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giovedì 11 agosto 2016

Un certo tipo di tristezza di Sara Gavioli Recensione + Intervista!

Buonasera cari lettori! La recensione di questa sera è dedicata a Un certo tipo di tristezza, romanzo di Sara Gavioli, dallo stile fluido e scorrevole, con una trama eccezionalmente introspettiva ma anche misteriosa. Una lettura diversa per chi ama le storie che spingono alla riflessione e a guardarsi dentro.


Titolo: Un certo tipo di tristezza
Autore: Sara Gavioli
Editore: Inspired Digital Publishing
Genere: Romanzo
Pagine: 350
Prezzo: eBook 1,99
Uscita: Febbraio 2016
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TRAMA


Convinta che il mondo lì fuori la rifiuti, Anna decide di chiudersi in una tana fatta di incertezze e fragilità. Un giorno, però, un'opportunità inaspettata la trascina in quello che impara a considerare il suo ambiente naturale: una casa isolata in montagna, con accanto un paesino in cui ogni persona ha una storia. Sarà in particolare una di queste storie, sigillata fra le pagine di vecchi diari ingialliti, che la porterà ad interrompere la sua staticità, le sue incessanti riflessioni ed i suoi dubbi ed incertezze, spronandola a reagire per cominciare, finalmente, a camminare con le proprie gambe.














Un certo tipo di tristezza è un romanzo di formazione con una specifica forma narrativa che abbraccia quella del diario interiore e del racconto introspettivo principalmente incentrato sulla dimensione personale della protagonista e di ciò che vive all’interno dei suoi pensieri.

Anna è una ragazza come tante altre, senza un lavoro e con due genitori che tentano nel limite delle loro possibilità di sostenerla e di infonderle coraggio e speranza per affrontare un futuro incerto e traballante. E’ una ragazza in cui è facile rispecchiarsi a causa delle difficoltà nel trovare un lavoro, nella gestione dei rapporti personali e nell’inserimento all’interno di una società dove i vincenti continuano ad essere sfavillanti pagliacci. Ma Anna non è un pagliaccio, ad Anna non piacciono le vetrine, non le piace specchiarsi, non è una di quelle donne pronte a vendersi, lei vorrebbe soltanto avere una possibilità di affermazione senza dover per forza snaturare se stessa. Come non comprendere questa sua volontà?
Se dici di essere strano, visto che è il modo in cui ti definiscono, la gente risponde che lo siamo tutti. Bugiardi.
L’occasione di riscatto arriva quando le viene offerta la possibilità di fare da custode ad una casa che si trova in montagna, un tempo dimora di una donna di nome Rachele che adesso è morta. E’ la nipote, di nome Isabella, che Anna incontra e con la quale stabilisce i termini di quell’accordo di custodia che dura soltanto pochi mesi. Meglio di niente, vi pare? Ecco allora che la nostra Anna, con tutto il bagaglio della sua solitudine e dell’imperturbabile incertezza, si trasferisce in montagna in un paesino con pochissimi abitanti per mettere piede in una casa piena di ricordi e di fantasmi.
Ero Belle e stavo per essere rinchiusa nel castello. Speravo solo che la Bestia, stavolta, si trasformasse in un principe meno brutto. Doveva esserci la fregatura, lo sentivo.
L’incarico sembra facile, in fondo deve occuparsi di un appartamento dove in realtà non c’è nessuno che potrebbe intralciare il suo lavoro. Tutto fila liscio finchè non trova una serie infinita di diari scritti da Rachele dove viene spiegato dalla stessa donna, per filo e per segno, tutti i momenti passati in quella casa. Attraverso quelle letture fatte di giorno e di notte, nel più assoluto silenzio e senso di abbandono, Anna scoprirà un’esistenza molto simile alla sua, piena di nostalgia, di malinconia, di senso di insoddisfazione perenne che vanno ad ombreggiare in modo eterno e costante anche la più eccitante delle esperienze. Rachele viveva chiusa in casa, con i libri e i diari a tenerle compagnia, con le visite di un uomo misterioso e poi l’arrivo di una bambina, sia figlia, di nome Diletta, ossia la madre di Isabella. Tanto rammarico, rabbia velata, sentimenti tristi e racchiusi in bozzoli di tormento macchiano le pagine di quei racconti che Anna sente sempre più vicini e palpabili.
Volevo tornare nella mia piccola prigione, a lamentarmi di quanto nessuno vedesse il mio valore.
La donna arriva a scoprire cose che non dovrebbe e il suo incarico per un attimo cambia. Cambia nel momento in cui conoscerà Rachele e affronterà il passato ed il presente di quella donna come se fossero i suoi perché è attraverso la conoscenza di quell’esistenza così strana ed incompleta che Anna guarderà dritto in faccia la sua di vita, e la guarderà così tanto da decidersi finalmente a cambiarla.

Una ventata di cambiamento e di consapevolezza le arriva anche dalla presenza ambigua di Lidia, una donna che vive nel paese e con la quale stringe un’amicizia quasi incredibile, talmente incredibile da definirla entrambe finta. Eppure, tra alti e bassi, scontri e consapevolezze, le due ragazze stringono un legame che sopravvive e che aiuta la protagonista a vedersi per quello che è e a guardarsi dentro non più come aveva fatto in passato senza muovere un dito ma questa volta con la certezza di voler mutare.
Di certo non sarei mai diventata una persona vera. Era inutile. La società era un cubo blindato e nero, che mi limitavo a guardare con disapprovazione.
Lo stile di Sara Gavioli è corretto, privo di errori, semplice ma approfondito. La sua scrittura è lineare e segue i processi mentali di Anna, immergendo il lettore in modo completo ed esaustivo all’interno dei suoi pensieri che sono talmente fitti e spesso taglienti, crudi e sinceri che rischiano di far affogare chi legge.

Uno scenario nevoso ed inquietante accompagna un’atmosfera da film, molto introspettiva, misteriosa, claudicante. La stessa Anna è malata, malata di solitudine e di tristezza, malata nella sua chiusura ed introversione. Ma Un certo tipo di tristezza non è una storia che attacca questi aspetti, anzi. E’ da essi che parte per mostrare altro, molto altro che è possibile raggiungere anche quando ci si sente chiusi e refrattari, quasi indifferenti ai colori del mondo.
Una scrittura matura, piena di coscienza e che propone un percorso definito con un inizio e una fine che passano attraverso la formazione, la scelta, il coraggio e la speranza. Tematiche importanti come la famiglia, il lavoro, la disoccupazione, l’amicizia, la voglia di cambiare che al giorno d’oggi sono aspetti fondamentali che ci riguardano tutti allo stesso modo.
E’ così questo paesino, mia cara. Se finisci qui, vuol dire che hai qualcosa da nascondere.
Sara Gavioli propone un romanzo che non è come le tante letture di cui abbondano le librerie e gli store on line in questo momento. E’ una lettura per gli animi più inquieti, per quelli che amano riflettere e perdersi nei meandri della mente. Per chi ama le storie con qualche mistero da risolvere e per chi si sente esattamente come Anna, un po’ fuori dal mondo, un po’ senza direzione, a metà tra la voglia di restare e quella di andare. Per tutte quelle persone come lei e come me, che cercano ancora il dove della loro esistenza.





Salve Sara, grazie di aver accettato questa intervista e benvenuta!



1 - Cosa significa per lei scrivere e quando ha iniziato seriamente a farlo?

Ho sempre scritto. Quando non lo faccio, mi manca. Diciamo che fino a tre anni fa mi dilettavo nelle prime prove che fa qualsiasi aspirante: racconti brevi, poesie, incipit che abbandonavo dopo poco tempo. Alla fine mi sono lanciata nell’impresa di scrivere un romanzo, e devo dire che da questa esperienza ho imparato tantissimo. Di certo, nel campo della scrittura non si smette mai di imparare. Ecco: per me, scrivere significa crescere.


2 - Cosa rappresenta per lei questo romanzo? Perché lo ha scritto?

Attraverso il confronto con i lettori, mi sto rendendo conto che parecchi si rivedono nella mia protagonista. Non solo ragazze della sua età, ma anche uomini e persone più giovani o più anziane. Questo è importante, per me: ho parlato di come ci si sente nello stare al mondo oggi. Anna è un tipo un po’ strano, forse troppo introverso, ma tutti prima o poi sperimentiamo quel senso di inadeguatezza che la caratterizza. I lettori la capiscono, anche se ogni tanto vien voglia di prenderla a schiaffi.
L’ho scritto, di base, perché mi andava di parlare della mia generazione. E perché, diciamolo, chi non vorrebbe fare da custode a una casa isolata in mezzo alla neve?


4 – Un certo tipo di tristezza. Perché questo titolo?

Anna è una ragazza come tutte: ha molti pregi, viene lodata per diversi motivi, è in gamba. Eppure si sente inadatta a qualsiasi cosa. Quello che le manca, di fatto, è il coraggio di mettersi in gioco davvero. Passa tutto il tempo a lamentarsi di come il mondo non le offra nessuna opportunità, e intanto si nasconde in casa evitando ogni tipo di contatto. Come potrebbe aiutarla, il mondo, se lei lo rifiuta? Credo che questo paradosso sia tipico dei nostri giorni: ci lamentiamo, però a lottare non proviamo nemmeno. La tristezza di Anna, quindi, è colpa sua e non lo è allo stesso tempo: è vero che vive in una società strozzata da una competizione assurda, in cui devi inventarti le skill giuste da elencare sul curriculum; è vero anche, però, che non le manca nulla e le basterebbe darsi una mossa.

5 – Le atmosfere del romanzo sono velate, nebulose, molto riflessive. L’interiorità spicca in modo incondizionato. A cosa si è ispirata per scriverlo?

Ho cercato di trasmettere l’atmosfera che amo trovare in ciò che leggo. In fondo, si scrive sempre quel che si vorrebbe leggere. Ho un vero e proprio fetish per quell’aria un po’ vintage, un po’ malinconica e stinta delle vecchie fotografie, dei vecchi bauli, delle lettere e dei diari scritti a mano.


6 – Se dovesse associare il suo romanzo ad un odore, cosa sceglierebbe?

Quello fresco e pungente che c’è nei posti pieni di neve, al mattino.


7 – Chi è Sara Gavioli nella vita di tutti i giorni?

Una ragazza che sogna di diventare un’eccentrica vecchietta e di vivere in una casa piena di gatti, con vestiti a fiori e un bastone da passeggio. Visto che devo proprio attendere, nel frattempo studio seguendo corsi di editoria e lavoro come editor freelance curando le storie degli altri. Scrivo ancora, anche troppo.


8 – Perché i lettori dovrebbero leggere Un certo tipo di tristezza?

Per ritrovarsi in qualcosa di diverso dal solito, e fermarsi un po’ a pensarci sopra.

12 commenti:

  1. Ciao, ti ho raggiunta anche io sul tuo blog e lo trovo molto carino e ben fatto. complimenti. Mi ispira molto questo libro, grazie per averlo citato.
    A presto.

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  2. Questo libro mi ispira molto per l'ambientazione ... adoro la montagna ed adoro la solitudine. Sarebbe sicuramente interessante leggere di come essa viene raccontata ...
    Bella recensione, piacevole da leggere! Adoro le interviste, sei fortunata ad entrare in contatto con così tanti autori :D

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    1. Grazie cara Erica, sono felice che il romanzo ti abbia interessato e che ti piacciano le interviste! Sono un ottimo modo per conoscere meglio gli autori e relazionarli alla loro opera!

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  3. "E’ una lettura per gli animi più inquieti, per quelli che amano riflettere e perdersi nei meandri della mente. Per chi ama le storie con qualche mistero da risolvere e per chi si sente esattamente come Anna, un po’ fuori dal mondo, un po’ senza direzione, a metà tra la voglia di restare e quella di andare. Per tutte quelle persone come lei e come me, che cercano ancora il dove della loro esistenza."

    Allora è la lettura giusta per me..mi sono immedesimata nella protagonista e ho appuntato questo bellissimo titolo, che mi ha colpito molto..Assolutamente da leggere..

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    1. Grazie, Maria, sono felice che la mia recensione abbia colpito nel segno! E soprattutto che tu possa considerarla una lettura adatta a te. Anche in questo ci assomigliamo! :-)

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  4. Ho letto il libro, all'inizio non volevo comprarlo, io mi baso molto sull'istinto e le copertine...poi alla fine l 'ho preso , mi è piaciuto e per certi versi mi ci sono pure individuata.
    il tuo blog è veramente curato, complimenti!

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    1. Grazie Lory! Sono felice che il romanzo ti sia piaciuto e che tu abbia ritrovato aspetti in comune con te. E' successa la stessa cosa a me ed è sempre bello quando accade leggendo.
      Un abbraccio!

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  5. Anche l'intervista è molto interessante, credo che sia un buon incentivo per iniziare a scrivere, anche solo per passione. Dobbiamo smetterla di arrenderci al primo ostacolo, in questo caso posso parlare in prima persona: ho pensato molto prima di aprire il mio blog, poi un giorno di getto l'ho fatto, ma vedendo poco riscontri sono stata anche tentata di mollare. Poi ho deciso di continuare perché ho capito che scrivere faceva bene in primis a me.

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    1. Esatto, cara Lory, la penso esattamente come te. Aprire un blog può essere importante prima di tutto per se stessi, se la scrittura aiuta ad esprimere e a sentirsi in accordo con il mondo. Almeno a me fa questo effetto: mi riconcilia con la realtà, essendo io una persona che vaga sempre troppo con la mente, fuggendo chissà dove.
      Inoltre è sbagliato aspettarsi subito dei riscontri con un blog, arrivano ma ci vuole un po' di tempo, come tutte le cose.
      Nel frattempo, non abbandonare ciò che ti piace fare!
      Un abbraccio!

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