Buongiorno! Anche il post di oggi è dedicato ad una
recensione di un autore che avevo già avuto modo di conoscere e di leggere.
Questa volta però il suo romanzo affronta argomenti completamenti diversi a
contatto diretto con il nostro vivere sociale e la nostra quotidianità. La geografia delle piogge di Paolo Grugni è ciò che leggerete, se invece
volete sbirciare la recensione dell’altro romanzo dello stesso autore, allora cliccate qui e saprete la mia opinione de L'Antiesorcista.
Buona lettura!
Titolo: La geografia delle piogge
Autore: Paolo Grugni
Editore: Laurana
Pagine: 165
Genere: Romanzo
Prezzo: € 14,50
Uscita: 2012
TRAMA
Mauro Casagrande era un giornalista d'inchiesta, ma a un certo punto s'è
tirato indietro: ha capito che, per quanto si possa scavare, la verità resta
sempre un miraggio. Adesso vive comprando e vendendo in rete libri usati. Di
colpo però la cronaca nera viene a riprenderselo. Federica, la sua fidanzata
avvocato, deve difendere Gloria Massari, una madre che ha provocato la morte
del figlio appena nato, portatore di handicap. Ma la donna sceglie di non
essere difesa, vuole solo poter rilasciare una dichiarazione spontanea con cui
motivare la sua tragica decisione. E vuole che sia proprio Mauro a scriverla.
Ma non è ancora tutto: lo zio Nino, fratello del padre di Mauro, titolare di un
bar a Paderno Dugnano, è taglieggiato dalla 'ndrangheta e non ce la fa più. Contro
tutto e tutti, con un senso della giustizia che lo chiama a rispondere in prima
persona, Mauro Casagrande è un eroe dei nostri tempi. Tempi ammalati di
indifferenza, in cui a nessuno viene in mente di accollarsi i drammi degli
altri. Per questo Mauro è un eroe: perché sceglie da che parte stare e non si
ferma finché non è andato fino in fondo.
Paolo
Grugni (Milano, 1962), oltre a L’Antiesorcista, ha
pubblicato sei romanzi: Let It Be (Mondadori, 2004), Mondoserpente (Alacrán,
2006), Aiutami (Barbera, 2009), Italian Sharia (Perdisa Pop, 2010), L’odore
acido di quei giorni (Laurana, 2012) e La geografia delle piogge (Laurana, 2013), Darkland (Melville, 2015).
La geografia delle piogge è un romanzo
triste, disilluso, con un’aria di sfacciataggine impressa tra le rughe di un
volto invisibile: quello dell’autore che si maschera con l’impiastro facciale
di Mauro Casagrande, il
protagonista, l’ex giornalista di successo che abbandona tutto perché stanco
del mondo e della società.
Uno sguardo pesante,
accusatorio, a volte persino
disumanizzato è il suo, un approccio fin troppo sintetico, indifferente di
fronte allo scorrere del mondo e di quella pioggia sporca che continua a
bagnarci la testa e dalla quale è inevitabile tentare il riparo.
Ma non sempre riusciamo a farlo.
Come non ci riesce Mauro che si ritrova coinvolto in uno scontro diretto con
l’innegabile distorsione che rappresenta la vita, i suoi inganni, le sue
mistificazioni, le sue prese in giro e i suoi atti insensati e terribili.
L’autore ha uno stile molto
particolare. Una narrazione breve e coincisa, capitoli scattanti, dialoghi
diretti senza virgolette né segni di punteggiatura a contenerne l’effluvio di
rabbia e consapevolezza.
Una lettura caparbia, tosta, che
s’intromette nella tranquilla visione di una semplice narrazione romanzata per
cogliere il sentimento che si cela in chi affronta quelle pagine per aprirne
ferite malcelate. Non è una storia rilassante, non è quel tipo di vicende che
ti risollevano la speranza, non è un languido scivolare tra le pieghe della
scoperta.
La geografia delle piogge è una visione malconcia e strapazzata della
nostra società e di chi ci comanda. Un’incursione letale tra i meandri oscuri
dell’opinione pubblica, dei fatti di cronaca che scarnificano le nostre
giornate, strappandoci il senso di pace. Così ne esci ammaccato e con un senso
di ingiustizia appeso al collo, perché quello che l’autore ti lascia vedere è
ancora una volta qualcosa di sbagliato, di inappropriato, a cui manca la
dignità per stare a questo mondo. Ne esci con le ferite di fuori e le certezze
nel baratro. Un lavoro sporco quello di questo romanzo, eppure pulito come la
verità che ci scovi nel fondo.
Mauro Casagrande vorrebbe vivere
distaccato da tutto, ritirandosi da quella società incapace di rappresentarlo e
che lui, con il suo lavoro, non è riuscito a salvaguardare, stanco di piegarsi
alle convenienze, deluso di fronte alle occasioni perse, attualmente si occupa
di vendere libri usati su internet ed intrattiene una relazione stabile con Federica, avvocato in un importante
studio legale. La sua esistenza sembra già morta, una stasi di carta
stropicciata, abbandonata nel cestino della disperazione. Eppure Mauro non è
disperato, è indifferente a tutta quella umanità che non riesce a coinvolgerlo,
farlo sentire parte del mondo e che non ha alcuna possibilità di tenere viva la
fiammella della felicità.
E’ un personaggio scuro, ingrigito
dall’inconsistenza che sente macchiare il proprio ruolo, non è né vittima né
carnefice, semplicemente uno spettatore che aspetta di pagare davanti ad uno
spettacolo che volentieri rifiuterebbe di guardare. Eppure qualcosa arriva a
turbare la sua diacronia, il suo equilibrio
sfatto, il suo incedere per rimando. La sua apparente insensibilità che lo vede
alle prese con una madre morta, un padre che non vede da anni ed uno zio minacciato
dalla n’drangheta.
Ma la follia spara i suoi colpi all’improvviso e anche la
vita di uno come Casagrande può essere invischiata nell’odore marcio del male e
dell’irrazionalità. Lui, uomo chiuso e imperturbabile nelle sue indifendibili
certezze, dovrà affrontare un mistero inconcepibile, talmente deleterio e
agonizzante da non avere un solo motivo per essere accettabile. La fidanzata
Federica gli chiede di interessarsi con lei ad una donna che ha ucciso il
proprio figlio quando ha scoperto che era idrocefalo.
Gloria Massari è colei che viene incriminata del gesto forse più
terribile ed inspiegabile. Colei che dona la vita si arroga il diritto di
fermare il battito del cuore del proprio miracolo, senza neanche dargli la
possibilità di uno sguardo o di un respiro. Da avvocato, Federica deve difendere
l’indifendibile perché Gloria non ha nessuna intenzione di dichiararsi
innocente o di accampare le solite scuse psichiatriche che diano uno sorta di
ragione al suo gesto. Ella vuole essere condannata per quello che ha fatto,
esattamente per quell’omicidio che non ha nessuna intenzione di negare.
La storia procede velocemente, le
azioni si susseguono e continuamente l’autore fornisce nuovi elementi al
lettore per condurlo con sè in questa corsa sotto la pioggia battente che non
ti lascia il tempo di pensare. Mauro accetta di aiutare Federica, entra in
relazione con quella donna e nel frattempo il male cambia faccia e rischia di
far affondare tutto ciò che lo circonda.
L’ossatura precaria e corrotta su
cui si basa la nostra società e soprattutto i rapporti che intercorrono tra gli
individui è fonte di riflessione, non è soltanto il semplice contesto, non è
l’atmosfera che avvolge la trama, è la carne che brucia sui tizzoni ardenti
della denuncia.
Mauro è contrario al vento, è in
lotta con se stesso prima che con tutto il resto, è irriducibile, testardo,
persino arrogante chiuso nel bozzolo della sua solitudine eppure quella storia
di morte e di rassegnazione lo spinge verso un cammino che metterà in gioco
molto più di un atteggiamento verso il mondo, molto più di una scelta
circostanziale, lo costringerà a rivedere le carte schierate sul tavolo da
gioco e perché no, lo inciterà a ribaltarlo se necessario.
“… Un nastro in raso augura pace in terra agli uomini di buona volontà, la
mia è più che buona eppure è da quando sono nato che sto in guerra con il mondo.”
Mauro sembra una pietra, uno
scoglio, radici di metallo, dure e così radicate nel terreno che nulla può
davvero smuoverle. Sembra odiare tutto ed è talmente convinto da non cercare
alcuna strada di riconciliazione col mondo, nessun espediente che lo renda più
amichevole.
Un senso di intolleranza dichiarato
e sbattuto in faccia come fosse la cosa più naturale del mondo eppure è un
personaggio che colpisce, che stana, che non puoi non approvare perché in
quella spregiudicata e apparente strafottenza c’è soltanto una sensibilità
segnata e provata dal dolore della vita, dall’impossibilità di combattere le
cose che non vanno e da quel senso di abbandono che ti convince a metterti da
parte di fronte ad un mondo che ha smesso di ascoltare.
“Mi sveglio con qualcosa che mi
gratta dentro, alla fine capisco che quello status di quieto vivere che avevo
costruito a protezione del mio incedere fragile sta per essere sgretolato e che
non so da che parte ricominciare a difendermi.”
Sulla storia di Mauro e di Gloria si
distende, come un panno pesante, come una coperta gelata in un inverno che
arriva troppo presto, una visione disincantata della nostra società, di noi,
uomini e donne, che ci guardiamo intorno e ci vediamo mentre prendiamo a calci
i nostri sogni e le speranze. Tematiche quanto mai attuali sbucano fuori dal
tessuto narrativo, come fari nella nebbia, come luci tra le nubi, sassolini che
ti fanno inciampare mentre tenti di camminare diritto, per la tua strada.
“Dagli angoli spuntano i primi zombi
degli avanzi, sono immigrati, pensionati, casalinghe, tutti a testa bassa a
cercare fra i rimasugli qualcosa da mangiare. Vergogna e silenzio, ostentazione
pubblica di povertà. A tutti manca ancora da vivere, è questo il loro vero
dramma. E il mio è che se fossero cani randagi li aiuterei, ma sono umani e li
lascio al loro destino.”
Lo stile dell’autore è racconto puro
mescolato ad un linguaggio essenzialmente metaforico che riesce a connotare
anche la più insignificante delle descrizioni attraverso visioni, suoni ed
odori che appartengono alla sua sfera immaginativa. Mentre leggevo, l’uso di
parole al posto di altre, l’introduzione di paragoni spesso scarni e crudi,
sempre diretti e mai filtrati, rendevano la percezione degli eventi e
soprattutto degli stati d’animo, molto forte e intuitiva e sensibilizzava tutta
la mia attenzione.
“Ci alziamo. Di fronte a me una
donna che si è ripulita da ogni scoria sentimentale, il passato è sangue lavato
dalle pareti del macello.”
Questo meccanismo ti conduce verso
un’associazione d’idee che non ti lascia scampo. Il tuo status emozionale è
legato a quello del libro.
In La geografia delle piogge, Paolo
Grugni mette in bella vista i disaccordi del nostro mondo, della nostra
umanità, cogliendone anche i lati più disumani, quelli certamente più
attaccabili e condannabili. Ma il suo non è un dare una risposta, ma
semplicemente il voler sottintendere un messaggio. Un insinuare che non è mai
un decretare. Un dubbio, una riflessione, un pensare, una presa di coscienza di
fronte all’azione, quella pura e a volte necessariamente drastica.
La storia di Mauro è piena di
rabbia, di rancore, di illusione. Anche quella di Gloria è una storia al limite
della follia, in cui ciò che è in ballo non è tanto la morte ma la scelta.
Oltre le falsità di chi si propone
come il moralista di turno, oltre le prediche della religione e oltre la
curiosità malsana delle gente, ciò che resta è la consapevolezza di una propria
possibilità d’azione.
La frase che precede la sinossi è
fatale: Si può aspettare che le cose accadano. Oppure farle accadere.
Mauro ha scelto di farle accadere,
Gloria lo stesso. Al di là della critica dei loro gesti, cosa realmente resta?
Il fatto che abbiano agito in nome di qualcosa. E tu puoi dire lo stesso?
Ciao Antonietta! Adoro le tue recensioni e il modo in cui esprimi le tue opinioni! E grazie a te sto scoprendo nuovi autori e libri di cui non avevo mai sentito parlare! Il nome dell'autore Paolo Grugni non mi è totalmente nuovo ma non ho mai avuto il piacere di leggere un suo libro! Dunque penso proprio che inizierò da questo! Un abbraccio
RispondiEliminaCiao Giulia, grazie mille! Sono felicissima che le mie recensioni ti piacciano e che soprattutto ti aiutino a scoprire nuovi libri e nuovi autori! <3
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