Buongiorno! Oggi vi segnalo la recensione al
romanzo Thriller/Horror di David Pratelli, intitolato Tenebra
e pubblicato dalla Casa Editrice Kimerik.
Un romanzo sicuramente forte, incentrato su un serial killer spietato ma che
non mi ha convinto. Leggete e scoprite perché.
Lasciatemi
un commento con le vostre impressioni se vi va!
Titolo: Tenebra
Autore: David Pratelli
Editore: Kimerik
Pubblicazione: Marzo 2014
Pubblicazione: Marzo 2014
Genere: Thriller/Horror
Pagine: 182
Prezzo: 11,90
Trama
Il romanzo narra la storia di un uomo, Lucas, che sin dall’età di 16 anni compie gesti folli e atroci in nome di una vendetta personale, uccidendo e poi seppellendo tutte le donne che lo deridono e lo rifiutano. Il mistero che avvolge il Tenebroso è il filo conduttore di tutto il racconto. Il suo passato è avvolto dal mistero, ha un carattere introverso e apparentemente tranquillo. Le sue azioni lo fanno sentire libero e sicuro nell'affrontare la quotidianità, come se la sua anima vivesse in una assoluta normalità, senza complessi ne turbolenze. Dopo il primo omicidio compiuto ai danni di Ginevra, ragazza conosciuta a scuola che si era presa gioco di lui facendogli credere di esserne innamorata, Lucas sparirà nel nulla senza lasciare alcuna traccia. Dell’omicidio se ne occuperà il commissario Taddei che, nonostante le ricerche fatte tutte inutili fanno si che il caso venga archiviato , non perderà le speranze di trovare l’assassino. Dopo 20 anni una palestra di Roma sarà luogo di un omicidio che trova sconcertanti corrispondenze con quello compiuto tanto tempo fa dal Tenebroso: la ragazza dopo essere stata brutalmente uccisa viene seppellita. Gli omicidi si susseguono, sempre con gli stessi rituali e la polizia brancola nel buio, Taddei, ormai in pensione, convinto che dietro a questi delitti ci sia la mano di Lucas decide di collaborare con il commissario Soavi responsabile delle indagini. La suspance lascia tutti con il fiato sospeso fino alla fine.
Biografia
David Pratelli nasce il 21 dicembre 1970 a Pontedera in provincia di Pisa. Le sue capacità di imitare si vedono fin dai primi anni di scuola, nel 1994 esordisce nella tv nazionale nel varietà di Pippo Franco Avanti un altro in onda su Canale 5, cui seguono altre apparizioni in diverse trasmissioni Nazionali. Nel 2002 arriva la svolta, con la vittoria del campionato italiano degli imitatori "Sì sì è proprio lui", su Rai Uno la regia di Pierfrancesco Pingitore. Seguono le sue partecipazioni a Uno di noi, Di tutte di più, il Derby del cuore, nel 2005 partecipa a Buona Domenica nelle vesti di Ciccio Graziani, dal 2006 al 2009 lo vediamo a Guida al Campionato, nel 2008 -2009 è anche ospite a a Lunedì gol e nel 2009 a Stracult. Dal 2009 al 2011 è ospite fisso a Quelli che il Calcio, nel 2012 e 2013 ospite a Tale e quale Show e nel 2011-2015 nell’Anno che verrà. Nel 2014 rivela la sua passione nascosta cioè scrivere romanzi gialli-horror, pubblicando il suo primo romanzo Tenebra, tenuto molti anni nel cassetto.
Tenebra è il primo romanzo di David Pratelli, imitatore molto
conosciuto per le sue numerose partecipazioni a programmi televisivi e di
intrattenimento. E’ un giallo-horror che già nella prefazione, scritta
direttamente dall’autore, mette in evidenza l’intento molto lontano dalla
comicità e dalla veste pubblica dello scrittore, di inscenare una storia dove è
la matrice psicologica, unita ad una vicenda terribile ed inquietante, ad essere
l’indiscussa protagonista.
“Fare l’imitatore
non significa essere solo così; ma in qualche maniera reinventarsi nello
scoprire una parte di noi stessi.”
David Pratelli mostra un
lato di sé sicuramente poco conosciuto. Afferma lui stesso di aver indossato la
maschera del comico, sia per scelta che per esigenza, lavorando soprattutto per
far ridere la gente ma i romanzi gialli sono da sempre la sua passione
nascosta. Fare lo scrittore, nel suo caso, vuol dire reinventarsi, trovare un modo nuovo
per proporsi, mettere in gioco altre parti di sé, rischiando anche qualche
delusione. Ma l’importante, direbbe qualcuno, è provarci, sempre e comunque.
Il romanzo
si divide in capitoli molto brevi, anticipati sempre da un titolo, coinciso
e spesso provocatorio che tenta di riassumere in piccole frasi l’intento ed il
senso di ciò che si andrà leggendo. L’intera storia si concentra sul
protagonista del romanzo: Lucas, un giovane adolescente di 16 anni che già a
quell’età compie il suo primo omicidio. La sua descrizione è veloce e
sfuggevole, pochi elementi per inquadrare una figura che dall’inizio alla fine
parla pochissimo e appare ancora meno. E’ timido, isolato, votato
esclusivamente alla solitudine ma sicuramente di aspetto gradevole perché non
sembra avere grosse difficoltà con le ragazze se non esclusivamente per la sua
indole alquanto chiusa e tenebrosa. Di lui nessuno conosce nulla, persino i
suoi genitori non sembrano mai esistiti e dopo il primo omicidio, di una
ragazza della sua stessa età, morta con numerose pugnalate, Lucas scompare
definitivamente come se non fosse mai nato.
"Dopo quell'atto compiuto non esiste più, non c'è più traccia di lui; i suoi genitori non si sono mai visti e nessuno li conosce, nessuno sa niente di quella famiglia, nessuno ci ha mai avuto a che fare. Ma perchè un comportamento così atroce?"
L’inizio
costituisce un’ottima premessa per un seguito altamente intrigante che però,
purtroppo, non arriva. Le azioni sono scandite dai continui omicidi che il
serial killer compie, tutti inesorabilmente ai danni di donne, che hanno in
qualche modo a che fare con lui. E’ chiaramente uno psicopatico che però riesce
ad uccidere in modo sfrenato e a non farsi catturare con una semplicità che
appare alquanto esagerata ed improbabile.
Uccide e
pugnala come se niente fosse, in ogni dove e a qualunque ora del giorno e della
notte, senza mai sbagliare, senza mai lasciare una traccia che lo possa
incriminare, al di là di una ripetitiva scritta: Questa è la mia vendetta.
Capiamo,
dunque, fin dall’inizio, che c’è molto di non detto dietro questo personaggio
che agisce poco per conto suo e molto attraverso le parole degli altri. Lo
incontriamo solo quando deve uccidere ed è peggio di un’arma letale: veloce ma
purtroppo non indolore per le povere donne che gli capitano sotto. Le indagini
si ingarbugliano, i commissari non sanno che pesci prendere, e in un apparente
casino che non sembra avere una soluzione plausibile, i sospetti si concentrano
sugli insegnanti ed i frequentatori di una palestra dove avviene quello che
erroneamente viene creduto il primo omicidio.
"Il piccolo pool che si è creato tra Soavi, Martelli e Taddei decide di dare un nome al killer inarrestabile, lo battezza Tenebroso, l'uomo che vive nel mistero."
Lo stile
dell’autore non mi ha convinto. Numerosi gli errori ed i refusi dovuti probabilmente
all’assenza di editing ma ho notato anche una mancanza di spessore nella
scrittura e nel linguaggio usato. E’ come se non emergesse la personalità di
chi scrive, o meglio non fosse definita. Uno stile che a tratti sembra ripetere
esclusivamente il clichè dei resoconti fatti nei commissariati, quindi in
totale assenza di metodo narrativo, di pathos e di partecipazione. Sembra, in
alcuni momenti, di assistere meccanicamente ad un’indagine, condotta in modo
freddo e distaccato e non di leggere un romanzo che dovrebbe, come minimo,
contenere suspense e mistero.
Il nocciolo
della questione sono sicuramente le motivazioni che stanno dietro a questi
omicidi realizzati in modo così atroce e vendicativo. Il serial killer si muove
indisturbato, uccide a proprio piacimento, pugnalando prima, poi tagliando la
gola e alla fine violentando barbaramente le proprie vittime, in un escalation
comportamentale che dovrebbe essere quantomeno terribile eppure qualcosa continua
a mancare. Insomma si diverte con tutto ciò che l’autore gli mette a
disposizione, con una sveltezza, leggerezza, tranquillità che seppur potrebbero
davvero coesistere in un omicida di questo calibro, appaiono nel libro
abbastanza poco credibili, perché non sono supportate da una chiara e consistente definizione
del personaggio.
In altre parole, in un thriller che abbia spessore e che sia
capace di coinvolgere, è necessaria la presenza di un Male che abbia una sua
dignità, uno scopo, una qualche valenza che porti il lettore ad interessarsi
allo scontro e all’eventuale risoluzione del caso. Il nemico, dunque, di
qualsiasi entità sia, deve avere una personalità forte, determinata, deve
incutere timore, perché anche se le sue motivazioni resteranno fino alla fine
sconosciute, esse devono a maggior ragione complicare, seppure nel silenzio e
nel non detto, il portatore di tale malvagità e ferocia. Insomma, anche se non
sappiamo perché agisce in quel modo, dobbiamo egualmente sentirlo sulla pelle,
avvertire i brividi di una tale forza agghiacciante e cattiva, vendicativa,
irrazionale, tanto da farci arrivare fino alla fine con la curiosità in gola.
Il protagonista di questo romanzo invece sembra un burattino nelle mani dell’autore.
Sembra un pupazzo che appare e scompare quando qualcun altro lo decide, che
agisce come se fosse costantemente allo sbaraglio, come se neanche lui stesso
sapesse perché. Quello che manca, secondo me, è la consistenza del male, l’occhio
impassibile ma allo stesso tempo penetrante di un’ombra che dovrebbe
inquietare, invece resta amaramente inspiegabile, come se fosse tristemente
relegata in un angolo senza avere nemmeno il coraggio di affrontare il suo
stesso ruolo micidiale.
La storia si
complica quando il passato irrompe improvvisamente nelle indagini, coinvolgendo
anche personaggi che sarebbero dovuti scomparire. La trama non risparmia
qualche sorpresa e il finale riporta in modo logico e consequenziale tutto le cose al
loro posto.
Ciò che mi
lascia perplessa è la costruzione dei personaggi, eccessivamente semplificata,
l’uso del presente storico che danneggia la profondità e la capacità attrattiva
contenuta nella narrazione, perché manca di azione, di partecipazione, di
sfondamento di quelle mura dell’attenzione che dovrebbero saltare in aria di
fronte a tanta crudeltà, eppure restano dannatamente intatte. Nonostante il
serial killer sia il Tenebroso, così come lo chiamano i poliziotti, nonostante
la sua storia, come scoprirete non è delle più facili, manca di una identità
vera e propria e purtroppo manca anche dall’altra parte, ossia in coloro che
dovrebbero contrastarlo. A parer mio, modesto e senza alcuna pretesa di
sentenziare un romanzo, che giudico solo in base al mio personale parere, l’uso
del presente storico ha reso meccanica la narrazione, convertendola ancora di
più verso una somiglianza irreparabile e svantaggiosa nei confronti di un’analisi
tipicamente poliziesca che manca della caratteristica del romanzato.
E’ come se l’autore
volesse condurre la narrazione su due binari paralleli: quello del romanzo e
quello dell’indagine tecnica e fredda, accompagnata da una volontà altamente
dichiarata di voler far luce sulle motivazioni di chi uccide. Infatti questo
concetto viene continuamente espresso sia all’inizio che durante la narrazione,
seppur la dichiarazione non permetta in alcun modo di capirci qualcosa in più. Anzi,
non riuscendo né nell’uno che nell’altro aspetto, ciò che è venuto fuori è
soltanto maggiore confusione e straniamento.
Straniamento
perché si parla più di una volta di identità del Tenebroso. Lo scopo dell’intero
romanzo sembra essere quello di spiegare chi è questo assassino e perché fa
tutto questo.
Ebbene
questo non è un compito facile, sappiatelo. Per far sì che un lettore, quando
legge una storia, si appassioni ad essa ed arrivi al punto di desiderare così
ardentemente di conoscere il destino di uno dei personaggi, ancor più se si
tratta del protagonista, al di là del bene o del male che esso rappresenti,
egli deve amarlo o odiarlo. Non importa quale delle due, l’importante è che uno
dei due sentimenti lo prenda per mano e lo conduca, trascinandolo o
spingendolo, inseguendolo fino alla fatidica ultima pagina. La storia, il
destino, il passato, la memoria di un personaggio è la chiave di lettura di un
romanzo. La sua identità è il pass che ci permette di entrare e di non
volercene più andare a tal punto che poco importa dove ci porterà. Posso solo
dire che il protagonista di Tenebra non l’ho amato e non l’ho neanche odiato. E’
rimasto distante da me e non perché sia cattivo o perché io abbia parteggiato
per chi doveva combatterlo, ma perché semplicemente io non l’ho sentito. Non mi
sono sentita parte di quel mondo, né del suo bene e né del male, non ho tremato
di fronte a lui, né ho provato ammirazione. E anche quando ho chiuso il libro,
non ho desiderato restare, forse perché in realtà non sono riuscita ad esserci veramente.
Mi aspettavo
molto di più da questo romanzo, che già dal titolo mi aveva incuriosito molto.
Amo i thriller, soprattutto quando sono creati sulla base di una costruzione
del male, del nemico, dell’antagonista di spessore e con cognizione. Ho visto cose che non mi sono piaciute e allo
stesso tempo non ne ho viste altre che mi sarebbe piaciuto sentire, incontrare,
conoscere. Credo che ci sia stata troppa fretta nello scrivere e di conseguenza
poca attenzione, cura nell’adattare la storia. Fretta nella narrazione, un
finale dichiarato troppo velocemente, un linguaggio caratterizzato da frasi
troppo brevi, spesso banali ed un eccessivo uso dei punti di sospensione.
Fretta nel non dare il giusto valore ad una storia che se scritta diversamente,
meriterebbe molto di più. E proprio per questo ciò che mi sento di dire all’autore
è di mettere fuori molto di più della sua visione, della sua personalità di
scrittore. Lasciata così sembra soltanto una storia di odio, di vendetta e di
morte che viaggia attraverso le parole senza uno scopo, senza una destinazione.
Ferocia, brutalità, sangue che almeno per me, non sono riusciti a coinvolgere.
Ogni storia ha diritto al suo posto nel mondo, ma che sia un posto adatto ad
essa, della sua misura e soprattutto del suo valore.
Ciao! Ti ho nominata sul mio blog per il Boomstick Award. Passa a trovarmi!
RispondiEliminaCiao Robin! Grazie mille per questa nomina, passo subito da te! <3
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