Buongiorno cari lettori. Mi sono voluta regalare la lettura dell'ultimo romanzo di Roberto Saviano, partendo con aspettative molto alte. Ho sempre guardato con curiosità e apprensione a questo autore che ha una storia certamente non facile e mi ero fatta un'idea tutta mia sulle possibilità di questo testo che purtroppo sono state deluse.
Vi avverto, non è una recensione facile nè positiva. Ci ho messo molto di mio, forse troppo, ma è stato solo il mio cuore a parlare. Questa volta, a gran voce.
La paranza dei bambini
di Roberto Saviano Editore: Feltrinelli Pagine: 352 GENERE: Romanzo Prezzo: 18,50 € - 9,99 € Formato: Cartaceo - eBook Data d'uscita: 2016 Link d'acquisto: QUI
Trama:
Dieci ragazzini in scooter sfrecciano contromano alla conquista di Napoli. Quindicenni dai soprannomi innocui – Maraja, Dragonball, Dentino, Plasmon, Lollipop –, scarpe firmate, famiglie normali e il nome delle ragazze tatuato sulla pelle. Adolescenti che non hanno domani e nemmeno ci credono. Non temono il carcere né la morte, perché sanno che l’unica possibilità è giocarsi tutto, subito. Sanno che “i soldi li ha chi se li prende”. E allora, via, sui motorini, per andare a prenderseli, i soldi, ma soprattutto il potere. La paranza dei bambini narra la controversa ascesa di una paranza – un gruppo di fuoco legato alla Camorra – e del suo capo, il giovane Nicolas Fiorillo. Appollaiati sui tetti della città, imparano a sparare con pistole semiautomatiche e AK-47 mirando alle parabole e alle antenne, poi scendono per le strade a seminare il terrore in sella ai loro scooter. A poco a poco ottengono il controllo dei quartieri, sottraendoli alle paranze avversarie, stringendo alleanze con vecchi boss in declino. Paranza è nome che viene dal mare, nome di barche che vanno a caccia di pesci da ingannare con la luce. E come nella pesca a strascico la paranza va a pescare persone da ammazzare. Qui si racconta di ragazzini guizzanti di vita come pesci, di adolescenze “ingannate dalla luce”, e di morti che producono morti.
Roberto Saviano entra implacabile nella realtà che ha sempre indagato e ci immerge nell’autenticità di storie immaginate con uno straordinario romanzo di innocenza e sopraffazione. Crudo, violento, senza scampo.
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RECENSIONE
La paranza dei bambini è un romanzo che mette in moto reazioni contrastanti di fronte alla penna di un autore che se da un lato ho apprezzato per la forma, dall’altro ho trovato di una banalità sconvolgente.
C’è da dire che una delle caratteristiche del male è proprio la banalità, il suo essere in un certo senso conformista nella sua aurea di prepotenza e di arroganza, nel suo seguire regole già scritte e nella sua pur triste sintomatica prevedibilità.
Ebbene, dico subito che mi aspettavo qualcosa in più da questo racconto che parte con l’idea di raccontare l’ascesa al potere di un gruppo di ragazzi a fronte della situazione malavitosa attuale nella tempestata ed oltraggiata Napoli e che non va mai oltre questo dato di fatto e si ferma ad una serie di proposizioni piuttosto lacunose e per certi versi effimere ma soprattutto per nulla originali.
Con questo voglio dire che ancora una volta, l’autore non dice nulla di nuovo, s’inventa nomi e ripercorre situazioni di cui abbiamo saturi la testa ed il cuore, per non dire gli occhi e le orecchie, proponendoci nomi di giovani dal futuro incerto, soprannomi assurdi come Lollipop o Biscottino, che prendono lentamente possesso di ciò che resta, ormai a pezzi, della camorra napoletana.
Con questo voglio dire che ancora una volta, l’autore non dice nulla di nuovo, s’inventa nomi e ripercorre situazioni di cui abbiamo saturi la testa ed il cuore, per non dire gli occhi e le orecchie, proponendoci nomi di giovani dal futuro incerto, soprannomi assurdi come Lollipop o Biscottino, che prendono lentamente possesso di ciò che resta, ormai a pezzi, della camorra napoletana.
I grandi boss sono fuggiti, o stanno in carcere o agli arresti domiciliari. Le piazze della droga sono gestite dai loro uomini, e da gruppi di indocili pseudo camorristi che sparano come se mangiassero, senza pensarci. In mezzo a questa sorta di confusione ricercata e voluta e agonizzata, Nicolas detto o Maraja, dal nome del locale che ambisce a frequentare, locale per soli ricchi o camorristi, prende spunto e decide di creare un piccolo gruppo che secondo lui deve arrivare al potere.
Quel gruppo che poi sarà battezzato come la paranza dei bambini non è formato da altri che dai suoi amici, compagni di scuola, compagnelli dell’infanzia che lo seguono e lo appoggiano in tutte le scelte, anche quelle più pericolose.
-Cosa ti piace di più delle cose di cui parliamo? Nicolas sapeva veramente di cosa stavano parlando.
-Mi piace Machiavelli.
-E perché?
-Pecchè te’mpara a cummannà.
Nicolas è l’esempio lampante di un adolescente di oggi che vive in quei quartieri dimenticati da Dio, dove Napoli non riconosce più nemmeno se stessa o forse si riconosce fin troppo bene, in quella droga che passa di mano in mano, in quei soldi sporchi di sangue, in quelle pistole che sono le nuove armi di un futuro che è già troppo vecchio, troppo stantio, troppo inerme.
La descrizione dell’ascesa di questo gruppo di ragazzini avviene molto lentamente, si materializza per gradi e Saviano ci mette tutta l’attenzione, tutta la cura, per rendere al meglio i vari passaggi che portano queste anime poco innocenti ad entrare in quel giro che tanto desiderano, approfittandosi dei punti morti e soprattutto di quelli di non ritorno.
«L’amore è un vincolo che si spezza, il timore non abbandona mai.»
Nicolas è bravo a capire che per comandare bisogna reagire ed agire, provocare e stendere a terra, fare morti e sangue, ma soprattutto ha capito che bisogna avere il coraggio di inserirsi in quella lotta intestina che ormai dura da anni nelle periferie napoletane dove tutti comandano, perché non comanda più nessuno. E allora se non comanda nessuno, perché non può comandare lui? Lui che tutto sommato viene da una famiglia perbene che aborra la camorra, che va a scuola, che ha una fidanzatina di tutto rispetto, che ha un fratello più piccolo che lo considera un eroe. Lui che è pronto a tutto, ma davvero a tutto, per arrivare a capo di qualcosa, qualunque cosa purchè sia fatta di pistole, di rispetto e di potere.
«O Maraja comandava d’istinto. Si sentiva infuso da una sorta di spirito di comando e gli piaceva quando gli altri lo riconoscevano.»
Lo stile è carico di parole in dialetto, un dialetto molto parlato, colloquiale, quello fatto di stroncature e di frasi ad effetto come se fossero direttamente pronunciate.
Scene nude e crude che mettono in evidenza i fattacci di Napoli e della sua faccia più sporca, quella che neanche più i bambini possono salvare.
Niente di nuovo per i miei occhi che conosco queste storie a memoria, queste pseudo ascese che portano soltanto morte e abbandono. Perdite che condannano altre perdite, perché se si vuole comandare bisogna essere disposti a sacrificare qualunque cosa.
La paranza dei bambini è un racconto che parla di cose già dette e che già ci hanno ferito. Cose che dovrebbero essere cancellate, cose che non dovrebbero esistere, non a quell’età. Eppure l’autore ci da ancora una volta prova che a lui piace intessere questo tipo di narrazioni e mettere le mani laddove il rigurgito maleodorante di una città malata non può essere più nascosto dalla sua prorompente bellezza.
«Voi ci guadagnate che ancora esistete. Ci guadagnate che la paranza più forte di Napoli è amica vostra.»
Saviano adora sporcarsi le mani o meglio, farci credere di sporcarsele. Perché poi alla fine, questo libro di cosa parla? Sicuramente non racconta nulla di encomiabile, ma mette ancora una volta la cosiddetta merda in bocca alla mia città, come se quando si parla di lei, non si potesse parlare di altro. Vorrei tanto chiedergli se c’era così bisogno di scrivere questo romanzo che di bello non ha proprio nulla.
Una copertina che sembra una provocazione, una Madonna in primo piano tatuata sulla schiena di un uomo che si presume appartenere alla camorra, perché un uomo di camorra è anche un uomo di Dio e della Madonna. Lo sapevate, no? Che i camorristi sono i più grandi fedeli, quelli che più di tutti credono in Dio, perché non sanno a cosa appigliarsi, perché non hanno nulla che li possa proteggere dalla loro coscienza sporca, e l’unico modo per darsi una ripulita è credere che un essere superiore gli laverà la coscienza.
Questa idea di fondo ripercorre un po’ l’intero libro nel quale sembra di partecipare ad una iniziazione che però il più delle volte scade nella più triste e misera delle banalità.
Mi aspettavo qualcosa di molto più originale, pregnante, qualcosa che bucasse la curiosità, che ti lasciasse allibito, che ti facesse vedere altro rispetto a ciò che conosco a memoria.
«Temevano che la scelta di girare con quelle armi nei borsoni non fosse sicura. E non era una scelta sicura, eppure li faceva sentire pronti per una guerra. Una guerra qualsiasi.»
Che Napoli sia maltratta dagli adulti e ora anche dai bambini, questa sì, che mi pare una gran bella trovata, caro Saviano. Non bastavano i grandi ad infangare le nostre promesse, ci voleva un gruppo di ragazzini, incapaci di distinguere il bene dal male, in corsa per un posto al potere, per indebolire le mura della nostra città. Le mura del perdono, della solidarietà, della comprensione, il muro della sopravvivenza.
Se l’autore dice davvero di amare Napoli, perché continua a discriminarla? Il suo modo di raccontarla è una vera e propria discriminazione sociale, è come se per lui, Napoli, non potesse essere altro che questo. Una città incapace di risollevarsi, incapace di lottare, incapace di opporsi, tanto debole da stare in balia di bambini che corrono sui loro motorini e che sparano come se fosse un gioco, convinti di essere i nuovi boss, di essere il futuro, di essere gli eroi invincibili a cui prostrare rispetto, senza accorgersi che il resto del mondo li guarda per quello che sono: vittime di un sistema senza ritorno.
Altro che padroni del mondo, siete vittime, piccole e fragili vittime e Napoli non può essere un gioco nelle vostre mani. Libri come questo non hanno meno colpa dei carnefici della nostra città.
Ciao Antonietta <3
RispondiEliminaComprendo la tua indignazione, che oltretutto traspare enormemente dalle parole di questa intensa recensione. Non apprezzo e stimo Saviano e non ho mai letto niente di suo, né mai lo farò. Lo trovo anche io banale, nei suoi discorsi che elargisce a destra e a manca. E perfino io mi chiedo, che non sono di Napoli e quindi non vivo quotidianamente questa città, come te e lui, perché continui ad affondarla e a discriminarla senza fine.
Grazie a te, confermo la mia poca stima verso questo autore e mi dico che ho fatto bene a seguire le mie sensazioni e ad evitare sempre di leggere i suoi libri.
Un abbraccio grande <3<3<3<3
Ciao Maria! :*** Scopro che anche tu, a pelle, non ami questo autore, pur non avendo ancora letto niente di suo. Io sono rimasta abbastanza male per questa lettura e per il suo modo di infierire sulla città, perchè purtroppo io non sono riuscita a vederci altro se non un girare continuo del coltello nella piaga. Mi aspettavo qualcosa di diverso, ugualmente forte ma meno punitivo.
EliminaUn abbraccio forte! <3<3<3<3
Dopo anni leggo questa recensione di cui condivido moltissimo. Anch'io quando lessi il libro ebbi la stesa sensazione.
RispondiEliminaSaviano ha trovato la sua terra di mezzo su cui ha costruito la sua fortuna.
Peccato che il mondo che narra sia sempre lo stesso e sempre monco della vita civile che invece esiste e lotta contro lo stereotipo che ha creato.
Quello che meno mi piace del libro è il titolo perché la paranza esiste davvero ma è rivolta verso obiettivi di legalità e recupero.
Mag
Mag voleva essere Mah 🤭
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