Buon martedì! Il vizio dell’odio di Mario Pippia è un thriller che vi lascerà a bocca aperta. La storia di un omicidio soltanto iniziale… collegata ad un rapimento di molti anni prima, in cui si mescolano paura, terrore, spunti horror, scene macabre e ad effetto, e tanto mistero. Consigliato!
Titolo: Il vizio dell'odio
Autore: Mario Pippia
Editore: Selfpublishing
Pagine: 221
Genere: Thriller
TRAMA
In una Torino rovente per la calura d'Agosto, la morte di Carlo Setteconce, stimato chirurgo nella sua vita precedente, e ora tranquillo e solitario pensionato, viene rivelata solo dal terribile odore che circonda la sua villetta di Pino Torinese. Una triste "morte solitaria". Ma dopo due settimane dalla rimozione del corpo, l'odore c'è ancora. Forse anche peggio. Il commissario Polloni torna e approfondisce l'indagine sulla casetta di Setteconce, facendo una terribile e macabra scoperta: il dottore aveva una cantina segreta, e dentro ci teneva segregato un uomo. Che è morto d'inedia, abbandonato dal suo aguzzino. Il poliziotto deve ora scoprire per quale motivo il professionista aveva un hobby tanto strano e terribile, e chi è l'uomo della cantina. Le conseguenze delle sue indagine saranno terribili e inaspettate: un'ondata di odio profondo travolge qualcuno che inizia a uccidere crudelmente i presunti colpevoli del rapimento del figlio di Setteconce, avvenuto tredici anni prima, e mai risolto. Polloni e la sua squadra ingaggeranno una crudele gara con l'assassino, per riuscire a impedirgli di portare a termine la sua inutile vendetta. L'odio è come un vizio: fa male, ma fa star bene.
Il vizio dell’odio è un thriller ben strutturato, con un linguaggio carico di sensazioni e di visioni che permettono al lettore di verificare con la testa e con il cuore tutto ciò che viene narrato, diventando egli stesso un personaggio della storia, seppur restando ai margini della stessa, grazie al coinvolgimento e al senso di apprensione che l’autore è capace di scavarti addosso.
La storia è incentrata sulla morte di un famoso e miracoloso chirurgo, Carlo Setteconce, che misteriosamente finisce per un infarto. Sembrerebbe una morte come un’altra che in qualche modo sconvolge il paesino per l’importanza del medico e per il modo in cui era amato ed apprezzato da tutti quando ancora faceva il proprio lavoro, prima di andare in pensione. Ma come si dice… il peggio deve ancora arrivare ed è meglio prepararsi all’impossibile perché questo romanzo, apparentemente innocuo e tradizionale, nasconde interminabili sorprese.
Il commissario Polloni si occupa del caso e non sa che la morte del chirurgo non è l’unico fatto straordinario avvenuto durante quelle ore. Una terribile puzza di cadavere marcito si diffonde in tutto il territorio circostante la casa di Setteconce a tal punto che il vicino è costretto a richiamare la polizia perché quel fetore non è andato via, nonostante il corpo del medico sia stato allontanato già da diversi giorni.
In effetti l’odore, che già da lontano era fastidioso, nelle vicinanze della casetta diventava tangibile, quasi fisico.
Il commissario e il suo collaboratore Rizzo ritornano sul luogo della morte convinti che non scopriranno nulla di strano e invece si troveranno davanti il primo di una lunga serie di misteri che da tempo ormai covano irrisolti nei luoghi oscuri e nelle terre aride di quei campi.
Dentro la cantina della casa del chirurgo, Polloni scoprirà con rammarico e con orrore il motivo di quell’odore strano e malvagio: un altro cadavere. Mai scoperta fu più sconvolgente e disarmante per l’uomo che non avrebbe mai immaginato di trovare un ostaggio nelle cantine di un medico tanto rispettato ed amato.
L’uomo incatenato e morto per inedia è uno sconosciuto di cui non si sa assolutamente nulla. Un corpo martoriato, ucciso lentamente per anni ed anni.
Terribile la descrizione del ritrovamento di quel corpo, da vero film horror! Macabro, oscuro ed inquietante, non lascia il tempo di respirare. Ti rapisce completamente a tal punto che ti sembra di non essere più al sicuro nella tua realtà ma di essere in quella cantina con la stessa oppressione e la stessa voglia di fuggire. Eppure il commissario non fugge, è un uomo forte e consapevole, vuole capire, scoprire, far luce, finalmente, su quella storia che è inevitabilmente legata ad una tragedia successa più di dieci anni prima.
La scena è talmente vivida e pressante che l’autore decide di inserire anche un riverbero paranormale, creando così nella mente di Polloni una sorta di visione che gli fa credere di parlare direttamente con il cadavere. Una scelta azzeccata che fa tremare il lettore e lo rende ancora più partecipe di quello strano mistero al confine tra realtà e perversa macchinazione. Ho riletto il pezzo più volte, lo ammetto, perché mi è piaciuto molto. La scelta delle parole, la capacità di catturare l’attenzione, la fluidità e paradossalmente la naturalezza di uno scenario tanto raccapricciante da mettere terrore addosso, fin dentro le ossa. Avete mai pensato a quanto sia semplice avere paura? Quanto sia semplice il terrore? Non è nulla di complicato, è qualcosa di spontaneo che sembra nascere nelle viscere di ciascuno di noi. Sicuramente non è semplice incutere paura con uno scritto, bisogna essere bravi a terrorizzare anche con poche parole ed è quello che fa Mario Pippia quando usa questo momento per inchiodare chi legge alla sua volontà.
Polloni sentiva lo sguardo del cadavere come una lama ghiacciata lungo la schiena. Non si mosse di un millimetro. La lotta elettronica tra la volontà di luce e il desiderio di buio venne combattuta dalla plafoniera ancora per qualche secondo, poi la corrente trovò la forza di vincere per qualche istante.
Da questo momento in poi, la storia diventa una spirale di verità e bugie, di maschere e di macchinazioni, di progetti, tradimenti e vendette. Il vizio dell’odio è un romanzo sulla vendetta e sull’odio, appunto. Un sentimento semplice come lo è l’amore. Dico semplice perché è qualcosa che nasce in modo spontaneo e che si nutre di se stesso ma può consumarti dentro, esattamente come il suo opposto. La scoperta di quel cadavere è collegata al rapimento del figlio del medico avvenuto molti anni prima e che aveva condotto la moglie a suicidarsi, perché incapace di sopportare il dolore di quella perdita. In quell’occasione, il marito della governante della casa di Setteconce fu considerato il principale indiziato, almeno fino a quando non scomparve misteriosamente anche lui.
Tenete bene a mente questi personaggi che vi ho appena elencato, tra i quali manca Franca, la governante della casa e donna abbandonata e tradita da quel marito accusato di rapimento e poi sparito. Un marito che lei odiava e che continua ad odiare anche quando il commissario le racconta la verità. E’ lui il cadavere della cantina.
Le ferite sembrano state curate, ma anche riaperte e richiuse più volte. Quell’uomo deve aver sofferto in una maniera indicibile.
Inquietante, vero? Non voglio raccontarvi oltre perché non è mio compito quello di rivelarvi la storia, il libro lo dovete leggere. Quello che posso dirvi è che Il vizio dell’odio è un giallo ben scritto e diverso dal solito. Un intreccio in cui i personaggi sono molteplici ed equamente distribuiti, tutti molto forti, intriganti, accattivanti, nella loro aurea di bontà o malvagità. L’odio è il sentimento predominante, valutato e raccontato da tutte le angolazioni possibili. Non dimentichiamoci che il chirurgo ha perso il proprio figlio senza poter fare nulla finché nella sua mente si fa chiara l’idea di prendersela con l’unico responsabile di quella tragedia e lo fa per tredici lunghi anni. Pazienza, dovizia di particolari, una cura terrificante per quel gesto che cambia tutto il corso della propria vita. L’odio per chi ti ha strappato tuo figlio, per il quale hai perso anche tua moglie e l’odio negli occhi e nei gesti di tutti gli altri protagonisti che vivono questo sentimento come l’unica emozione fruibile e plausibile in un mondo di malvagità e paura.
No, ferocia non è corretto. La ferocia è un modo di essere momentaneo, e non mi pare, a quanto ho letto circa il dottore, che fosse incline alla violenza. Forse la parola giusta è accanimento, come se questa attività di tortura avesse uno scopo.
Mario Pippia è un autore che dovremmo leggere nelle librerie e non uno dei tanti superstiti delle vetrine sopraffolate di uno pseudo editore come Amazon. Uno di quegli autori dei quali puoi adocchiare il romanzo tra le pile di libri dentro la libreria, lasciarti conquistare dalla copertina e fantasticare sul titolo fino a quando non ti avvicini e puoi tenerlo tra le mani. Un autore che merita di avere la sua vetrina di carta e non più soltanto virtuale perché il suo romanzo può dare molto, primo fra tutte le emozioni, lo sconcerto, la febbricitante voglia di scoprire l’assassino, l’angoscia, l’ansia, la fuga e l’interiore consapevolezza di amare ed odiare allo stesso tempo quel cinismo e quella cattiveria umana che inscena tra le pagine di una storia che è feroce ma mai illusoria. Le descrizioni diventano corpi ed oggetti fisici, il suo stile è corposo, sostanziale e non figlio di una mera forma divagante. Non si divaga in questo romanzo, si va dritti al punto di non ritorno. Non è facile affrontare una solidità tale da apparire in più punti atroce, lasciandoti persino allibita ma sicuramente emozionata e sconvolta. Non lasciatevi sfuggire una creatura simile che sarà pure figlia dell’odio ma che in me ha generato amore.
Era da un po' che non leggevo le tue recensioni ma questa è davvero bella! Mette in evidenza un libro molto interessante! ;)
RispondiEliminaGrazie! ^__^
EliminaFa un po' paura e non è proprio il mio genere... ^^
RispondiEliminaLo so, è un bel thriller però!
EliminaIl tema dell'odio e' sempre interessante soprattutto se valutato da più sfaccettature. Me lo segno.
RispondiEliminaNe sono felice, Alan, spero avrai modo di leggerlo, non rimarrai deluso.
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