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mercoledì 9 dicembre 2015

Luminusa di Franca Cavagnoli Recensione

Buon mercoledì! La recensione di oggi riguarda Luminusa, romanzo di Franca Cavagnoli, inviatomi gentilmente da Frassinelli. Un museo dei migranti è il centro focale della narrazione, piena di riflessioni molto importanti e necessarie considerando il problema dello sbarco degli stranieri nella città di Lampedusa. Un tema quanto mai attuale.



Titolo: Luminusa
Autore: Franca Cavagnoli
Editore: Frassinelli
Pagine: 168
Genere: Narrativa
Prezzo: € 18,50
Uscita: 2015
TRAMA

Mario, giovane studente di scienze politiche a Milano, decide di trasferirsi a Lampedusa durante l'emergenza sbarchi del 2011. Dopo due anni, Mario si è ambientato nell'isola e lavora insieme ai suoi coinquilini alla realizzazione di un museo dei migranti: un luogo della memoria dove raccogliere gli oggetti restituiti dal mare di chi non ce l'ha fatta. Il compito di Mario è quello di scrivere le didascalie dei pezzi esposti, e lui decide di farlo in versi perché spera che così restino più a lungo dentro chi le legge. Ma Mario a Lampedusa cerca di dare un senso anche alla propria esistenza, segnata dalla malinconia, dalla disillusione e da un segreto che il ragazzo cerca di tenere sepolto...

Franca Cavagnoli: scrittrice e traduttrice, ha pubblicato per Frassinelli i romanzi Una pioggia bruciante e Non si è seri a 17 anni, e per Feltrinelli i racconti Mbaqanga e Black. Ha tradotto e curato opere di J.M. Coetzee, Nadine Gordimer, Katherine Mansfield, Toni Morrison, V.S. Naipaul. Collabora a «il manifesto» e «Alias». Per il suo saggio La voce del testo ha avuto nel 2013 il premio Lo Straniero.




In poco tempo mi sono ritrovata a leggere di musei, il primo quello presente in Non luogo a procedere di Claudio Magris, il museo della guerra e adesso quello raccontato da Franca Cavagnoli in Luminusa che ha tutt’altro valore e senso: un museo dei migranti, di eccezionale interesse  e valore storico, come tutte le tematiche affrontate nel libro, in questo particolare momento che tutti stiamo vivendo.

Luminusa è Lampedusa, luogo d’incanto e di disincanto per milioni di migranti africani giunti sulle coste siciliane con il loro bagaglio pesantissimo di sogni e speranze.

“Potevo solo andare avanti. E davanti a me c’era il mare.”

Mario, il protagonista, è uno studente milanese di Scienze Politiche che decide di trasferirsi a Lampedusa durante gli sbarchi del 2011. Trovando lavoro all’interno del museo della città, decide di creare una sorta di memoriale alternativo, fatto di reliquie e relitti, ricordi ed oggetti che i migranti hanno lasciato nel mare o sulle spiagge quando non ce l’hanno fatta.

La storia è oltremodo nostalgica e tristemente malinconica. Appena iniziata la lettura, subito mi sono venuti i brividi non tanto per quello che l’autrice narra ma per il modo e per ciò che significa. Il senso di morte, di perdita costantemente presente, la volontà di guardare questo “problema” con gli occhi di una civiltà che sembra essere andata distrutta. 

Nella narrazione dell’autrice emerge la rabbia, lo sconforto, la disillusione, e soprattutto l’indignazione per un paese, il nostro, che ora più che mai, sopravvive solo di compromessi e che non è in grado di risolvere quella che, anno dopo anno, sta diventando una malattia incurabile. E nel frattempo Luminusa si ferisce da sola e viene ferita dall’indifferenza, da quella scia di dolore e di angoscia immensi che la scuotono e la fanno continuamente tremare e di fronte alla quale dovrebbe essere impossibile voltare la faccia.

“Ha un nome che evoca la luce, il fuoco, e nelle giornate limpide ti sembra di percepire la grana dell’aria – argento puro. In fondo al suo mare, che ha tutte le sfumature del verde, dell’azzurro e del blu, giacciono ventimila morti senza nome, ammazzati.”

Eppure è ciò che avviene ed è ciò contro cui le parole dei personaggi, chiari rappresentanti di atteggiamenti politici e sociali diversi, si scagliano in nome di un’accoglienza che dovrebbe essere una possibilità e non un andare al martirio. 

Mario raccoglie gli oggetti e per ognuno di essi s’inventa una storia riportandola in versi. Poesia e vita reale si confondono, si incrociano tra le onde e sulla terra di un luogo che sembra aver perso il proprio dio. Eppure i migranti, la cui voce esplode lenta e consapevole tra le pagine del libro, ce l’hanno la fede, ed è quella più grande, indistruttibile e purtroppo spesso persino insanabile: la fede nella speranza, nella voglia del cambiamento, una fede che si chiama coraggio e che si scontra contro qualsiasi prospettiva di rischio.

Le riflessioni che emergono sono tante, così tante da farti fermare e pensare portando la mente a quelle storie che poi sono la nostra storia, perché è inutile convincersi che non ci toccano, ci toccano tutti, perché sporcano la nostra presunta umanità. Sono stragi che mettono in luce la nostra incapacità di accogliere il diverso, la vergognosa incompetenza politica, le classi istituzionali che se ne fregano, lo sguardo vacuo e velato di chi muore rischiando.

Il linguaggio, pacato e asciutto, è prosa e poesia, denuncia e riflessione, invito a pensare e ad agire, persino a reagire di fronte ad una tragedia che ha reso il mare di Lampedusa un cimitero privo di voce ma non per questo incapace di urlare. Il suo urlo è nella memoria, nel ricordo, nel ripetersi costante e ineluttabile ogni anno della stessa imperturbabile condizione di omicidio. Un omicidio annunciato, di fronte al quale nessuno è in grado di porvi riparo.

Le diverse voci, così corali e calde, vicine, a volte tuonanti che si percepiscono nel libro, sono le diverse facce di una stessa medaglia, della medesima situazione di disillusione e di sconforto che ci ha segnati tutti, senza differenze.

Ci pensate mai a tutte quelle morti? A quel mare sul quale si riflettono i lampi durante i temporali e il loro riverbero magico finisce sugli scogli e sulla terra di quel luogo che da questo spettacolo naturale trae il nome? Un luogo quasi irreale pregno di bellezza e anche di maledizione. 

Un pezzo di umanità galleggiante su quelle acque che qualcuno deve aver dannato per sempre. L’autrice con coraggio e senza inveire, senza usare prepotenza o illazione, ci conduce alla sua maniera su quelle spiagge contaminate dalla paura e dall’orrore, dando voce anche ai migranti, ad un popolo di esseri venuti da lontano, senza niente ma quel niente non vuol dire che debbano essere privati della loro umanità. Eppure quella morte alla quale spesso vanno consapevolmente incontro è un orizzonte molto più allettante di una guerra che li vede già morti e sconfitti dentro. E allora meglio la speranza di un futuro quasi improbabile in una terra lontana che abbia però il sapore della luce e non quello della polvere da sparo, che l’incubo di una fine che ti riduce ad essere niente nel bel mezzo di un nulla senza nome.

E dunque Luminusa è un No all’innocenza perché nessuno è innocente. E’ un No alla morte, un No all’indifferenza, alla cecità, al mutismo di una società che diventa giorno dopo giorno l’assoluta e deleteria carnefice di un’umanità che non esclude prima di tutto proprio se stessa. E’ questo quello che nessuno vuole capire. Quello che oggi capita a qualcun altro, domani può capitare a voi, noi. E allora una bella lezione di altruismo, di solidarietà, no, non basta. Perché non si tratta di questo, si tratta proprio di coscienza e neanche questo basta. Ciò che prevale è l’ignoranza, e contro quella, ahimè, c’è poco da fare.

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