Buon venerdì cari lettori! Un thriller psicologico ben
fatto e molto coinvolgente è la lettura di cui voglio parlarvi oggi. Nell’orizzonte degli eventi di David Valentini è un romanzo crudo e nudo
sulla morte, il dolore e sulle reazioni di fronte all’irriducibile vuoto che ne
consegue.
Titolo: Nell'orizzonte degli eventi
Autore: David Valentini
Editore: NullaDie
Pagine: 155
Genere: Romanzo psicologico
Prezzo: € 15,00
Uscita: 2015
TRAMA
Daniele
Baldi, 22 anni, muore in un incidente stradale in piena notte. I genitori,
Federico e Barbara, vengono a saperlo dalla polizia; Sofia, la sorella, tramite
Facebook. Lo stesso giorno Massimo si sveglia dopo una sbornia e trova
un’ammaccatura sulla sua auto. Al telegiornale scopre della morte di Daniele, e
che l’incidente è avvenuto proprio mentre lui si trovava sullo stesso punto del
Raccordo e alla stessa ora. La loro vita, semplice e senza grandi avvenimenti,
viene sconvolta in un istante. Perché proprio come un buco nero, la morte ha
una forza d’attrazione schiacciante.
Nell’orizzonte degli eventi è un romanzo
psicologico che affronta una tematica opprimente e assoluta: la morte. La fine dell’esistenza
di Daniele Baldi, figlio di 22 anni
di una famiglia composta da una madre, un padre ed una sorella. La storia è una
sorta di diario a più voci che narrano lo stesso evento attraverso una
diversità di punti di vista che lo rendono ancora più eclatante e per certi
versi perverso. Ti muore un figlio o un fratello così giovane, in un banale
incidente stradale, di notte, quale può essere la tua reazione di fronte ad una
tragedia simile? E’ come se l’autore ti ponesse questa domanda dopo poche
pagine dall’inizio della tua lettura. Una domanda che scava direttamente nel
tuo inconscio e che porta alla luce riflessioni che avresti volentieri evitato.
Sofia, sorella di Daniele,
viene a conoscenza della sua morte attraverso Facebook mentre la madre ed il
padre affrontano tutte le incombenze del caso in un modo totalmente differente.
Barbara è arrabbiata, esaurita,
drammatica, la sua voce è piena di lamenti e di lacrime, di brutture e di
incongruenze, come la più disperata delle madri che tenta di affogare il
proprio dolore nella frenesia di quel mettere
a posto le cose per pura apparenza, come il riconoscimento all’obitorio, la
scelta della bara, o l’accoglienza delle condoglianze dei familiari.
Federico invece, lungi da lui qualsiasi
pazzia che abbia il colore del dolore. Piattume ed indifferenza, silenzio e
mutismo. Nemmeno una lacrima di fronte al corpo del figlio sbattuto dalla morte
che non riconosce. Ebbene, qualcuno di vuoi vuole giudicare?
Vuole per caso stabilire
quale sia la giusta reazione di fronte ad una morte simile? C’è forse un
protocollo da seguire, un conteggio di lacrime da versare, un tot di urla da
gridare?
Sembra che l’autore con
aria sommessamente provocatoria, ci metta continuamente alla prova. Anche
adesso, anche di fronte a quel dolore senza voce, ci viene da chiederci, (ed è
lui a spingerci a farlo), quale sia il vero dolore e la giusta dimostrazione di tale
scempio e strazio?
Non c’è risposta che
valga, soltanto un turbine di pensieri che sembrano vagare senza meta e che ci
rimbalzano davanti agli occhi mescolandosi ai nostri. I pensieri di Federico,
così imperturbabile, assoluto, chiuso, introverso nella sua impossibilità di
sentire o forse di aprire le porte al proprio dolore.
Una insindacabile
invettiva contro la morte, contro quel corpo gonfio e stravolto dalla Nemica
che ha reso irriconoscibile il sangue del suo stesso sangue. Ecco perché il
padre non ammette di soffrire, per lui il figlio non è morto, non è quel corpo
stranito e straniante nell’obitorio, non riconosce i tratti da lui amati né ciò
che ha messo al mondo. Daniele non è lì, non in quel momento, Daniele può
sempre tornare.
“E poi... come si fa a
provare veramente dolore quando si è distanti? Quello non era mio figlio. Lui
ha i capelli biondi, portava una tuta Adidas ieri sera. Quel ragazzo lì, steso
e gonfio, non la portava; non aveva quasi neanche un volto. Era a malapena un
essere umano. Un corpo appena distinguibile, appena rintracciabile quel che era
stato. Non era la foto che ho nel portafogli; non era la risata per una battuta
divertente; non era la rispostaccia data a Barbara. Non era l’esultanza per
l’esame andato bene, non la voce gentile di quando era al telefono con la
ragazza. Quell’essere lì, sdraiato — appoggiato, gettato, scaraventato sul
tavolo da obitorio — quella cosa lì non era veramente mio figlio. Non il
bambino, non il ragazzo, non l’uomo. Quella cosa era... Cos’era?”
I corpi diventano solo
una maniera per fare i soldi. Lo sguardo
di Federico è distante, ghiacciato, quasi impersonale, la sua reazione è
disumana, persino inammissibile di fronte a quella morte senza ragione. Crudo
ed estremo come la sua stessa psicologia che viene scandagliata fin nei minimi
particolari al fine di portare fuori tutto il marcio e il corrotto.
“Ciarpame senza valore.
Per quanto lo si circondi di un’aura di santità, per quanto lo si veneri come
simulacro, un corpo morto è qualcosa di cui sbarazzarsi. Porta malattie e
sofferenze. Lo si sotterra, infatti, o lo si brucia. Un corpo morto non è la persona
che era in vita. Lo rappresenta, ne è un ricordo, un segno. Ma niente più. E
allora ce ne disfiamo, ecco la verità. Solo quegli avvoltoi delle pompe funebri
riescono a farne qualcosa di questi corpi: li trasformano in soldi.”
Come per lui anche per
Sofia e per Barbara i procedimenti mentali non lasciano spazio a fraintendimenti.
Le due donne sono oppresse dall’incomprensione, dall’ansia, dall’angoscia. La
sofferenza è l’input del romanzo, ciò che offre gli slanci necessari affinchè i
protagonisti vengano fuori in tutta la loro cruda e livida nudità.
Una sorella che ama fin
troppo il fratello, una madre che lo onora credendolo uno studente modello, un
padre chiuso nel silenzio e poi ancora Massimo, l’ipotetico colpevole, un
giovane di ventisette anni che quella notte nera e maledetta guidava ubriaco e
che non ricorda cosa ha fatto. Eppure nel vortice di sconclusionatezza della
sua vita, nonostante l’amore e la presenza della sua donna, Maria, egli sente
una colpa piovergli dall’alto e s’incarna autonomamente nell'assassino
necessario.
Nell’orizzonte degli eventi è un romanzo che regala lode alla morte, al buco nero dell’abisso,
al confine dal quale non puoi tornare indietro. E’ un racconto percorso a
tratti da rimembranze poetiche e allusive sul senso di colpa che incombe,
persino laddove non esiste colpa ed è la storia di una ricerca estenuante di
quella ragione per la quale la morte deve arrivare.
“È, questo galleggiare
nel vuoto, sommersi dal proprio passato, un dolore strano, atavico, quasi
dimenticato. Un oblio su cui è faticoso galleggiare, molto più semplice è
annegarvi, naufragarvi.”
Pur nella sua ode
al dolore e al nulla che comporta la perdita, il romanzo è la crescita lenta ed
inesorabile di un’oppressione che diventa ossessione e poi di nuovo morte. Fin
dalle prime pagine sembra che sia sempre notte, la notte come culla della non-vita, di un senso di ghiacciato presentimento che qualcosa di terribile debba
accadere oltre ciò che è giù successo.
L’autore è bravo nel
creare un’atmosfera che ti inchioda, ti senti il peso dell’aria sulla pelle.
Gli sbagli, le battute volgari, quelle parole spesso fuori posto, i condizionamenti,
le vergogne, le sparate, le cose non dette e quelle inventate, tutto un
meccanismo abilmente strutturato, che cresce basandosi su una sola azione e su
infinite reazioni.
Morte. Un’unica
indecifrabile morte. Una sola azione, un dato di fatto, un insidioso caos che
inscena una serie pericolosa di reazioni. Mentali, fisiche, psicosi e malattie.
Ossessioni e persino salvezze.
Lo stile dell’autore è
violento, non solo per le parolacce in alcuni casi sparate a raffica ma per
come l’argomento viene affrontato, attraverso un crescendo di rabbia e
scontento che poi sfocia nel finale allucinato. E questa storia è per tutto il
tempo anche un po’ allucinata, visionaria. In alcuni momenti ti sembra di
assistere a spezzoni di sogni e poi di incubi. L’aria è cupa, sinistra,
inquieta e non solo perché si parla di morte ma perché è quella morte a
smuovere corazze e croste dentro e fuori ciascun personaggio. La calma che in
alcuni momenti sembrerebbe imporsi è solo il preludio di una tempesta senza
vincitori.
Discorsi sull’onestà,
sulla giustizia, sulla religione e sul rapporto tra fede e morte. Le chiese, i
preti, l’amore, la famiglia, la morale, le droghe e l’alcool, nessun tema viene
dimenticato. Tutto concentrato in quattro giorni che denotano uno stato emotivo
che sale di intensità, che non si placa, ma che ruggisce e affonda i propri
denti di bestia affamata sfociandola in una violenza che ti salta in faccia.
Così come il finale che non ti aspetti, cattivo fino all’osso, capace di
lasciarti di sasso. Un macabro rituale
che ripiega la morte sulla morte stessa, come se non ci fosse alternativa di fronte
a quel dolore che non può insegnarci a vivere ma solo a morirne, ancora e
ancora.
Una recensione stupenda, che mi ha fatto tornare in mente quando ho perso un cugino così. Un momento era lì che attraversava la strada per prendere l'autobus, e un momento dopo giaceva per terra, senza vita. Strappata da un ubriaco.
RispondiEliminaUn mese e un giorno dopo avrebbe compiuto vent'anni, e da allora la vita dei suoi genitori non è stata più la stessa. Come nei libri, cara Antonietta, queste cose succedono eccome nella realtà, e quando questa realtà ti sbatte in faccia senza mezze misure questa cosa che ormai non puoi più cambiare ... cambia sul serio la vita di chi rimane.
Comunque, non posso fare a meno di ripetermi: attraverso quello che scrivi, respiri il profumo delle pagine dei libri, e questa è l'ennesima conferma. <3 <3 <3
Mi dispiace molto, e in effetti i libri sono anche questo, un "ritrovare" e "ritrovarsi". Posso solo immaginare tale dolore.
EliminaGrazie per le tue parole e per la tua sensibilità.
Questo spazio è ancora più caloroso e vivo con la tua presenza! <3
Sai come si dice?
RispondiEliminaChe ci si può sentire "a casa" in un posto che non è casa tua.
Qui mi sento a casa. Grazie. <3