contro qualsiasi prospettiva di rischio.
Le riflessioni che emergono
sono tante, così tante da farti fermare e pensare portando la mente a quelle
storie che poi sono la nostra storia, perché è inutile convincersi che non ci
toccano, ci toccano tutti, perché sporcano la nostra presunta umanità. Sono stragi
che mettono in luce la nostra incapacità di accogliere il diverso, la
vergognosa incompetenza politica, le classi istituzionali che se ne fregano, lo
sguardo vacuo e velato di chi muore rischiando.
Il linguaggio, pacato e asciutto, è prosa e
poesia, denuncia e riflessione, invito a pensare e ad agire, persino a reagire
di fronte ad una tragedia che ha reso il mare di Lampedusa un cimitero privo di
voce ma non per questo incapace di urlare. Il suo urlo è nella memoria, nel
ricordo, nel ripetersi costante e ineluttabile ogni anno della stessa
imperturbabile condizione di omicidio. Un omicidio annunciato, di fronte al
quale nessuno è in grado di porvi riparo.
Le diverse voci, così corali e
calde, vicine, a volte tuonanti che si percepiscono nel libro, sono le diverse
facce di una stessa medaglia, della medesima situazione di disillusione e di
sconforto che ci ha segnati tutti, senza differenze.
Ci pensate mai a tutte quelle
morti? A quel mare sul quale si riflettono i lampi durante i temporali e il
loro riverbero magico finisce sugli scogli e sulla terra di quel luogo che da
questo spettacolo naturale trae il nome? Un luogo quasi irreale pregno di
bellezza e anche di maledizione.
Un pezzo di umanità galleggiante su quelle
acque che qualcuno deve aver dannato per sempre. L’autrice con coraggio e senza
inveire, senza usare prepotenza o illazione, ci conduce alla sua maniera su
quelle spiagge contaminate dalla paura e dall’orrore, dando voce anche ai
migranti, ad un popolo di esseri venuti da lontano, senza niente ma quel niente
non vuol dire che debbano essere privati della loro umanità. Eppure quella
morte alla quale spesso vanno consapevolmente incontro è un orizzonte molto più
allettante di una guerra che li vede già morti e sconfitti dentro. E allora
meglio la speranza di un futuro quasi improbabile in una terra lontana che abbia
però il sapore della luce e non quello della polvere da sparo, che l’incubo di
una fine che ti riduce ad essere niente nel bel mezzo di un nulla senza nome.
E dunque Luminusa è un No all’innocenza
perché nessuno è innocente. E’ un No alla morte, un No all’indifferenza, alla
cecità, al mutismo di una società che diventa giorno dopo giorno l’assoluta e
deleteria carnefice di un’umanità che non esclude prima di tutto proprio se
stessa. E’ questo quello che nessuno vuole capire. Quello che oggi capita a qualcun
altro, domani può capitare a voi, noi. E allora una bella lezione di altruismo,
di solidarietà, no, non basta. Perché non si tratta di questo, si tratta proprio
di coscienza e neanche questo basta. Ciò che prevale è l’ignoranza, e contro
quella, ahimè, c’è poco da fare.
Lettura impegnativa....
RispondiEliminaSì ma bella.
EliminaL'ho letto, ti lascia qualcosa dentro.
RispondiEliminaE' vero...
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