Buon martedì cari lettori! Oggi vi parlo di una storia dedicata alle origini e al malinconico ma sempre presente ricordo della propria terra quando si è lontani... Un romanzo che abbraccia più generi letterari, tra cui il thriller, ed esprime emozioni e sensazioni vicine a tutti noi.
L'ammerikano
di Pietro De Sarlo Editore: Europa Pagine: 210 GENERE: Fantasy Prezzo: 14,90 € Formato: Cartaceo Link d'acquisto: QUI
Trama:
Il tranquillo scorrere della vita a Monte Saraceno, un piccolo paese dell’appennino lucano, viene sconvolto dall’arrivo di un uomo dal passato oscuro e inquietante: l’Ammerikano. Wilber Boscom, l’ultimo discendente di una coppia emigrata clandestinamente negli Stati Uniti, ha appena portato a compimento la sua personale e atroce vendetta contro una famiglia mafiosa italo-americana, gli Zambrino, ed è per questo costretto a fuggire per evitare sanguinose ritorsioni. Ma appena l’uomo approda nel piccolo centro all’ombra dei pozzi di petrolio della Val D’Agri, il suo passato si intreccia con la placida realtà del luogo, alterandone inevitabilmente gli equilibri e innescando una sequenza di eventi che vede in Vincenzo, un suo lontano parente, un contraltare perfetto del protagonista. La fitta trama di questo libro si snoda in modo piacevole, alternando tragedia e commedia, noir e rosa, ma tenendo sempre alto il livello emotivo della narrazione, e ciò che scorre sotto la superficie del romanzo, condotto con uno stile avvincente e al contempo ironico, è una sovrapposizione di strati splendidamente contrastanti, dove finanza e traffici internazionali si mischiano alle tradizioni e ai vizi di un’Italia che non c’è più. Che crediamo non ci sia più…
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RECENSIONE
L’Ammerikano è un romanzo intriso di passato, di memorie e di ricordi. Una di quelle storie che parlano attraverso tante voci, di cui senti l’eco delle risate, dei pianti, delle arrabbiature che arrivano da una terra lontana ma così vicina grazie alla bravura e all’eleganza dell’autore.
Monte Saraceno è il luogo dove si svolge l’azione principale e Vincenzo è il protagonista. Un uomo ormai sposato, appartenente alla famiglia Ametrano che ha fatto la fortuna di tutto il paese in passato ma che adesso vive di stenti come tutti gli altri.
Vincenzo è sposato con Rosa, ha due figli, un maschio e una femmina e lavora nella sua bottega, al riparo dalla terribile tempesta che sta per colpire lui e la sua famiglia: l’arrivo dell’americano.
Chi è costui?
Matteo/Wilburn è un ragazzo che ha un passato terrificante, è un assassino che è in cerca della propria vendetta e che per una questione che riguarda la conoscenza delle proprie origini e della propria storia, decide di conoscere i propri parenti italiani e giunge, senza alcun preavviso nel paesino di Vincenzo e della sua famiglia.
Per Vincenzo, questo era Monte Saraceno. La sua infanzia diventata età adulta attraverso una miriade di cose buffe, di piccoli eventi, di fatti che nutrivano la memoria collettiva scatenando risate, pettegolezzi o considerazioni al bar. Un tranquillo divenire che senza scosse lo avrebbe condotto verso l’età più ultima. I rancori, salvo poche ed epiche eccezioni, duravano lo spazio di un mattino.
Wilburn vive in America, ha avuto a che fare con un boss, la sua famiglia, e tutta una serie di eventi che lo hanno costretto a prendere in mano la sua vita e ad affrontare un destino tragico e cattivo che lo ha messo di fronte ad una disperata verità: la morte dei genitori in un incendio di cui conosce benissimo il colpevole.
Da quel momento in poi, l’autore ci porta nella sua vita e nelle sue rocambolesche avventure fino a quando riusciamo a comprendere nel profondo l’essenza di questo personaggio che non è cattivo come sembra o almeno non nel senso a cui di solito siamo abituati.
La narrazione si muove tra passato e presente e soprattutto spazia in diversi luoghi fino ad unirsi nell’unico posto dove confluiscono tutte le memorie, le storie e le verità: Monte Saraceno.
Vincenzo viene letteralmente stravolto dall’arrivo dell’americano mentre in paese tutti cercano di farsi avanti per ottenere favori. In fondo l’americano è ricco, avrà soldi da investire, potrà prendere persone a lavorare e dunque, la sua presenza è un miracolo e Vincenzo deve fare di tutto per conquistarlo e convincerlo ad investire in quel posto dimenticato da Dio.
Le persone che gli vivevano accanto lo trattavano con prudenza perché sapevano che l’ira di Wilber non appariva mai rumorosa: silenziosa e determinata covava fredda sotto una calma apparente per poi esplodere con gesti rapidi e decisi, solo quando poteva trasformarsi in cupa vendetta. Questo suo lato del carattere, mai sopito, era riemerso prepotentemente dalla morte dei suoi genitori. Della antica giovialità nulla era rimasto. Si era trasformato in un uomo cupo e silenzioso, troppo concentrato sui suoi piani di vendetta per poter provare ancora le gioie e il gusto per la vita: era come se stesse emergendo, da qualche parte remota del suo essere, una nuova personalità.
Soprattutto la moglie Rosa cerca di convincerlo affinchè l’americano sposi la figlia Gina ma le cose non andranno secondo i piani e Wilburn scombussolerà talmente la vita di tutti, da portare la morte e il sangue persino lì, in un luogo così apparentemente innocente…
L’autore esprime il desiderio di raccontare dell’emigrazione, delle origini, degli anni in cui si lasciava il proprio paese per andare altrove, partendo con quel desiderio cucito addosso di ritornarvi prima o poi. Ed è proprio quel desiderio così ancestrale, così viscerale, animato da una passione naturale ed istintiva per ciò che ci appartiene, a rendere tutto un’utopia, un’illusione, un’immagine immacolata che non va più via.
Matteo, che aveva commesso tanti delitti atroci senza pro- vare mai il minimo rimorso, si fece sopraffare in quel caso da una vigliaccheria tipicamente maschile e lasciò a Deborah il compito di affrontare Gina.
Colui che parte, porta dentro di sé l’immagine inalterata della propria terra e spera ad essa di tornare, così come l’ha lasciata. Ma il tempo passa, i posti cambiano, le persone si modificano ed ecco che tutto diventa un sogno inarrivabile.
C’è lo scontro-incontro tra passato e presente, tra Vincenzo, ancorato alla sua vita, alla sua terra, alla sua storia, alla sua famiglia e c’è l’americano, il futuro nelle proprie mani, la voglia e il desiderio di cambiare, figlio di una modernità da esaltare.
La guerra tra questi due mondi è inevitabile e alla fine pur essendoci un impalpabile punto di incontro, è solo un’altra illusione, perché tutto finisce per distruggersi.
Lo stile dell’autore è scorrevole, fluido, descrittivo e emozionante dal punto di vista narrativo. Un linguaggio che scorre insieme alle parole, impreziosite dal dialetto e dalle descrizioni ambientali e maggiormente tecniche che danno maggiore valore e realismo all’intera storia.
I personaggi hanno un ruolo definito, accompagnano i protagonisti nella loro ascesa di fronte al lettore fino a vederli inginocchiarsi davanti al fato beffardo e alla vita stessa, inclemente e terribilmente bugiarda. C’è un velo di malinconia che pervade tutta la narrazione, quella malinconia tipica di chi vuole suggerire un universo di emozioni legate alle proprie origini, a quell’odore di terra e di polvere, di sudore e di quotidianità. Un mondo, rappresentato da Monte Saraceno che non passa, che si trasforma, ma che è ancora lì ad attendere. L’arrivo della modernità, come sempre avviene, irrompe, spacca, taglia e distrugge, lascia una ferita insanabile, un vuoto che non potrà più essere colmato perché quel buio che è là fuori, è talmente penetrante da insinuarsi dentro, così dentro da bruciare tutto.
I personaggi hanno un ruolo definito, accompagnano i protagonisti nella loro ascesa di fronte al lettore fino a vederli inginocchiarsi davanti al fato beffardo e alla vita stessa, inclemente e terribilmente bugiarda. C’è un velo di malinconia che pervade tutta la narrazione, quella malinconia tipica di chi vuole suggerire un universo di emozioni legate alle proprie origini, a quell’odore di terra e di polvere, di sudore e di quotidianità. Un mondo, rappresentato da Monte Saraceno che non passa, che si trasforma, ma che è ancora lì ad attendere. L’arrivo della modernità, come sempre avviene, irrompe, spacca, taglia e distrugge, lascia una ferita insanabile, un vuoto che non potrà più essere colmato perché quel buio che è là fuori, è talmente penetrante da insinuarsi dentro, così dentro da bruciare tutto.
INTERVISTA
Salve Pietro, grazie per aver accettato questa intervista e benvenuto!
Grazie a lei per il tempo dedicatomi.
Pietro De Sarlo |
1 - Cosa significa per lei scrivere e quando ha iniziato seriamente a farlo?
Ho sessanta anni e una importante carriera manageriale alle spalle. Per me scrivere è stato prima di ogni cosa un importante strumento di lavoro, con la costante preoccupazione di spiegare chiaramente il mio pensiero. Di alcune esperienze fatte, come la ristrutturazione di Poste Italiane tra il 1998 e il 2001, mi è rimasto il rammarico di non aver documentato come sia stata possibile quella importante trasformazione: da un pezzo dell’organizzazione dello Stato, che perdeva 2500 miliardi di lire l’anno, a un asset importante per il Paese. Poi ho sentito l’esigenza di comunicare il mio punto di vista, anche fuori dal contesto lavorativo, e ho iniziato a scrivere articoli su diverse testate on line sui temi dello sviluppo possibile soprattutto del Mezzogiorno e della Lucania, la mia terra di origine. Infine questo romanzo…
2 - Cosa rappresenta per lei questo romanzo? Perché lo ha scritto?
Quando sono nato si partoriva normalmente a casa e la vita nei piccoli borghi dell’appennino, non solo lucano, era sostanzialmente simile a quella dell’ ‘800. Piccole economie autosufficienti stravolte dall’industrializzazione avvenuta essenzialmente al nord e nelle città a discapito del sud e delle piccole comunità. Ho vissuto la mia infanzia in un’epoca dove la televisione trasmetteva poche ore al giorno e molti parroci la consideravano uno strumento del diavolo. Per telefonare ci si recava in un posto pubblico. Da li sono partito e ho compiuto i miei studi e maturato la mia carriera tra Milano e Roma. E’ come se avessi vissuto molte vite in secoli e mondi diversi. Quando ero piccino i vecchi si sedevano intorno al fuoco e raccontavano le storie del passato. Mi piaceva l’idea di raccontare le tante vite vissute ai giovani, che non credono sia possibile che ci sia stato, appena qualche decina di anni fa, un mondo tanto diverso da oggi e di ricordare a quelli della mia età quel mondo. Per farlo, senza annoiare, ho inventato una fitta trama che attraversa appunto mondi e epoche diverse.
3 – L’Ammerikano è un romanzo che affronta due tematiche fondamentali: l’attaccamento alle proprie origini che vengono vissute da chi si allontana come un’utopica illusione, e la motorizzazione, l’evento della modernità e dunque la solitudine, l’isolamento e la perdita dei legami sociali rappresentati dalla figura dell’americano. Due protagonisti agli antipodi con due storie diverse alle spalle. Quali sono le riflessioni verso cui vuole spingere il lettore?
L’Ammerikano è un eroe solitario che attraversa la propria vita senza mai fermarsi veramente per riflettere e compiere degli atti di volontà per modificate il proprio destino. Sembra più un osservatore esterno che un protagonista della propria vita. Il suo contraltare, più che il pirandelliano Vincenzo, è tutta la comunità di Monte Saraceno incapace anch’essa di ribellarsi al proprio destino. In entrambi i casi c’è il peso della storia famigliare e personale che condiziona il passo dei protagonisti. Oggi alcune domande non ce le poniamo più ma spesso rifletto, pensando agli eventi che hanno guidato la mia esistenza, su cosa mi abbia effettivamente portato ad essere quello che sono e a compiere molte delle scelte apparentemente fatte liberamente.
4 – Qual è il messaggio che i lettori dovrebbero cogliere attraverso il suo romanzo?
Non è mia intenzione dare dei messaggi o delle risposte, ma mi piace spingere i lettori ad interrogarsi sulle motivazioni profonde per cui avvengono le cose. La Lucania, ad esempio, è una terra ricchissima di risorse naturali come acqua, sole, vento, paesaggi mozzafiato e petrolio ed è una delle terre più povere d’Italia e d’Europa. In altri libri (Si può fare! Edito nel 2010) e vari articoli, dico la mia su come la Lucania potrebbe da sola imboccare la via dello sviluppo che ritengo tecnicamente e oggettivamente possibile. Quindi, come mai una terra tra le più ricche di risorse naturali è tra le più povere?
5 – A cosa si è ispirato per i suoi personaggi e per la storia?
La realtà contiene più spunti di quello che la fantasia potrà mai fornire. In ogni personaggio c’è un pezzetto di persone realmente conosciute. Nei nostri paesi ognuno può declinare questi pezzetti in persone reali del luogo dove vive. Per esempio il sindaco Costante è tanto simile a tanti politici e sindaci come, ad esempio, all’ex sindaco di Firenze.
6 – Qual è il personaggio che ama di più del suo romanzo e quello che proprio non sopporta?
Indubbiamente mi sento per molti aspetti simile a Vincenzo, parte integrante della propria comunità, tanto da non potersene allontanare, e, nello stesso tempo, estraneo e distante anni luce da quella stessa comunità. Più che un personaggio quello che non sopporto è il familismo amorale che dopo decenni dal libro di Banfield (The moral basis of a backward society) non solo imperversa ancora nella società lucana, ma si è esteso da questa a tutto il Paese. Il familismo è come una melassa che ti avvolge senza rendertene conto e che ti rende persino difficile individuarlo. Il complemento indispensabile al familismo è l’individualismo che è connesso al nostro essere cattolici. Credo che Max Weber (L’Etica protestante e lo spirito del capitalismo) abbia avuto ragione individuando nel cattolicesimo una delle principali cause dell’individualismo.
Pietro De Sarlo |
7 - Cosa pensa del selfpublishing e della pubblicazione con una Casa Editrice?
Solo dopo aver dato una rapida occhiata ai quasi trenta metri lineari di libreria a casa mia mi sono sentito in diritto di pubblicare. In Italia ogni giorno ci sono circa 200 nuovi libri escludendo le ristampe, i testi scolastici e le traduzioni. Di questi solo l’uno per cento supera le mille copie mentre la quasi totalità si limita ad essere venduto, e letto, a un ristretto circolo di un centinaio di amici.
Detto questo, le due cose mi sembrano sostanzialmente equivalenti sia in termini di costi sia in termini di risultati, se ci si riferisce alle piccole case editrici. Occorre nella scelta valutare il valore che si da al proprio tempo. Se la casa editrice ha una buona distribuzione, personalmente non avrei dubbi. La cosa importante prima di pubblicare, però, è essere certi che si abbia in mano un buon prodotto, scritto possibilmente in italiano e senza refusi sperando che incontri poi i gusti insondabili del mercato.
8 - Di che colore è il suo romanzo e se dovessi associarlo ad un odore, quale sarebbe?
Il colore è cangiante, l’azzurro del mare e il bruno della terra. L’odore è quello del fumo della legna che brucia nei camini.
9 - Quanto c’è di autobiografico?
Ci sono i luoghi, gli ambienti, le nozioni e le sensazioni ma, nella trama, non c’è nulla di autobiografico.
10 - Quali emozioni prova mentre scrive?
Mi ha divertito molto, scrivendo questo libro, sorprendere il lettore e tenerlo sempre in tensione sulla trama e lo sviluppo degli eventi e immaginarlo concentrato sui vari pezzi della storia che si incastrano come in un puzzle nel finale. Mi diverte poi immaginare la sua espressione quando, chiuso il libro, se ne stacca a fatica con compiacimento e nostalgia. I libri nella mia vita, fatta di molti viaggi, mi hanno sempre fatto buona compagnia. Dopo un paio di mesi dalla pubblicazione ho ripreso in mano il mio romanzo e l’ho riletto. Ho pensato, da lettore, di aver scritto un libro che tiene buona compagnia e questo mi ha inorgoglito. Quando invece scrivo articoli la mia preoccupazione è sempre quella di essere chiaro e coerente, tra quello che scrivo e quello che intendo trasmettere.
11 – Chi è Pietro De Sarlo nella vita di tutti i giorni?
Una persona con tanti impegni e troppe curiosità e che vorrebbe fare più cose di quello che riesce a fare. Mi piace andare per mare a vela, a zonzo in moto, sciare e cucinare per la famiglia e gli amici.
12 – Perché i lettori dovrebbero leggere L’Ammerikano?
Perché è un libro che tiene compagnia, fa riflettere senza annoiare e perché dopo che lo hai letto provi nostalgia per i personaggi e gli ambienti. E poi … perché l’ho scritto io (Ah! Ah! Ah!).
13 - Si sente uno scrittore affermato? Cosa consiglierebbe a chi deve approcciarsi al mondo dell’editoria con la sua prima pubblicazione?
Gli scrittori per me sono quelli che riescono a vivere della scrittura. Per quanto mi riguarda vivo di altro. In ogni caso sono confortato dall’accoglienza avuta di questo mio primo romanzo e penso di scriverne altri. Per chi vuole intraprendere una carriera di scrittore mi sento come prima cosa di dire di valutare bene il fatto che in Italia gli scrittori sono tanti ma i lettori pochi. In aggiunta l’uso dei social spinge tutti alla brevità e alla sintesi. Mi chiedo quanti oggi leggerebbero Joyce e il suo flusso di coscienza se fosse un autore esordiente. Difficilmente troverebbe un editore. Detto questo ai giovani che vogliono fare questo mestiere consiglio ovviamente di fare buona pratica con la scrittura e di affidare i primi scritti ai concorsi per esordienti e di rivolgersi a quegli editori che selezionano tramite questi concorsi i propri autori. E’ poi utile avere un blog per farsi conoscere e una volta pubblicato il proprio lavoro di presentarlo nelle librerie. Cosa faticosa e stressante ma utilissima se si vuole emergere. Insomma nessuna scorciatoia. Lo scrivere richiede disciplina, dura disciplina. A tutti gli altri prima di pubblicare consiglio di valutare bene il potenziale pubblico. Se si pensa di non superare almeno le fatidiche 100 copie consiglio un pdf da inviare agli amici o di pubblicare solo in formato elettronico.
14 – Le chiedo di lasciarci con una citazione estrapolata dal suo romanzo che vuole leggano i lettori.
Alla fine degli anni ’80 il petrolio era la speranza dei lucani. In questi giorni finalmente anche una politica ignava, nelle migliori delle ipotesi, se non complice è stata costretta a chiudere il COVA (Centro Oli di Viggiano) dell’ENI. Il petrolio è uno degli elementi di questo romanzo, quindi:
“La bottega era solo un punto di partenza. Si parlava molto, nella seconda metà degli anni ottanta, della crescita economica della zona legata allo sfruttamento del petrolio, e in questa crescita economica i nuovi Ametrano si sarebbero inseriti con successo. Ma ben presto, il sogno texano della regione e dei suoi abitanti si tradusse nell’incubo nigeriano dello sfruttamento petrolifero. Invece di ricchezza, il petrolio portò inquinamento, miseria e corruzione: i sogni di Rosa finirono pian piano in gloria e, mentre ogni giorno il paese le sembrava sempre più piccolo e meschino, il suo girovita e il suo sedere diventavano sempre più grossi.”
Ciao Antonietta <3 I romanzi che parlano di origini e radici, ambientati nelle terre del profondo sud come Sicilia, Calabria e in questo caso Basilicata mi hanno sempre affascinato e in questo periodo mi capita di leggerli spesso.
RispondiEliminaDall'intervista si denota tutta la passione che l'autore ha cercato sicuramente di trasmettere nel proprio libro.
E la tua opinione perfetta mi fa capire che potrebbe piacermi e anche molto.
Un abbraccio grande <3<3
Ciao Maria! <3 Sapevo della tua passione per questo genere di romanzi e posso assicurarti che la storia merita davvero, scritta molto bene e con colpi di scena, inoltre l'ambientazione è molto forte ed è una delle caratteristiche e dei punti di forza del romanzo.
EliminaNon ho alcun dubbio che ti piacerà qualora volessi leggerlo.
Un abbraccio forte! :***