Buongiorno
lettori, il post di oggi è dedicato alla recensione di un libro che ho amato
molto e di cui ringrazio la Casa Editrice Marsilio
per avermi inviato una copia. Le fragili attese di Mattia
Signorini è un insieme di storie delicate che riescono, anche
grazie allo stile dell’autore, a raggiungere le corde sensibili dell’animo.
Leggete e
lasciatemi le vostre impressioni!
Autore: Mattia Signorini
Editore: Marsilio
Uscita: Aprile 2015
Genere: Romanzo
Pagine: 259
Prezzo: € 17,00
Ebook: € 9,99
Trama
Questa
è la storia della Pensione Palomar, una vecchio stabile a due piani nel
quartiere periferico di una grande città. Osservandola dalla strada, incastrata
tra due palazzi, sembra appartenere a un tempo che non è più. È la storia di Italo, il proprietario, che a
quasi ottant'anni ha deciso di chiudere per sempre. Osserva passare gli ultimi
giorni seduto dietro al bancone, mentre rilegge vecchie lettere d'amore scritte
da una ragazza negli anni Sessanta. È anche la storia dei suoi ultimi ospiti:
Guido, un professore d’inglese che deve insegnare a parlare a una bambina muta;
Lucio Ormea, un uomo alla ricerca del padre che non vede da quando era piccolo;
Il generale in pensione Adolfo Trento, convinto che la soluzione di ogni pace
stia nella guerra; Ingrid, un'arpista con il polso spezzato che lavora come
cassiera al supermercato e di notte si accompagna a uomini conosciuti per caso;
e infine la domestica Emma, che ha fatto della Pensione Palomar la sua casa da
ormai troppo tempo. Sono tutte persone ferme ai margini di un mondo che corre
troppo veloce, in attesa che arrivi qualcosa, forse un treno che li porti via,
verso una direzione qualsiasi, prima che sia troppo tardi. Mattia Signorini ci
regala un delicato e intenso romanzo sulle attese in cui, tra speranze e
delusioni, capita che la nostra vita si incagli. Attese spesso lunghe, fragili,
a volte senza fine.
Mattia Signorini è
nato nel 1980 a Rovigo. Ha pubblicato
Lontano da ogni cosa (2007), La sinfonia del tempo breve (2009; Premio
Tropea 2010), Ora (2013; finalista Premio Stresa) e Le fragili attese (2015).È
tradotto in Europa, Sudamerica e Israele. Ha fondato la scuola di scrittura
creativa e narrazione Palomar ed è direttore artistico del Festival
Rovigoracconta.
“Si attende che la vita faccia un passo e la pianti di stare in bilico, pericolante su se stessa. Si attende qualcuno, o qualcosa, che prenda tutti i silenzi e lasciandoli cadere, quasi per sbaglio, li mandi in frantumi.”
Questa frase riportata nel retro
della copertina è stata per me fulminante. Ho voluto leggere questo libro da
quando ne ho scoperto l’esistenza. Mi è sembrato, quasi, che un pezzo
frammentato del mio essere inquieto, avesse trovato un appiglio di specchio nel
quale riflettersi, per un attimo.
Le fragili attese è un libro che ti
coglie di nostalgia e di attesa, di malinconia e di impossibilità. E’ una
musica soave e delicata, è qualcosa che ha a che vedere con il tempo, con l’inganno,
con i luoghi che non esistono e con le scelte che si fanno. E’ melodia di
suoni, di risate e di illusioni, parole perse e ricordi, fughe dolci e amari
dissapori.
Già dalle prime pagine ho iniziato
a sentire l’eco di Oceanomare, uno dei romanzi che adoro di Alessandro Baricco.
Ho sentito la presenza della locanda immaginaria Almayer nelle notte distorte
della pensione Palomar, il luogo nel quale confluiscono tutti i personaggi del
romanzo di Signorini. Ho associato le lettere di Bartleboom, voce di un amore dissonante, impregnato di lettere
dedicate ad una donna non ancora conosciuta ma reale nella sua immaginazione
volteggiante a quelle anonime ritrovate dal protagonista di questa storia. Così
come la presenza costante dell’acqua laddove in Baricco c’era il mare, l’ondata
estraniante della nostalgia, di un canto profumato di dolcezza e terrore, di
una voglia di inventarsi una storia tra mille storie, una storia che conduca da
qualche parte, una strada che ci faccia dimenticare di aspettare.
Il protagonista è Italo, l’uomo del
silenzio, colui che ha preferito l’indicibile racchiuso nella sua anima e sotterrato
nella sabbia della sua memoria, alle parole, alle voci altisonanti della città
che cambia e si ammoderna, alla fiumana di gente che attraversa la sua vita
mentre lui è lì, dentro quelle mura, a lottare contro l’inafferrabilità della
sua esistenza, da più di quarantasei anni. Italo giunse a Milano quando era
ancora un giovane con qualche speranza ma con il cuore già pieno di sofferenza
e la pensione Palomar divenne il suo lavoro e la sua scelta. Ne divenne il proprietario
e da allora il suo tempo e il suo spazio si condensarono in quel luogo che come
un’ancora salvava tutte le persone che lo attraversavano. Un luogo di mezzo, un
terreno fertile per la memoria ma anche per la dimenticanza, un universo di
caratteri e personalità devote indiscutibilmente alle loro paure e alle loro
discrepanze. Un miraggio, un miracolo che si portava addosso i segni umani dell’attesa.
Un posto in mezzo agli altri posti, a cavallo tra il rumore e il delirio, un
angolo di terra, lontano dal cielo, più affondato nelle radici del pensiero,
nel quale tutti e nessuno potevano trovare un approdo, un sospiro, forse un
sorriso?
Dopo tanti anni la pensione Palomar
sta per chiudere perché Italo è stanco di aspettare e vuole viaggiare. Mattia
Signorini racconta con uno stile affusolato, riempendo le parole di altri
significati e di immagini irreparabili, di anime che si incrociano tra quelle
stanze, si scambiano sogni e battute, attimi di riverenti scoperte, segreti
inconfessabili e misteri mai svelati. Anime in cerca di riscatto, di conoscenza
o di semplice consapevolezza. E’ così per Lucio Ormea, uomo alla ricerca
estenuante di un padre che non ha mai conosciuto. Così per Adolfo Trento, soldato ormai vecchio e dirottato che cerca la
pace nell’isolamento di uno stato che ormai lo vede fuori dal mondo. Così per
Guido, professore d’inglese, che si trascina sulle spalle una storia sbagliata
che ha sporcato il senso immacolato della sua esistenza e adesso deve fare i
conti con la sua incongruente presenza che va inevitabilmente a scontrarsi con
il turbine di desideri e paure di Ingrid, complicata donna che cerca nel sesso
occasionale la tana alla sua infinita solitudine. E poi c’è Penelope, bambina
che non parla. Bambina che da quando la madre è morta in acqua, ha perso la
parola, non sa più dove andare, perché la voce ha smesso di sussurrarle i
pensieri giusti da dire e l’unico aggancio ad una vita che le scivola addosso
troppo veloce, sono i libri e il suo zaino del cuore. La sua piccola esistenza
è un continuo e martellante senso di colpa, perché sa che se la madre non si
fosse gettata in mare per salvarla, sarebbe ancora viva. Così come il padre,
suicida in quella stanza maledetta, chiusa agli occhi feriti di quella bambina
che vorrebbe parlare, ma il silenzio del dolore è troppo forte di qualsiasi
tentativo di sopravvivenza.
“Se non si fosse spinta così in là
per cercare i pesci colorati, adesso sua madre sarebbe stata ancora lì con lei.
Invece le rimaneva solo quello zaino. Quando stava a casa si sentiva soffocare,
ma adesso, in mezzo al silenzio della neve, Penelope era libera, e non ci
sarebbe stato più nessuno che voleva obbligarla a parlare.”
Ogni personaggio si porta dietro un
mondo ingiallito, pieno di polvere e di degrado. L’autore ci racconta di rovine
contenute nelle strade dell’anima, di luoghi diroccati e abbandonati perché preda
infinita dell’attesa. Ogni figura tratteggiata, avvolta dal bianco e nero della
memoria, si ferma nel tempo, s’incastra in queste pagine, a misura d’uomo e si
lascia incantare dalla penna di chi le descrive, per rinascere, inventandosi un
nuovo movimento. E’ tutta un’attesa, un sapore nostalgico di miele e poesia, di
romanticismo e morte. Italo attende di vivere finalmente ciò che ha tenuto celato
per anni nei suoi scrigni di vetro sotto la sabbia, Penelope attende di parlare
o forse di rinascere senza più quella macchia che ha reso la sua fragile vita
un pesante groviglio di colpa. Guido attende il riscatto mentre Ingrid che la
sua solitudine smetta di farla tremare, fuggire, rifiutare la possibilità di
lasciarsi realmente amare solo per la paura di essere ferita ancora. Ma più di
tutti ad attendere è Emma, una donna semisconosciuta, che appare raramente nel
racconto, eppure la sua assenza ad intermittenza è una sicurezza, una conferma,
funge da garante e da collante alle esistenze inusitate di tutti. E’ la governante
della pensione, colei che da anni accompagna Italo in questo viaggio tra i
silenzi e le attese, collocandosi al limite del sentimento amichevole, senza
mai andare oltre.
Ma ci sono lettere che una volta
lette non possono più essere dimenticate. Lettere d’amore, di un amore
privato, intimo, così delicato da essere sacro. Un amore nostalgico perché eterno,
che non passa, che diventa una crosta dietro la quale serbare ogni piccolo
granello di sé, contrastando il tempo che ferisce e il vento che spazza via i
sogni. Una crosta in grado di farti sentire, nonostante gli anni ormai andati,
ancora quella luce nel cuore, quella forza giovanile che ti permette di
conservare intatta un’emozione, di farti stare ancora lì, ad aspettare, come la
prima volta, come se adesso fosse solo un silenzioso sempre.
“C’è una vaga ironia, in questo
senso dell’attendere. Non ho fatto altro per tutta la vita: attendere.”
C’è qualcuno che attende, il tempo
si è fermato nelle pieghe e nelle rughe di quel volto che ha atteso per anni, e
ha custodito gelosamente i propri sentimenti. La memoria, il passato possono
essere precari mentre il ritmo della vita è troppo veloce, è troppo sfuggente
per farci restare dove siamo, per essere ancora una volta quello che eravamo.
Ma i personaggi di Mattia Signorini non ascoltano i sermoni degli anni, dentro di loro
c’è una roccia di ricordi dura a morire, una vita che non si rompe sotto il
peso dell’oggi né quello del domani, perché i loro pensieri sono incuneati
nelle crepe dei loro corpi, che come scudi e armature li proteggono dalla
incurie e dal passaggio frivolo delle ore, degli anni.
Questo libro è un trionfo di ombra
e di polvere, di melanconia simile a quell’atmosfera solitaria e pregna che
crea una candela, mentre si consuma sotto il peso dell’aria. Non c’è una
vera e propria luce in queste storie, perché
la luce è vittoria, è supremazia, è grido feroce contro l’indifferenza, qui
invece c’è caducità, sfumatura, pelle screpolata e assenza. Cos’altro è l’attesa
se non eterna assenza di qualcosa? E l’attesa crea nostalgia, il doloroso e
pressante desiderio del ritorno. Che qualcosa inesorabilmente torni a noi,
ridonandoci quella bellezza perduta che non è nell’immortalità perché l’eterno
non è la salvezza, è solo un’illusione.
Le fragili attese è un romanzo
piegato e sgualcito come i volti delle persone che ci sono dentro, è il
racconto di una decadenza che non ha il sapore della distruzione ma della
magia. Definirei questo romanzo contaminato dalle barbarie della vita, dal verme
dolente dell’attesa che ti corrode l’anima e ti rende un essere umano spezzato,
un pezzo di frammento che cammina per il mondo, ondeggiando. Non è una storia
di vittorie e di conquiste, è una tela di malinconie bistrattate e spesso sbandierate
per essere finalmente capite. E’ un non luogo che ha lo stesso valore di un
castello dimenticato, di una casa diroccata o di un paese devastato. E lì, in
quel mondo che sembra scomparso, che si conserva il valore del passato e della
memoria, pieno di tracce di visioni e incantesimi, forse anche di tristezza e
di silenzio.
Ma è nei romanzi come questo che non raccontano di storie felici o
di amori esaltati che si conserva l’ombra della nostra vita. Mentre si cerca di
spiegare tutto e di eternizzarlo, le vite di Mattia Signorini sono figlie della
temporalità e della fragilità delle cose del mondo, sono belle in quell’attimo
che non ha niente a che vedere con l’eterno, in quel silenzio che ti porti dentro,
struggente ed indefinito. In quella quiete che sa di solitudine e che si mette
in disparte tra le pieghe di un mondo che corre troppo veloce.
I romanzi come questo mostrano che
esiste un’altra possibilità di “vivere”, diversa dalle solite letture e dalle storie
consumistiche. Mostrano quanto l’inconsistenza dell’attesa, la sospensione del
desiderio e la fragilità di un ricordo possano contrastare la frenesia e la
fame dei libri di successo. I luna park dell’editoria altisonante e
pubblicizzata, i libri come giocattoli per intrattenere e distrarre, privi di
uno scheletro che li renda indimenticabili. I romanzi come questo diventano
rifugio dal clamore e dal cemento armato, le loro vite arrugginite e
impolverate, piene di cicatrici e di distanze. Con le mura annerite dal fumo e
dalle lacrime, senza gloria né perdono, solo pelle che si attacca addosso e non
svanisce per niente al mondo.
“Aveva quella bellezza di cui solo
i vinti sono capaci. E la limpidezza delle cose deboli. E la solitudine,
perfetta, di ciò che si è perduto.” da Oceanomare, Alessandro Baricco.
Mi ispirava già molto, la tu entusiastica recensione mi ha convinta a metterlo in WL :)
RispondiEliminaNe sono felice Cecilia, sono sicura che non rimarrai delusa ^__^
EliminaUna recensione che convince, senza dubbio! Il titolo mi piace tantissimo *_*
RispondiEliminaGrazie Ada! <3
EliminaPenso che quando si legge una recensione così ... non si possa proprio non leggere il libro che ha suscitato così tanto amore.
RispondiEliminaSei dolcissima Federica, grazie! <3
EliminaGià la copertina mi aveva colpito ma ora grazie alla recensione sicuro lo aggiunto nella mia WL :-)
RispondiEliminaE' un libro profondo e poetico, se ti piace il genere è imperdibile! ^_^
EliminaCiao Antonietta, non so più quante volte sono tornata qui per rileggere questa recensione da quando, qualche giorno fa, ho finito di leggere questo libro.
RispondiEliminaTu con tutta probabilità non ti sei resa conto di che cosa non sei riuscita a scrivere di questo libro... *___*
Come ti ho detto ieri, per me questo è un momento di poche parole, ma a maggior ragione, dopo aver letto Le fragili attese, mi sento un po' meno in colpa come invece vorrebbero che mi sentissi certe persone che con la loro sola presenza e i loro occhi non fanno che contaminare e annientare il mio spazio. Rileggendo il mio primo commento, dopo tutto questo tempo, non mi sembra ancora vero che in qualche modo sia sopravvissuta a una vita che non posso più chiamare vita ma esistenza. Quella che sto vivendo è una semplice esistenza, e credo non sia stato affatto un caso se abbia deciso di leggere questo libro in questo momento, come ho scritto ieri in un post, non me la sono proprio sentita di condividere tutto ciò che Mattia Signorini ha lasciato nella parte più profonda di me. Ti posso solo dire che questo libro aiuterà a definire il mio, o perlomeno, ci proverò. <3
Grazie Antonietta. *___* :*******
Cara Federica, anche io rileggendo questa recensione, grazie a te, ritrovo davvero sensazioni molto forti ed emozioni intense. Sono felice che lo abbia letto anche tu e, nonostante le tue difficoltà, non avevo dubbi che saresti riuscita a sentire tutto, tutto quello che ho sentito anche io. Ma sono ancora più felice, come tu stessa hai detto, che tu sia qui con me e con noi, e mi riferisco a tutte le persone che amano quello che scrivi perchè arriva al cuore di tutti, perchè sei coraggiosa e generosa, una perla rara in questo mondo. Non smetterò mai di ripeterti che sei unica, le tue dimostrazioni di affetto sono inestimabili. Ti abbraccio forte e ancora più forte. :***
Elimina*_________________* :*******
EliminaIn questo momento non mi escono proprio le parole... Vorrei solo ricevere il tuo abbraccio, Antonietta, solo questo.
Grazie, grazie, grazie!! <3