Buongiorno!
Oggi la recensione alla raccolta di racconti di Vittorio De Agrò, intitolata Amiamoci, nonostante tutto, vi terrà compagnia
e se volete, come sempre, fatemi sapere le vostre impressioni!
Titolo: Amiamoci, nonostante
tutto
Autore: Vittorio De Agrò
Editore: Youcanprint
Pubblicazione: Febbraio 2015
Genere: Racconti
Pagine: 111
Prezzo: 0,99
Trama
Si dice che l’amore non abbia età, ed è proprio così per Amiamoci, nonostante tutto. In un panorama rosa, prevalentemente al femminile, ecco emergere storie dal cuore maschile, che però ha sempre bisogno della mano gentile di una donna per trovare la propria strada. Storie diverse, età differenti, sentimenti ricchi di sfumature e modi d’essere che nascono nella purezza di un bambino e si completano nella maturità dell’adulto. Emozioni, commozione, sorrisi; la mente del lettore viaggerà nei ricordi, passeggerà nel presente e magari immaginerà un futuro, sempre all’insegna dell’amore. Sarà Federico a condurci in questo percorso di gioia e ostacoli. Un giovane uomo, forse ancora immaturo e diffidente nei confronti delle relazioni durature, che, grazie ai racconti di un vecchio e saggio libro, riuscirà finalmente ad aprire il suo cuore.
Biografia
Vittorio De Agrò è nato in Sicilia, ma vive a Roma dal 1989. E’ un proprietario terriero e d’immobili. Dopo aver ottenuto la maturità classica nel 1995, ha gestito i beni e l’azienda agrumicola di famiglia fino al dicembre 2012. Nel Gennaio 2013 ha aperto il blog:ilritornodimelvin.wordpress.com che è stato letto da 16 mila persone in 98 paesi nei 5 continenti. “Amiamoci,nonostante tutto” è il suo secondo romanzo. Ha pubblicato nel 2014 con Cavinato Editore International il romanzo autobiografico “Essere Melvin”.
Amiamoci, nonostante tutto, è la seconda prova letteraria di Vittorio De Agrò, autore che ho avuto già modo di recensire, leggendo il suo primo romanzo, intitolato Essere Melvin, di cui vi ho parlato qui.
Ora ci troviamo di fronte un volumetto che contiene una serie di racconti, pochi per l’esattezza, che si leggono velocemente e con partecipazione. Hanno tutti un comune denominatore che equivale all’amore, del resto il titolo non trae assolutamente in inganno.
I protagonisti sono diversi e soprattutto sono diverse le età con cui, ognuno di essi, si approccia e si avvicina al grande mistero amoroso.
Lo stile dell’autore è pieno di ironia, di quella leggera, che scivola delicatamente tra le righe, rendendo ogni pagina non solo una piacevole conoscenza ma anche uno spunto di apprezzabile riflessione. Non ci troviamo di fronte ad un testo mieloso o profondamente inabissato nell’esaltazione delle eccellenze amorose, bensì una lettura accattivante che in più di un momento è in grado di far sorridere, mai di cattiveria ma solo di bonaria consapevolezza.
Vittorio De Agrò è un autore spassionato. Quello che scrive lo decide lui stesso e sembra che abbia sempre il perfetto controllo dei suoi personaggi e delle sue storie. Sarà perché anche qui, nonostante non sia stato dichiaratamente affermato da lui, io ci ho letto altrettanti spunti autobiografici, così come nel precedente lavoro?
Non saprei rispondere, posso semplicemente limitarmi a dire che in ogni storia e in ogni piccolo o grande uomo che ho incontrato tra le sue pagine, ci ho visto un po’ di lui.
Nella parte iniziale, incontriamo Federico e Gloria e sarà proprio a causa della crisi del loro rapporto e della reticenza di Federico a formalizzare la loro storia, che inizierà una sorta di countdown che condurrà il lettore attraverso una serie di micro racconti contenuti nell’ensemble generale del libro. Trattasi quindi di un meta racconto, ossia di un racconto nel racconto che come una spirale, si protende verso un finale nel quale troveremo forse un po’ più di dolcezza ma mai storceremo il naso, perché l’autore, anche quando parla apertamente di amore e quindi di un sentimento che facilmente corrompe l’animo di zucchero filato, non si lascia mai abbindolare e mantiene sempre il suo punto di vista, eccezionalmente critico e immancabilmente diretto.
L’escursus procede attraverso diversi protagonisti, tra cui Marco, dodicenne innamorato, alle prese con la prima cotta delle scuole medie e la prima esperienza sentimentale. In questo spaccato di prima adolescenza e nella sua storia ancora così delicata e leggermente improntata, ci ho letto dolcezza e affabilità, una costante presenza genitoriale che oggi giorno, nella nostra società così moderna eppure così attaccata a certe tradizioni che della lontana gloria hanno mantenuto solo la polvere, appare ormai dimenticata e superata.
“L’importante è essere se stessi, la sincerità e la naturalezza pagano sempre alla fine, caro Marcolino.”
Nel secondo racconto il protagonista è Riccardo, un sedicenne alle prese con il sesso. Si definisce il “verginello” del gruppo e non vede l’ora di affrontare la questione per togliersi il pensiero. Un atteggiamento comune a molti giovani, sia ragazze che ragazzi, che considerano la prima esperienza sessuale solo un fastidioso grattacapo da togliersi il più in fretta di torno.
Del resto…
“Se non fai sesso, sei uno sfigato. Se non parli di sesso, non sei “cool”. Il sesso è la parola più ricorrente nei dialoghi tra estranei, amici e amanti. Il sesso si vede e vende ovunque.”
La visione quindi è incentrata sull’altra faccia dell’amore, sull’aspetto fisico e sul coinvolgimento o presunto tale a cui si aspira in una folle notte d’amore. Eppure l’interpretazione di questa dimensione non è per niente addomesticabile. Anche in questo caso l’autore propone la sua visione disillusa della nostra società che vive e sopravvive sempre e soltanto di apparenze e di finti miracoli.
Tra colpi di fulmine e giovani alle prese con storielle serie e meno serie, giungiamo a quella figura, “il giovane anziano” nella quale io ho ampiamente riconosciuto buona parte dell’identità dell’autore. Questo mi è servito per leggere con attenzione maggiore non tanto i racconti in sé ma il filo conduttore che li univa per poi capire verso cosa lo scrittore mi avrebbe condotto.
In ogni personaggio, giovane o vecchio, emerge l’incapacità di rapportarsi all’amore, il non sentirsi all’altezza di vivere questo sentimento che viene vissuto e descritto quasi come un nemico, dal quale tenersi accuratamente lontano. E laddove non sia possibile evitare il suo tocco, bruciante e dilaniante, allora la parola d’ordine è scappare.
Ho notato molti aspetti in comune con l’opera precedente, soprattutto nella caratterizzazione del personaggio di Paolo, nella sua passione per il cinema, per il teatro, nella sua indolenza e pigrizia nel voler, difficile persino scriverlo, fuggire dalla felicità.
La sua personalità è tratteggiata chiaramente, dal distacco alla freddezza, passando per un’emotività trattenuta e una gentilezza assolutamente formale.
“Ho paura della tua solitudine Paolo. La indossi come un vestito logoro. Dovresti concederti la possibilità di essere felice.”
Eppure la paura della felicità è molto più comune di quanto si possa pensare. Paolo ha i suoi rituali e le sue certezze che lo tengono al caldo e al sicuro nella sua torre d’avorio.
Una torre che comincia a tremare nelle sue fondamenta quando giunge Irma Amoroso, l’Aspirante Diva di questo racconto che ricorda inevitabilmente la protagonista femminile del romanzo precedente. Un percorso sentimentale molto simile lega Paolo ad Irma e sembrano ripetersi le medesime difficoltà di approccio e di scoperta del mistero del lasciarsi liberamente andare. La loro relazione, nata come un’amicizia, diventa lo spunto di riflessione per sbattere ancora una volta contro il muro che il nostro “sfigato galantuomo” si è creato intorno pur di non guardare ed essere guardato.
Ci troviamo di fronte una storia fatta di corteggiamento altalenante e di rifiuti rimbeccati da pseudo dichiarazioni che non sembrano sfondare: perché poi alla fine dei giochi, non è la donna a rifiutarsi ma il nostro protagonista che continua a dimenarsi per non essere fermato.
Paolo è un mondo tutto suo, fatto di isolamento e di schemi e guai ad interrompere questo sistema con uno scossone. Lui è autoironico, anche cinico purchè la vita non sia una fiction ed è anche vero che non lo è, ma non puoi neanche spezzargli continuamente le gambe, altrimenti cosa resta?
Non temete, nonostante l’attraversamento di un percorso arduo e a tratti davvero assurdo, per Paolo un lieto fine ci sarà ed io ho pensato che l’autore avesse voglia di riscatto, donando a questo protagonista ciò che a Melvin era stato sottratto. Considero questa seconda opera come il giusto prosieguo della precedente accompagnata da una maggiore maturazione, oltre che stilistica soprattutto di sguardo e di visione del mondo.
Insomma non c’è alcun dubbio che Vittorio sia in ciascun personaggio ed in nessuno. Ogni storia è parte della sua esperienza ed è così che l’autore diventa tutt’uno con l’anima del romanzo. Egli è un affabulatore, uno che gioca con le parole, con gli incastri delle frasi, creandone occasioni di sorriso ma anche di scene che non ti aspetti.
E’ sempre piacevole leggerlo, perchè qui viene fuori l’aspetto più speranzoso ed accogliente del suo essere al mondo.
L’amore che Vittorio De Agrò ci racconta è come un immenso luna park, in cui passerete dalle montagne russe alla casa delle bambole, senza dimenticare il castello di Dracula. Bellezza e terrore, perché l’amore è fatto di attrazione ma anche di tanta paura, ed è proprio di questa paura che l’autore ci parla: proprio lui che sembra così distaccato e lontano da quel mondo, evidentemente possiede la sensibilità per raccontarlo.
Racconti ironici, a tratti burberi, ma mai antipatici, sempre burloni e riflessivi.
Uomini alle prese con la loro interiorità messaggeri di sogni che raramente riescono ad avverarsi. Eppure anche l’uomo ama.
Amiamoci, nonostante tutto è un delizioso girotondo intorno all’amore, una giostra emozionale sulla quale l’autore, placido e sicuro, ci fa salire, e con pazienza ci guida e ci mostra cosa si nasconde nel cuore degli uomini.