Buongiorno!
La recensione di oggi riguarda un romanzo ambientato nella mia città, Napoli,
scritto da Alessandra
Pepino, un thriller
intitolato Il ladro di ricordi,
edito da Atmosphere Libri che
ringrazio per la copia. Un giallo che mi è piaciuto davvero molto, sia per lo
stile, le atmosfere e la storia in sé. Leggete per conoscere tutte le mie
impressioni!
Titolo: Il ladro di ricordi
Autore: Alessandra Pepino
Editore: Atmosphere Libri
Pagine: 485
Genere: Thriller
Prezzo: € 18,00
Uscita: 2015
TRAMA
Il ladro di ricordi è la seconda prova letteraria della scrittrice napoletana Alessandra Pepino. E’ il primo romanzo che leggo di questa autrice e le impressioni ricevute sono notevolmente positive. L’ambientazione è la mia cara Napoli, alle porte di un Natale che si annuncia più fosco di qualsiasi aspettativa, sporcato dal sangue di numerosi innocenti, le cui storie avvolte nel mistero, rimandano echi di silenzi carichi di morte e di sangue.
Mancano
pochi giorni al Natale quando Elisa Coppola, una quindicenne problematica
appartenente a una facoltosa famiglia napoletana, sparisce nel nulla.
Apparentemente, non sembrano esserci connessioni con la scomparsa di Lea
Andreoli, una coetanea rapita e uccisa soltanto tre mesi prima. Tuttavia, è con
l’ombra lunga di un rapitore seriale che si troverà a fare i conti la polizia,
chiamata a mettersi sulle tracce della ragazzina. Qualcuno sta giocando a
disseminare indizi affinché l’ispettore Jacopo Guerra si accorga della sua
presenza: una ciocca di capelli fatta recapitare in commissariato, una
filastrocca dai molteplici significati, un messaggio cifrato che forse si
nasconde dietro una delle scalinate storiche di Napoli, la Pedamentina di San
Martino. Perché il rapitore sceglie di interfacciarsi proprio con lui? C'è
qualcosa, nascosto nel suo passato, che possa fare da filo conduttore con i
fatti del presente? C'è poi il caso di Mario Ossorio, un uomo che viene trovato
cadavere dopo aver fatto un volo di venti metri dalla finestra del suo ufficio.
Impossibile stabilire dall’autopsia se si sia lanciato, o qualcuno lo abbia
spinto. Un biglietto lasciato sulla scrivania sembrerebbe disegnare lo scenario
di un suicidio, ma non sempre le cose sono quelle che sembrano… Tra le luci di
un Natale che non sa portare allegria, si intrecciano due storie oscure, che
nascondono segreti e rimestano gli equilibri di una squadra di poliziotti che,
pur di scavare nelle apparenze, saranno costretti a fare i conti con loro stessi
e con il marcio che inquina la coscienza della città e di chi la abita.
Il ladro di ricordi è la seconda prova letteraria della scrittrice napoletana Alessandra Pepino. E’ il primo romanzo che leggo di questa autrice e le impressioni ricevute sono notevolmente positive. L’ambientazione è la mia cara Napoli, alle porte di un Natale che si annuncia più fosco di qualsiasi aspettativa, sporcato dal sangue di numerosi innocenti, le cui storie avvolte nel mistero, rimandano echi di silenzi carichi di morte e di sangue.
Il ladro di ricordi è un thriller a tutti gli effetti
non solo perché racconta di un serial killer, di un commissario e di cadaveri
che sembra non riescano a trovare pace, ma soprattutto per l’aria che si respira che è pesante, collosa, opprimente
come se ad ogni passo di lettura corrispondesse il suo gemello nella discesa
verso l’abisso.
Un abisso che ti scruta,
un buio onnipresente che diventa una delle parole più usate nella narrazione.
Un buio che è come una coltre di fumo che annerisce, che imbratta le pareti
immacolate della vostra voglia di tenervi fuori dall’incubo senza riuscirci.
Elisa Coppola è
una giovane quindicenne, esile, taciturna, racchiusa nel suo bozzolo di mancata
sicurezza, molto diversa dalla sfrontatezza delle adolescenti di oggi, così
mestamente silenziosa, povera di illusioni, ghiacciata da un rapporto con la
madre terribile e senza possibilità di redenzione. Elisa scompare, di lei
nessuna traccia tranne un diario che viene ritrovato in un secondo momento dove
la giovane annotava dettagli riguardanti le sue sedute con la psicoanalista.
Una terapia che fino ad un certo punto non aveva dato nessun risultato, fino a
quando per un caso puramente fortuito, parte della verità della sua fragile
esistenza viene a galla, e a quel punto nessuno più può essere risparmiato
dalla colpa.
Proprio da quel diario e
da pochi indizi, l’ispettore Jacopo
Guerra e tutta la sua squadra indagano. Un’indagine accompagnata da presenze
alquanto disturbanti, fantasmi che si vedono rubare la scena come Lea, la
ragazzina anch’ella quindicenne che precedentemente era stata rapita e poi
uccisa, il cui cadavere è ormai un monito che interroga all’infinito martirio
una morte che scava senza perdono.
La morte è una delle
protagoniste di questo romanzo cupo, tetro, come non ti aspetti. Una morte che
appare e scompare, sottile e fluida, va a sciogliersi tra le intercapedini
delle vite dei personaggi, iniettando veleno e sangue. Una morte che si
riflette negli occhi vuoti del serial killer, che fin dalle prime pagine è
presente sulla scena. Un uomo bello ma inquieto, un uomo la cui anima è piena
di demoni senza nome, la cui memoria è impressa in un tatuaggio e la cui
volontà sembra essere comandata da un groviglio irrisolto di ricordi.
Appena ho iniziato la
lettura ho subito sentito di non poter smettere. E’ bello provare questa
sensazione, è qualcosa che ti ammalia, che non coincide con la semplice
curiosità ma ti conquista, ti strappa qualcosa dentro e ti spinge a continuare
a leggere sperando di trovarlo.
E’ quasi Natale, Napoli
è inclemente nelle sue visioni di città malleabile, perfettamente adattabile
agli odori e ai suoni che riverberano nell’aria e nella notte. Sembra che sia
sempre notte in questa storia, come la copertina del romanzo che riflette un senso
di angusto. La stessa angoscia che vive Elisa e che a tratti appare attraverso
la sua figura spezzata, ingoiata dalle tenebre, nel luogo fetido ed umido dove
è rinchiusa. I suoi discorsi alla notte, alla donna col cappuccio (un uomo, in
realtà, il suo uomo, quello che l’ha rapita ma lei non lo sa), sono un cumulo
di macerie fatte di parole e di respiri contorti, di preghiere senza luna, di
filastrocche che non incantano più nessuno.
“Ferite più o meno
lontane nel tempo che riposavano come tombe vuote sulla pelle di una bambina.”
Lo stile dell’autrice è
un connubio di molte cose: poetico, stilizzato, intenso, pungente, crudo, ma
anche maccheronico e dialettale. Un linguaggio che ti sbatte in faccia la
quotidianità di un’esistenza normale nella quale si infila senza troppi
complimenti l’assurdo comando di chi uccide e ferisce. Il controllo della
perversione, della malattia, della deviazione non si concentrano soltanto nell’omicida,
nel colpevole di quelle scomparse così giovani e forse anche di un uomo che si
è gettato dalla finestra al cui suicidio nessuno crede, ma si avviluppano nelle
cellule di ogni singolo personaggio con i suoi scheletri putridi nell’armadio.
Un romanzo strutturato
molto bene, che ti lascia scoprire le cose piano piano, che cambia stile all’occorrenza,
che punta molto sulla psicologia dei personaggi, spiegando cosa si cela nelle
loro anime. Lo stesso ispettore Jacopo Guerra è un uomo assediato dai suoi
fallimenti, da un’indagine passata che non è riuscito a risolvere, è stanco e
pieno di angosce. Il suo personaggio è estremamente umano, sembra già uno
sconfitto prima ancora che la guerra sia finita. E anche questo contribuisce a donare
alla storia un alone di credibilità maggiore ma soprattutto un senso profondo
di disillusione. La tragedia della piccola Elisa è come una nube gigantesca e nera che non mette al riparo nessuno.
“Era una notte senza
stelle, una di quelle che pesano sulla
testa degli uomini con tutto il suo buio.”
Una macchia d’inchiostro
che si allarga sempre di più, nella quale tutti possono annegare senza
rendersene conto. Più leggevo e più mi rendevo conto che non c’era innocenza in
ciò che veniva raccontato, neanche nelle vittime, e persino nei cadaveri. Il ladro
di ricordi è un romanzo nel quale emerge potente la forza della memoria, il
peso del passato che gestisce le azioni di ciascuna figura coinvolta
modificando il suo presente.
“Era una pazzia ma, in
fondo, in quel modo tutto sembrava andare al suo posto. Una logica
incomprensibile, folle, ma che gli premeva lungo le pareti del cervello, decisa
ad uscire. Se quello che stava pensando avesse avuto anche un minimo fondo di
verità, allora era arrivato davvero a tanto così da scoprire l’identità del
rapitore di Elisa.”
Una storia che odora di
strada, di palazzi, di corse contro il tempo, che ha il sapore bruciante della
vergogna e il peso opprimente del peccato. I personaggi si passano la voce
alternandosi al cospetto del lettore, fornendo così una visione completa ma che
giunge da ogni parte, come se il male e il mistero fossero ovunque.
Non conoscevo Alessandra
Pepino e questa lettura me l’ha fatta scoprire affrontando un genere
sicuramente non facile ma che lei porta a compimento nel modo più completo e soddisfacente.
Quando un romanzo ti trasmette sensazioni che ti toccano, sia nel bene che nel
male, è un romanzo che si è preso un pezzettino di te e lo ha fatto senza
chiederti il permesso. Lo ha fatto perché poteva, perché si è stabilita una sorta
di sintonia, di legame che non ha bisogno di permessi per esistere. C’è e
niente conta di più.
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