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venerdì 22 gennaio 2016

Nell'orizzonte degli eventi di David Valentini Recensione

Buon venerdì cari lettori! Un thriller psicologico ben fatto e molto coinvolgente è la lettura di cui voglio parlarvi oggi. Nell’orizzonte degli eventi di David Valentini è un romanzo crudo e nudo sulla morte, il dolore e sulle reazioni di fronte all’irriducibile vuoto che ne consegue.




Titolo: Nell'orizzonte degli eventi
Autore: David Valentini
Editore: NullaDie
Pagine: 155
Genere:  Romanzo psicologico
Prezzo: € 15,00
Uscita:  2015


TRAMA


Daniele Baldi, 22 anni, muore in un incidente stradale in piena notte. I genitori, Federico e Barbara, vengono a saperlo dalla polizia; Sofia, la sorella, tramite Facebook. Lo stesso giorno Massimo si sveglia dopo una sbornia e trova un’ammaccatura sulla sua auto. Al telegiornale scopre della morte di Daniele, e che l’incidente è avvenuto proprio mentre lui si trovava sullo stesso punto del Raccordo e alla stessa ora. La loro vita, semplice e senza grandi avvenimenti, viene sconvolta in un istante. Perché proprio come un buco nero, la morte ha una forza d’attrazione schiacciante.



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Nell’orizzonte degli eventi è un romanzo psicologico che affronta una tematica opprimente  e assoluta: la morte. La fine dell’esistenza di Daniele Baldi, figlio di 22 anni di una famiglia composta da una madre, un padre ed una sorella. La storia è una sorta di diario a più voci che narrano lo stesso evento attraverso una diversità di punti di vista che lo rendono ancora più eclatante e per certi versi perverso. Ti muore un figlio o un fratello così giovane, in un banale incidente stradale, di notte, quale può essere la tua reazione di fronte ad una tragedia simile? E’ come se l’autore ti ponesse questa domanda dopo poche pagine dall’inizio della tua lettura. Una domanda che scava direttamente nel tuo inconscio e che porta alla luce riflessioni che avresti volentieri evitato.

Sofia, sorella di Daniele, viene a conoscenza della sua morte attraverso Facebook mentre la madre ed il padre affrontano tutte le incombenze del caso in un modo totalmente differente.

Barbara è arrabbiata, esaurita, drammatica, la sua voce è piena di lamenti e di lacrime, di brutture e di incongruenze, come la più disperata delle madri che tenta di affogare il proprio dolore nella frenesia di quel mettere a posto le cose per pura apparenza, come il riconoscimento all’obitorio, la scelta della bara, o l’accoglienza delle condoglianze dei familiari. 

Federico invece, lungi da lui qualsiasi pazzia che abbia il colore del dolore. Piattume ed indifferenza, silenzio e mutismo. Nemmeno una lacrima di fronte al corpo del figlio sbattuto dalla morte che non riconosce. Ebbene, qualcuno di vuoi vuole giudicare?
Vuole per caso stabilire quale sia la giusta reazione di fronte ad una morte simile? C’è forse un protocollo da seguire, un conteggio di lacrime da versare, un tot di urla da gridare?

Sembra che l’autore con aria sommessamente provocatoria, ci metta continuamente alla prova. Anche adesso, anche di fronte a quel dolore senza voce, ci viene da chiederci, (ed è lui a spingerci a farlo), quale sia il vero dolore e la giusta dimostrazione di tale scempio e strazio?

Non c’è risposta che valga, soltanto un turbine di pensieri che sembrano vagare senza meta e che ci rimbalzano davanti agli occhi mescolandosi ai nostri. I pensieri di Federico, così imperturbabile, assoluto, chiuso, introverso nella sua impossibilità di sentire o forse di aprire le porte al proprio dolore. 
Una insindacabile invettiva contro la morte, contro quel corpo gonfio e stravolto dalla Nemica che ha reso irriconoscibile il sangue del suo stesso sangue. Ecco perché il padre non ammette di soffrire, per lui il figlio non è morto, non è quel corpo stranito e straniante nell’obitorio, non riconosce i tratti da lui amati né ciò che ha messo al mondo. Daniele non è lì, non in quel momento, Daniele può sempre tornare.

“E poi... come si fa a provare veramente dolore quando si è distanti? Quello non era mio figlio. Lui ha i capelli biondi, portava una tuta Adidas ieri sera. Quel ragazzo lì, steso e gonfio, non la portava; non aveva quasi neanche un volto. Era a malapena un essere umano. Un corpo appena distinguibile, appena rintracciabile quel che era stato. Non era la foto che ho nel portafogli; non era la risata per una battuta divertente; non era la rispostaccia data a Barbara. Non era l’esultanza per l’esame andato bene, non la voce gentile di quando era al telefono con la ragazza. Quell’essere lì, sdraiato — appoggiato, gettato, scaraventato sul tavolo da obitorio — quella cosa lì non era veramente mio figlio. Non il bambino, non il ragazzo, non l’uomo. Quella cosa era... Cos’era?”

I corpi diventano solo una maniera per  fare i soldi. Lo sguardo di Federico è distante, ghiacciato, quasi impersonale, la sua reazione è disumana, persino inammissibile di fronte a quella morte senza ragione. Crudo ed estremo come la sua stessa psicologia che viene scandagliata fin nei minimi particolari al fine di portare fuori tutto il marcio e il corrotto.

“Ciarpame senza valore. Per quanto lo si circondi di un’aura di santità, per quanto lo si veneri come simulacro, un corpo morto è qualcosa di cui sbarazzarsi. Porta malattie e sofferenze. Lo si sotterra, infatti, o lo si brucia. Un corpo morto non è la persona che era in vita. Lo rappresenta, ne è un ricordo, un segno. Ma niente più. E allora ce ne disfiamo, ecco la verità. Solo quegli avvoltoi delle pompe funebri riescono a farne qualcosa di questi corpi: li trasformano in soldi.”

Come per lui anche per Sofia e per Barbara i procedimenti mentali non lasciano spazio a fraintendimenti. Le due donne sono oppresse dall’incomprensione, dall’ansia, dall’angoscia. La sofferenza è l’input del romanzo, ciò che offre gli slanci necessari affinchè i protagonisti vengano fuori in tutta la loro cruda e livida nudità.

Una sorella che ama fin troppo il fratello, una madre che lo onora credendolo uno studente modello, un padre chiuso nel silenzio e poi ancora Massimo, l’ipotetico colpevole, un giovane di ventisette anni che quella notte nera e maledetta guidava ubriaco e che non ricorda cosa ha fatto. Eppure nel vortice di sconclusionatezza della sua vita, nonostante l’amore e la presenza della sua donna, Maria, egli sente una colpa piovergli dall’alto e s’incarna autonomamente nell'assassino necessario.

Nell’orizzonte degli eventi è un romanzo che regala lode alla morte, al buco nero dell’abisso, al confine dal quale non puoi tornare indietro. E’ un racconto percorso a tratti da rimembranze poetiche e allusive sul senso di colpa che incombe, persino laddove non esiste colpa ed è la storia di una ricerca estenuante di quella ragione per la quale la morte deve arrivare.

“È, questo galleggiare nel vuoto, sommersi dal proprio passato, un dolore strano, atavico, quasi dimenticato. Un oblio su cui è faticoso galleggiare, molto più semplice è annegarvi, naufragarvi.”

Pur nella sua ode al dolore e al nulla che comporta la perdita, il romanzo è la crescita lenta ed inesorabile di un’oppressione che diventa ossessione e poi di nuovo morte. Fin dalle prime pagine sembra che sia sempre notte, la notte come culla della non-vita, di un senso di ghiacciato presentimento che qualcosa di terribile debba accadere oltre ciò che è giù successo.

L’autore è bravo nel creare un’atmosfera che ti inchioda, ti senti il peso dell’aria sulla pelle. Gli sbagli, le battute volgari, quelle parole spesso fuori posto, i condizionamenti, le vergogne, le sparate, le cose non dette e quelle inventate, tutto un meccanismo abilmente strutturato, che cresce basandosi su una sola azione e su infinite reazioni.

Morte. Un’unica indecifrabile morte. Una sola azione, un dato di fatto, un insidioso caos che inscena una serie pericolosa di reazioni. Mentali, fisiche, psicosi e malattie. Ossessioni e persino salvezze.

Lo stile dell’autore è violento, non solo per le parolacce in alcuni casi sparate a raffica ma per come l’argomento viene affrontato, attraverso un crescendo di rabbia e scontento che poi sfocia nel finale allucinato. E questa storia è per tutto il tempo anche un po’ allucinata, visionaria. In alcuni momenti ti sembra di assistere a spezzoni di sogni e poi di incubi. L’aria è cupa, sinistra, inquieta e non solo perché si parla di morte ma perché è quella morte a smuovere corazze e croste dentro e fuori ciascun personaggio. La calma che in alcuni momenti sembrerebbe imporsi è solo il preludio di una tempesta senza vincitori.

Discorsi sull’onestà, sulla giustizia, sulla religione e sul rapporto tra fede e morte. Le chiese, i preti, l’amore, la famiglia, la morale, le droghe e l’alcool, nessun tema viene dimenticato. Tutto concentrato in quattro giorni che denotano uno stato emotivo che sale di intensità, che non si placa, ma che ruggisce e affonda i propri denti di bestia affamata sfociandola in una violenza che ti salta in faccia. 

Così come il finale che non ti aspetti, cattivo fino all’osso, capace di lasciarti di sasso. Un macabro  rituale che ripiega la morte sulla morte stessa, come se non ci fosse alternativa di fronte a quel dolore che non può insegnarci a vivere ma solo a morirne, ancora e ancora.

3 commenti:

  1. Una recensione stupenda, che mi ha fatto tornare in mente quando ho perso un cugino così. Un momento era lì che attraversava la strada per prendere l'autobus, e un momento dopo giaceva per terra, senza vita. Strappata da un ubriaco.
    Un mese e un giorno dopo avrebbe compiuto vent'anni, e da allora la vita dei suoi genitori non è stata più la stessa. Come nei libri, cara Antonietta, queste cose succedono eccome nella realtà, e quando questa realtà ti sbatte in faccia senza mezze misure questa cosa che ormai non puoi più cambiare ... cambia sul serio la vita di chi rimane.
    Comunque, non posso fare a meno di ripetermi: attraverso quello che scrivi, respiri il profumo delle pagine dei libri, e questa è l'ennesima conferma. <3 <3 <3

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    1. Mi dispiace molto, e in effetti i libri sono anche questo, un "ritrovare" e "ritrovarsi". Posso solo immaginare tale dolore.
      Grazie per le tue parole e per la tua sensibilità.
      Questo spazio è ancora più caloroso e vivo con la tua presenza! <3

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  2. Sai come si dice?
    Che ci si può sentire "a casa" in un posto che non è casa tua.
    Qui mi sento a casa. Grazie. <3

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