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domenica 10 maggio 2015

Otto minuti a mezzanotte di Fabio Monteduro Recensione

Buona domenica! Oggi voglio segnalarvi la recensione ad una raccolta di racconti di un autore che ho già avuto modo di conoscere e recensire, quando ho letto il romanzo horror, Cacciatori di fantasmi. Sto parlando di Fabio Monteduro, affermato scrittore di thriller ed horror, che questa volta conoscerete attraverso le storie da lui inventate in Otto minuti a mezzanotte.


Come sempre lasciatemi un commento se vi va!



Titolo: Otto minuti a mezzanotte
Autore: Fabio Monteduro
Editore: A.Car Edizioni
Pubblicazione:  2011
Genere: Racconti Horror
Pagine: 220
Prezzo: 18,00
Sito Autore
Trama

Quadri maledetti, case abbandonate, fantasmi e demoni che non danno scampo… e ancora, pericolosi serial killer e luoghi da cui è meglio stare alla larga. Tutto questo ed altro ancora è “Otto Minuti a Mezzanotte”. Otto storie da incubo, una per ogni minuto che ci separa dalla mezzanotte, quando non è più oggi e non ancora domani. 


Biografia

Nasce a Roma nel 1963. Il suo modo di scrivere, definito cinematografico, perché riesce a rendere al massimo "visivamente" le storie che racconta, ne ha fatto accostare il suo nome a grandi scrittori contemporanei, uno tra tutti Stephen King del quale non nasconde la passione e da cui ha tratto iniziale ispirazione. I suoi romanzi e i suoi racconti brevi, spesso ambientati in Italia, sono sempre più frequentemente improntati al "thriller" più che al vero e proprio "horror". Va detto però che la differenza tra questi generi letterari, nel suo caso, è sempre molto sottile.




"Non sai che stanotte, quando l'orologio batterà la mezza, tutti gli esseri malvagi della Terra avranno il mondo in loro potere? 
Sai dove stai andando? E quello che farai?"
Bram Stoker


Lo stile di Fabio Monteduro si conferma una piacevole lettura. Nel primo racconto di questa raccolta, intitolato Antinomia, siamo invitati in una casa degli orrori e dei misfatti, secondo la più tradizionale delle esperienze soprannaturali, attraverso l’occhio sconvolto e macchiato di follia latitante di Antonio, il protagonista che ha vissuto, in passato, una diabolica scoperta che lo ha condotto direttamente nella clinica psichiatrica nella quale è rinchiuso adesso. A suo tempo venne a conoscenza della storia di Sabine Braschi, una giovane donna maledetta dal destino e dalla sua sete malsana di vita che la spinsero a sfidare la volontà di Dio, interpellando la magia nera, per combattere la sua sterilità, mettendo al mondo una creatura diabolica, nata inevitabilmente sottoscrivendo un patto direttamente con l’indiscusso signore delle tenebre. 
L’atmosfera è piena di echi, di incubi che si manifestano attraverso quadri indemoniati dai sorrisi vacui, capaci di raccontare di anime nere, condannate alla morte ma ancora in grado di incutere timore. Le vicende coinvolgono un gruppo di bambini alle prese con un male antico che trova sempre, nonostante tutto, la strada per tornare. E Monteduro non delude, raccontando ancora una volta, uno spaccato strappato alle sue visioni senza regalare mai un lieto fine banale o semplicemente auspicabile. 

Il male, di cui lui racconta, ha sempre un luogo, un nome definito, ha forza, terrore, riesce sempre a corrompere qualcuno o qualcosa in una dimensione oscura nella quale difficilmente si riesce ad intravedere uno spiraglio di luce. Ed è questa la caratteristica che apprezzo di più della sua scrittura: l’ineluttabilità. La sua capacità di dare corpo alle angosce che si avvinghiano addosso come se avessero mani e braccia per sostenersi, appesantendo un inevitabile cammino, che dall’inizio alla fine, resta imperscrutabile. 

I temi sono il male e la follia ai quali si uniscono le numerose e corpose descrizioni delle atmosfere oscure e maledette richiamate alla vita dalle nuvole, la nebbia, gli alberi e quegli aspetti naturali che diventano bocca e voce di un’unica sanguinosa entità, capace di cambiare di volta in volta forma e sostanza, lasciando intatta la sua crudeltà. Tutto convoglia in un unico luogo nefasto e cattivo, quello che lentamente, attraverso lo scorrere del tempo, ci condurrà alla mezzanotte, l’ora inesorabile nella quale sulla terra arriveranno le creature dannate. 

Il fulcro del terrore sono i fantasmi, omaggiati dallo scrittore per la loro macabra presenza-assenza, per i loro sussurri che inchiodano le nostre notti e per le loro voci spezzate dalla perdita della vita. Essi incarnano la paura più antica dell’uomo, ossia l’ignoto. Appartengono al mondo delle ombre, nero e tetro, del quale nessun essere umano può sapere concretamente nulla. In questi racconti, vagano indisturbati, infestando vecchie case abbandonate e Monteduro è pronto a sacrificargli le sue vittime. Dal male non si può fuggire, puoi solo prenderne coscienza ed accettare che alla paura non c’è fine.

Il racconto che ho apprezzato più di tutti è So chi sei, nel quale è una chiesa sconsacrata ad essere protagonista, preda della curiosità adolescenziale di due giovani attratti dal proibito e da ciò che è stato dissacrato. Ombre che fanno rumore, occhi bianchi privi di pupilla che t’inchiodano al tuo incubo peggiore: la realtà. Voci di bambini morti intrappolati dentro quelle mura che traspirano malvagità e sofferenza, odio e maledizione. Orrore e morte sono i volti di queste creature che appaiono sempre sinistramente umane ed è proprio la loro apparente umanità, forma fisica, consistenza malata, a renderli ancora più terrificanti. 
All’autore non piace giocare al gatto con il topo, non gli piace nascondersi, ecco perché i suoi esseri sono sempre oltremodo determinati, inquietanti perché riconoscibili nel loro orrore e nella loro anima abietta. Ti appaiono davanti e difficilmente la loro angusta tenebra non ti inghiottirà.

“La suora era lì. I suoi occhi bianchi, ciechi, guardavano verso di lei; la gruccia alzata oltre la spalla e un sorriso infame ad inarcarle la bocca… che si aprì, si aprì fino a diventare una caverna e Veronica ne fu travolta…”

Un convento come luogo di perdizione. Una madre superiora carnefice e padrona di un posto che diventa la porta sull’inferno, la versione femminile delle urla del diavolo.

“Poi il barbone dichiarò di non ricordare molto altro, se non buio e violenza sottintese, occhi ciechi  e mani, bocche, avide di… Si era fermato ed aveva scosso la testa, mentre due lacrime avevano preso a scalfirgli il viso. Un individuo in preda ad un orrore così sconfinato, da essere inammissibile ed indicibile.”

Questa storia l’ho amata forse perché prediligo le argomentazioni religiose, i giochi di fede e ovunque io ci vedo medaglie capovolte. Il luogo un tempo sacro e poi sconsacrato è la porta più affascinante per scoprire cosa si nasconde nell’oltre soprannaturale. Perché è nella fede che le persone fondano le loro sicurezze ed è lì, in quell’ambito, che credono di essere protette e sicure dalle pretese dell’immondo. Rendere fragile e accessibile un luogo di tale importanza e valore, abbatte anche le barriere più solide, provocando angoscia ed inquietudine di fronte alla consapevolezza che non esiste nessun luogo verso il quale poter fuggire.

“Ma ricordi che ci sono posti al mondo, dove vengono costruite chiese, che sono come barriere. Altrimenti ci sarebbe l’inferno in terra. Qualche volta, però, accade che qualcosa penetri in quelle barriere ed esse s’infettano… ha capito adesso?”

Luoghi spettrali, abbandonati dalla ragione e dalla fede. Luoghi senza speranza, nei quali gente curiosa finisce vittima dell’imponderabile.
L’elemento paranormale è il filo conduttore di tutte le storie e rappresenta la passione/ossessione evidente che lo scrittore nutre per questo mondo dell’oltre pieno di fascino e di mistero insondabile. Egli dà voce alla curiosità dell’essere umano di dare un volto, una presenza reale ai fantasmi e i suoi personaggi, riprendendo una concezione assolutamente pessimistica della natura soprannaturale di questi esseri, soccombono puntualmente, diventando vittime consapevoli della loro perfidia e disumanità.

In questi racconti incontrerete il diavolo, sornione ed ingannatore, assisterete ad atti di cannibalismo, conoscerete le streghe, con i loro gatti e le loro bambole, fedeli compagne attraverso le quali esse vedono e sentono tutto ma è sempre e soltanto la follia uno degli aspetti fondamentali sul quale si fonda tutta la narrativa di Monteduro.
Sempre sull’orlo dell’abisso, sempre al limite tra la pura ed evanescente visionarietà figlia di una mente allucinata e sragionata e la realtà, fisica, concreta e fattibile.


Per Fabio Monteduro il Male esiste, si veste e traveste talora di orrore, di sesso o di amore, d’incanto o di magia, di morte o perversione. Qualunque sia il suo volto, è un volto che non ha mai visto Dio. E’ una faccia che ti divora l’anima, che si prende i tuoi sogni, piegandoli alla follia. Si dice che sia la nostra paura a dare potere a queste creature che si nutrono dei nostri incubi e dei nostri timori. Io credo il contrario. Non è la paura ma la curiosità, quel fragile ed invisibile filo che connette il nostro io primordiale al fascino verso tutto ciò che è mistero ed è inspiegabile, a dare forza a quel mondo che se esiste, esiste grazie al nostro desiderio, per quanto rinnegato e nascosto, di conoscerlo, scandagliarlo, comprenderlo, guardarlo. Nonostante la paura, nonostante la morte, nonostante la maledizione. Nonostante persino Dio.


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