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martedì 30 dicembre 2014

La funeralista di Raffaele Mastrangelo Recensione

Buon pomeriggio cari lettori. Spero abbiate passato con serenità il Natale. Io ho avuto davvero tante cose da fare ma sono riuscita a terminare la lettura di un libro che avevo in sospeso da un po'. La funeralista di Raffaele Mastrangelo è una storia che vi farà sorridere e nello stesso tempo riflettere su temi importanti come il rapporto con se stessi e con la propria identità. Una lettura a tratti divertente ma anche piena di spunti filosofici che avvicinano l'autore alla lezione ideologica pirandelliana. 
Leggete la recensione e come sempre aspetto i vostri commenti!


Intanto Buon Anno a tutti!



Titolo: La funeralista
Autore: Raffaele Mastrangelo
Editore: MReditori
Pubblicazione: Giugno 2014
Genere: Romanzo ironico
Pagine: 372
Formato: Cartaceo
Prezzo: 15.00



TRAMA

"Passiamo più tempo a desiderare che a goderci la felicità desiderata." Questo è quello che impara un ballerino che, dopo tanto tempo, si ritrova al suo paese natio per il funerale della zia. Tra tanti autoinvitati non riconosce una ragazza. Ritorna a Bologna dove tutto è pronto per il balletto. Durante i ringraziamenti di fine spettacolo accade un incidente. Incurante, continua la sua vita. Muore una seconda zia, ritorna a Teverola e ritrova la ragazza che non aveva mai dimenticato, una sua cugina. Non potendo più ballare, inizia a scrivere opere teatrali con la speranza che la cugina possa venire a Bologna. La rende personaggio e la desidera a tal punto da raggiungere una sorta di pazzia. Dopo una serie di fallimenti e di rifiuti della sua opera, conosce Iacopo De Finò, che l'aiuta. Riesce a portare la sua opera in teatro, a portare Sandrina a Bologna e a farla innamorare.

BIOGRAFIA

Raffaele Mastrangelo nasce a Marcianise (CE) il 6 febbraio 1988. A 21 anni inizia a scrivere narrativa per ragazzi. Nel 2012 si cimenta nella narrativa contemporanea realizzando “La funeralista”. Giudicato racconto, perché troppo breve, estende il contenuto terminando l’anno successivo.

LINK UTILI


Link ibs: http://www.ibs.it/code/9788899008055/mastrangelo-raffaele/funeralista.html

Presentazione del 26 settembre 2014: http://www.youtube.com/watch?v=XVI2XaNk1cg




La funeralista è un romanzo che può definirsi di formazione e che fa esplicitamente riferimento nella trama e nell’ideologia espressa, alle principali opere di Luigi Pirandello e soprattutto al suo modo di fare ironia. 
Ma andiamo per gradi e cerchiamo di capire cosa vuole dirci questo romanzo e soprattutto perché. 

Il protagonista inizialmente non ha un nome, viene definito in molti modi, ma il suo vero nome o quello che pensiamo tale, lo scopriremo solo molto più avanti nella lettura e sarà Pascal Andrè. Non vi dice nulla? A me immediatamente ha ricordato Il fu Mattia Pascal di Pirandello ma non solo per questo. Il concetto di nome e di identità giocheranno un ruolo fondamentale all’interno del libro. 

Il testo inizia con la descrizione molto accurata dell’ambiente campano, in particolare di Teverola, dove Pascal si è recato per assistere al funerale di una zia: “zia Sisinella”. Ed è proprio a proposito dei luoghi, degli usi e dei costumi paesani, che l’autore ci delizia con tutta una serie di dettagli che descrivono alla perfezione le tradizioni campane per quanto riguarda l’estremo saluto ai defunti, il modo di relazionarsi tra i familiari e tra tutti gli abitanti di un medesimo luogo. 
Così Pascal non è Pascal ma è il nipote venuto da lontano, la zia morta non è Teresa ma Sisinella e allo stesso modo tutte le persone che volenti o nolenti entrano nel giro matto dei soprannomi, perché così si usa nei piccoli paesi ai margini della città. Subito salta all’occhio la forte caratterizzazione dei personaggi e degli ambienti, tra il drammatico e l’ironico. Ma la prima lezione che l’autore vuole trasmetterci, qual è? Che esistono abitudini in taluni luoghi,  come quella di attribuirti dei soprannomi, da cui non puoi sfuggire. 

La funeralista è un romanzo tragicomico che usa la drammaticità travestendola di ironia per aiutare a riflettere. Al funerale Pascal incontra una giovane donna dal cui sguardo resta folgorato. Scoprirà essere sua cugina e da quel momento in poi, lei per lui sarà la funeralista. E dunque un altro soprannome. 

Cos’è un soprannome se non il modo in cui ci vedono gli altri? E’ una definizione che le persone ci attribuiscono senza che noi gli abbiamo dato il permesso e che spesso deriva esclusivamente da ciò che loro vedono di noi ed in noi. Ma non siamo noi. Non lo siamo per niente. 

Il linguaggio è semplice, la scorrevolezza è però messa a dura prova da errori ortografici e grammaticali, spesso manca qualche virgola ed è presente qualche disattenzione attribuibile probabilmente alla distrazione. Il clima della storia è in compenso un po’ “pazzerello” così come sembra essere il protagonista che vive a Bologna, dividendo la casa con un’amica e facendo il ballerino. Durante la storia andrà in coma per lungo tempo e al suo risveglio non potrà più ballare ma soprattutto non ricorderà più il suo nome. Metaforicamente è come se morisse per rinascere ed avere una seconda possibilità. 
Anche Mattia Pascal finse di morire e ritornò “in vita” come Adriano Meis, credendo di poter condurre una vita molto più adatta ai suoi desideri e alle sue ispirazioni. Lo stesso farà Pascal, dedicandosi non più al ballo ma alla composizione di opere drammatiche per il teatro. 

“Si dovrebbe nascere una seconda volta per fare quello per cui si è nati.” 

E’ questo quello che crede il protagonista quando comincia ad avere un notevole successo con i suoi spettacoli, aiutato da una presenza molto particolare, strana ed evanescente, quella di Jacopo De Finò. Questo nuovo personaggio, che appare all’improvviso e a cui Pascal dà in lettura la propria opera, è la chiave del romanzo. L’uomo fantasma, che mette in scena l’opera di Pascal quando lui era in coma e che gli mostra come scrivere. L’unico a credere in lui, che non ha una vera casa, si muove come uno squinternato e appare e scompare senza alcun motivo. Ha una pseudo abitazione nella quale nasconde un acquario, un armadio che contiene una cassaforte chiuso dall’interno e una stanza piena di orologi rotti. In altre parole un folle. 
Sembra quasi che egli rappresenti l’autore. Proprio come faceva Pirandello con i suoi personaggi in Sei personaggi in cerca di autore e Miguel De Unamuno in Niebla, egli sembra giostrare la vita di Pascal riuscendo però sempre ad apparire estraneo a tutto. Eppure l’uomo scopre che Jacopo è coinvolto segretamente in ogni cosa che ha fatto, proprio come ogni autore fa con la sua creazione. Sembra proprio che sia lui a decidere il destino del nostro Pascal e non a caso è proprio dalle sue parole che scaturisce il discorso che richiama apertamente la teoria dell’identità e dell’uno nessuno e centomila espressa da Pirandello nell’omonimo libro. 

“Tu mi vedi in un modo, un altro in un altro modo, fino a dubitare io stesso di essere io. Come se di Jacopo ce ne fosse più di uno. Ognuno visto diversamente dagli altri. Eppure sono sempre io.” 

Per tutto il romanzo sono sparsi forti richiami ai punti focali dell’ideologia pirandelliana. Dal concetto dell’identità, del nome, della morte del nome e del rapporto tra autore e personaggi. Un connubio che diventa un grande atto reverenziale da parte di Raffaele Mastrangelo nei confronti del genio pirandelliano. 

Sarà proprio a teatro che Pascal rivedrà la sua funeralista e da quel momento in poi il loro rapporto si farà sempre più stretto, coronando il desiderio d’amore dell'uomo. Ma quell’amore è davvero ciò che vuole? 
Intanto il teatro diventa la sua casa e il suo sogno. 

“Il teatro non è solo il palcoscenico dove vi esibite davanti ad un pubblico, con la parola, i gesti, la musica, la danza e chi più ne ha più ne metta…è un pezzo di mondo che si stacca dalla realtà trascinando le anime che decidono di seguirlo. Il pubblico deve semplicemente sognare. Cos’è un sogno? Un sogno è un regalo… un regalo che dovete donare a chi quella sera vorrà dimenticare se stesso. Non importa se il sogno faccia piangere o ridere, l’importante è che rapisca l’animo e lo porti con sé, in un mondo che tutti vogliono e che nessuno può avere.” 

Pascal è uno dalle idee strambe ed originali, a cui riesce bene di impressionare il pubblico, conquistandolo. Uno a cui piace sorprendere e rischiare pur di portare a termine la propria opera. Rischierà di morire per la seconda volta pur di emozionarsi ed emozionare ancora. Tutti lo apprezzano eppure la sua vita sembra essere mossa da qualcos’altro. 
Perché? 

Jacopo con le sue sceniche apparizioni, è la voce della sua coscienza, colui che da padre e da alter ego nascosto, gli mostra dove e come sta sbagliando. Le sue parole sono come una lampadina che si accende e si spegne nel buio immenso della conoscenza del sé e di quella identità che Pascal crede di avere ma che non ha. 

A rafforzare l’idea dei nomi e delle mille identità fasulle di un individuo c’è la descrizione ancora una volta precisa e mirata di Teverola, nella quale “la verità non è la cosa veramente accaduta ma la narrazione della voce del popolo.” Così come per i fatti anche per le persone, non conta tanto cosa è realmente successo o chi tu sia, ma come la gente racconta di te. 

Alle porte imminenti del matrimonio, Pascal non è più Pascal ma è o’ sposo e Sandrina non è più Sandrina ma a’ figlia e Peppenella. E dunque, ancora una volta, attraverso l’espediente dell’ironia, perché poi tutti questi nomi fanno davvero sorridere, che la riflessione ricade gravosa e pressante: chi siamo davvero noi? Ciò che vedono gli altri? O ciò che crediamo di essere per noi stessi? 

I nomi creano prigioni, determinano destini – Nomen Omen – ed è difficile anche per uno come Pascal ribellarsi. Egli diventa una marionetta nelle mani degli altri, fa tutto ciò che Sandrina gli dice, credendo di comportarsi con cognizione e di essere nel giusto, ma cosa realmente lo ha condotto fino a quel punto? Tutto va in frantumi, perché il desiderio è solo una grande illusione. Diventiamo guerrieri di bolle di sapone, perché contro il desiderio non si vince mai. 

Pascal si lascia trascinare in una vita che non gli appartiene, condotto dal desiderio di amare quella donna e quando ci riesce, si rende tristemente conto che è stata tutta un’illusione. Lentamente è entrato in una spirale senza via d’uscita, dove sono gli altri a decidere per lui e dove ha dimenticato persino il suo vero nome, prendendo per vero il modo in cui lo chiamano tutti, ossia Pascal Andrè. Ma questo non è il suo vero nome, è solo il suo nome da artista. 

Raffaele Mastrangelo ci mostra, attraverso una storia ironica ma profondamente riflessiva, quanto può essere sbagliato lasciarsi condizionare dagli altri, da cosa pensano e cosa vogliono per noi. Pascal dovrà assistere al funerale di se stesso, quello metaforico, per riuscire a capire che deve liberarsi dai nomi e dalle identità infruttuose che gli hanno attribuito gli altri per tutta la vita e cominciare a capire come costruirsi un futuro migliore. 

La vita è un fluire indistinto di possibilità secondo la poetica pirandelliana e la società con tutte le sue istituzioni non fa che intrappolare l’individuo, rubandogli il diritto ad essere libero. 

Ho apprezzato l’atmosfera a tratti leggera e lo spirito filosofico che si respira soprattutto nella seconda parte del romanzo e che si rafforza verso la fine, dove inizia la vera vita del protagonista. Il romanzo può essere suddiviso in due parti. La prima nella quale assistiamo alla pseudo vita del protagonista e a come ogni sua azione o pensiero sia indirettamente o direttamente influenzato dagli altri. La seconda parte invece, s’incentra sulla presa di coscienza, lenta ed inesorabile, di come tutto ciò che pensa o faccia non sia realmente determinato da se stesso ma da un desiderio illusorio che lo sta conducendo dove in realtà non vuole andare. 

Se nelle opere di Pirandello emerge la disgregazione dell’io e la perdita del concetto di identità da parte dei suoi protagonisti, qui assistiamo ad un percorso diverso, nel quale l’eroe ritrova la sua identità proprio nella scoperta di essere stato fino a quel momento solo ciò che gli altri vedevano. Pascal Andrè, il nipote morto che viene da lontano, o’ sposo… Questo è solo ciò che gli altri vedono. 

Mentre Mattia Pascal diventa un forestiere della vita, perché comprende di essere nessuno e di aver perso qualsiasi ruolo nel gioco chiamato esistenza, Pascal Andrè invece, si rende conto che per essere davvero felice deve uscire fuori dalla trappola sociale, a cominciare dal matrimonio che non sente come suo, e deve cercare la sua libertà altrove. Lontano, ovunque e da nessuna parte. 

E’ forte la lezione pirandelliana ed è resa intelligentemente in una storia che fa sorridere e che intrattiene e che soprattutto fa riflettere come le più grandi opere del maestro, di cui questo romanzo è senza dubbio un sentito omaggio.



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