Allora leggete! E fatemi sapere cosa ne pensate.
Titolo: FeliCittà
Autore: Giuliano Faustini
Editore: Cavinato
Pubblicazione: 4 Novembre 2014
Genere: Narrativa
Pagine: 164
Prezzo: 5.99
Formato: Ebook
TRAMA
Pietro giunge a Felicittà, la città dello specchio. È così infelice che l'idea di una città tutta felice lo rende incredulo e curioso. Ha da poco deciso che da grande vuole fare il viaggiatore. Avrebbe proseguito verso l'India … ma un vortice burrascoso lo trascinerà in un'avventura che si svolge tra sogno e realtà. Pietro ha un compito importante. Un passo falso e l'equilibrio eterno tra l'Essere e il Non Essere sarà per sempre perduto. Sì, senza né specchi né occhi nei quali rispecchiarsi e riconoscere se stessi, gli abitanti di Felicittà non “Sono” e per questo svaniscono nel nulla. Nel vano doccia, in completa solitudine, vedremo solo statue di schiuma. Guidato dal bizzarro Teodoro e dal tenero Leone, Pietro scopre di essere il Salvatore annunciato dal manoscritto. Si farà picchio nero, saprà volare. Solo il batter di becco sul tronco del pino saprà risvegliare le coscienze addormentate, prima che svaniscano irreparabilmente. Chi vincerà … essere o apparire? Per scoprirlo giungeremo in un deserto irreale; coloro che lo abitano si illudono di essere alla guida della ruota che dà moto alla terra e alla vita di tutti noi. Due giornaliste moscovite sono il motore che smuove la trama. Amore, amicizia, filosofia … il romanzo surreale è ricco di tematiche affascinanti; mentre Monica è cieca nei confronti di un mondo che non sa più guardarsi dentro. I personaggi di Felicittà non sono solo una caricatura, un'esasperata rappresentazione della vanità; sono la nostra anima che va per scomparire, un brutto sogno dal quale non resta che svegliarci.
Pietro è il protagonista di questo intenso viaggio a cavallo tra la realtà e la poesia, in cui si mescolano visioni lucenti e fantastiche ad abissi incommensurati di oscurità e paura. Il percorso del protagonista dovrebbe portarlo in India ma il romanzo inizia quando lui stesso, insieme ad un gruppo di turisti, si trova di fronte alle meravigliose porte di FeliCittà.
Una cittadina ridente, famosa in tutto il mondo per i suoi specchi, meta di continue visite da parte dei più curiosi, attratti dalle sue originali ed introvabili particolarità. Essa sembra subito un sogno, un luogo in cui sono i colori a dominare l’aria, la terra e l’acqua, in cui un tripudio di pastelli fatti di azzurro, giallo e rosso, capaci di dipingere il mare, la torre, la chiesa e ogni piccolo negozio e casa che popola questa meravigliosa avventura che chiamano FeliCittà.
L’autore descrive con dovizia di particolari e cura ogni aspetto di questo posto apparentemente incontaminato e felice. La sua scrittura è delicata e soffusa, le sue parole macchiano d’inchiostro le nuvole ed il cielo mentre lottano e si contrattaccano. I colori come il giallo ed il blu si mescolano alle mura fatte di pietra, alle viette ciottolate ed alle torri innalzate a protezione della città. Durante il suo percorso conoscitivo, Pietro incontrerà molti personaggi, alcuni amici, altri nemici, chi lo aiuterà e chi lo minaccerà. Ci sarà chi lo metterà in guardia contro terribili accadimenti, perché al di là di ogni apparenza, FeliCittà è in pericolo, così come tutti i suoi abitanti.
Teodoro, il direttore della scuola, gli offrirà un posto come autista e gli chiederà di trattenersi in quel luogo più del dovuto, perché la sua venuta può significare una grande svolta per tutto il popolo. Conoscerà il sindaco, una splendida donna vestita di bianco e nero, dalla pelle diafana e gli occhi neri come la notte. Una vera e propria minaccia latente, che con le sue poche e spicce parole tenterà più volte di impaurire e di allontanare da quel luogo il nostro eroe. Infine anche l’amore farà il suo ingresso, incarnato dalla bellissima e giovane russa Natascia, della quale Pietro, stranamente, s’innamorerà al primo sguardo, confessando a se stesso, di averla amata da sempre.
“A dire il vero, era come se fossi da sempre innamorato.”
I personaggi sono narrati come se potessimo vederli, di essi l’autore ci descrive gli abiti, i lineamenti del viso, il colore dei capelli, le movenze e le espressioni, attribuendogli un’umanità ed un’animosità che li avvicina pericolosamente alla vita reale, rendendo le loro storie un meraviglioso mosaico che si chiama vita. L’atmosfera è pregna di fiaba, ci sono indizi ovunque che lasciano immaginare che ogni elemento ed ogni accadimento non sia altro che un rimando a qualcos’altro.
Del resto sono o non sono le fiabe, le più grandi metafore sulla vita?
Un misterioso complotto prende lentamente forma, più ci addentriamo e conosciamo da vicino i protagonisti di questa storia, alla quale la stessa natura, i suoi umani e persino gli animali prendono parte. Lo stile ti conquista, conducendoti senza oppressione e senza alcuna pressione a scoprire i segreti di cui fin dall’inizio percepisci la presenza, proprio perché l’autore è bravo a suggerire che esattamente dietro i mille colori di quell’arcobaleno, si cela il buio più nero.
Nella scuola Pietro conosce una donna cieca di nome Monica che conserva una storia molto particolare ed eccezionalmente emblematica che serve all’autore per riempire le pagine del suo romanzo non solo di una trama esclusivamente narrativa ma anche condita da numerose riflessioni filosofiche, proprio perché lo scopo di scrivere una storia come questa è sicuramente, tra tutti quelli che ci possono essere, l’invito al pensiero ed al giudizio, la presa di coscienza, e la trasformazione dello sguardo su tutto ciò che ci circonda. Monica era una fotografa che una volta diventata cieca comincia a sentirsi inutile, perché non può più fare niente che sia riconosciuto convenzionalmente universale. E nello stesso modo considera Pietro. Egli ammette di viaggiare senza uno scopo ed è anche quello qualcosa di profondamente inutile, perché è solo una perdita di tempo. Il discorso sulla cecità in rapporto al tempo e all’utilità della propria vita e delle proprie esperienze serve da input per riflettere su argomentazioni molto più ampie come l’orientamento che può prendere la nostra vita, la perdita di uno scopo e la speranza quando non ci si sente compresi.
La chiave del mistero si trova in mezzo agli alberi, nel volto corrucciato di Teodoro e tra le rughe e il corpo scarno di Leone, personaggio intorno al quale ruotano tutti gli equilibri della storia. Egli sembra uscito direttamente da una fiaba dei fratelli Grimm e contribuisce ad arricchire quell’alone di sogno e realtà nel quale Pietro non può essere altro, anche senza volerlo, che un punto di riferimento per l’intera città e soprattutto per Monica, che si scopre talmente presa da lui da considerarlo in pochi giorni l’uomo della sua vita.
Gli specchi di cui ogni negozio di FeliCittà è pieno, rappresentano il suo incontrastato fascino che è anche la più grande maledizione, perché è proprio nel loro riflesso che si conserva il valore e il senso di quel mondo e di chi lo nutre per farlo sopravvivere. Una scoperta sconcertante metterà Pietro a dura prova. Un compito gravoso penderà sulle sue spalle ed egli, come comandato da un destino silenzioso ed invisibile, risponderà senza pensarci, a quel richiamo assurdo e terribile, senza alcun ripensamento, come se fosse inesorabilmente destinato a quello, anche senza volerlo.
C’è un’antica leggenda che si respira nel bosco, una storia incredibile, incastrata tra i rami di un albero che serba il più grande mistero del mondo. Lo scontro tra la gazza bianca ed il picchio nero dalla cresta rossa. Ed ora state pensando ad una favola e per certi versi è proprio così. Ma è anche molto di più come ogni grande fiaba che si rispetti.
Il ruolo degli specchi non è solo marginale, essi rappresentano il nucleo filosofico della storia. Il romanzo parla di specchi in cui riflettersi per non scomparire, ma è lo stesso romanzo un grande specchio in cui possiamo rifletterci per comprendere che forse anche noi stiamo scomparendo, e non riusciamo più a vederci per davvero. C’è un forte simbolismo che racchiude significati molto importanti negli uccelli, nella natura stessa e persino nella pietra.
“Il Salvatore giungerà col nome della Pietra, colei che per sua natura, sa essere umile e forte, Colei che non è corrotta dalle intemperie, ma si perfeziona assumendo la forma del tempo.”
Tra un gioco di specchi, di trasformazioni meravigliose e di lotte al limite della magia, il bene e il male ancora una volta si scontrano, in due mondi diversi: il mondo al di qua e il mondo al di là, in cui una terribile condanna costringe gli abitanti ad un sacrificio inestimabile. Ma non è altro che l’illusione della vita e del proprio essere a condurre l’umanità alla sua morte. La morte dell’anima, che diventa merce corrotta di una vanità sbagliata. Gli uomini si salveranno quando la loro coscienza si risveglierà dal sonno dell’illusione e dell’apparenza, della superficialità e dell’inganno. Le generazioni future dovranno avere il diritto di chiedersi Chi sono? E di darsi una risposta che non sia il povero riflesso di uno specchio fatto di illusioni.
La teoria della vita e delle sue illusioni è molto particolare, perché incentrata sul gioco degli specchi ed affonda le proprie radici nelle più ardue argomentazioni filosofiche ed artistiche. Prima di essere un città moderna FeliCittà era una collettività dedita alla terra e alle arti.
“Leone ci tenne a sottolineare che a FeliCittà non si era in cerca di fama ma necessario era avere l’arte come ideale.”
La natura è una personificazione mastodontica ed imponente. L’opposizione tra giorno e notte è molto forte, come quella tra luce ed oscurità. Per raggiungere la vera felicità bisogna scavare dentro se stessi, superare le stanze buie che ci troviamo di fronte, rompere ogni specchio di illusione per raggiungere finalmente il sottosuolo dove si nasconde la verità. Il senso è quello di non credere alle apparenze. Non credere a ciò che vediamo, sentiamo e viviamo superficialmente. Ma cercare con umiltà e pazienza, il fondo scuro della nostra verità, di ciò che realmente ci rende felici. Dobbiamo trovare ognuno la propria scala personale che ci conduca nei sotterranei della nostra essenza pura e priva di menzogne e di maschere. Il guardarsi in faccia per quello che si è, non è altro che un modo per risvegliarsi, per aprire gli occhi di fronte al torbido e sonnolento sonno dell’inconsapevolezza.
Pietro affronterà una discesa reale e metaforica che lo condurrà a capire la sua persona nel profondo.
“Un fiammifero si spense. Fu buio totale. Io percepii una vibrazione dentro, l’armonia arcaica di un’esistenza perfetta.”
Tutto ruota intorno ai concetti di felicità e di libertà. La filosofia prende campo e FeliCittà non è altro che la metafora della nostra coscienza che deve risvegliarsi dal sonno dello specchio. E’ veramente libero colui che guarda dentro se stesso, senza timore.
A metà tra sogno e profezia, tra ciò che è reale e ciò che non può esserlo perché figlio della scrittura, si svolgono le vicende di questo romanzo fiabesco che del linguaggio perfetto e dell’intreccio ha fatto una garanzia per una lettura riflessiva e piacevole. Anche per tutti coloro che non amano leggere pensieri filosofici, seppur sarebbero utili a tutti, in questa storia troverete attimi di sensata analisi su ciò che ci circonda e soprattutto riguardo noi stessi.
FeliCittà è un grande giardino pieno di fiori colorati, di piante, di animali, tutti doni della Natura che rappresentano il nostro mondo, la nostra vita. Quella luce, che ognuno di noi, anche il più apparentemente soddisfatto, sta cercando ha sempre e soltanto un nome: felicità. Puoi chiamarla amore, famiglia, lavoro, ma il senso non cambia. La filosofia ci insegna che è nell’oscurità, nell’ombra del sottosuolo più impraticabile che bisogna andare a cercare se stessi. La luce è dentro di noi, non fuori. E se non scaviamo dentro, con le unghie e con i denti, se non ci liberiamo delle convenzioni e dei preconcetti, FeliCittà resterà soltanto uno splendido miraggio, che potremo solo intravedere nei nostri viaggi, da lontano, senza mai entrarvi per davvero.
FeliCittà è un’utopia, perché non esiste ma paradossalmente è realizzabile perché dipende da quanto abbiamo il coraggio di andare a fondo, dentro di noi. Senza temere il buio che in esso troveremo. Qualunque sia il suo volto, qualunque sia la sua voce.
In un’epoca in cui la luce è diventata lo sguardo. In cui è accecante, anonima, spesso aberrante, tutta uguale. In cui illumina nello stesso modo tutte le cose, rendendole pericolosamente indifferenti perché non facciamo più lo sforzo di scoprirle, avendole continuamente davanti. I luoghi, esageratamente illuminati non sono più ripari, ma spazi perdutamente aperti. In un’epoca così, come la nostra, l’oscurità, l’ombra, la penombra sono state cancellate, come si vuole cancellare la polvere dalle cose. Ma il buio è il nostro fondo nascosto, se eliminiamo le ombre, il nostro essere perderà la sua umanità, la sua carnalità, la voglia di scoprire. C’è chi teme il sottosuolo perché lì si nasconde il buio dell’anima e vuole che il giorno sia eterno, ma se continueremo a credere che vedere tutto sia meglio dell’ombra, perché questa può generare mostri, allora nessuno di noi raggiungerà mai la felicità. E’ nell’imperfezione dell’oscurità che si nasconde la nostra umanità, ciò che ci rende mortali, forse sbagliati ma sicuramente veri e reali, più di qualunque teatrino festante di scintillanti specchi che intonano la loro ennesima e illusoria vittoria sul mondo.