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domenica 6 dicembre 2015

Fantasmi Principeschi di Stefano Falotico Recensione

Buona domenica! La recensione di oggi riguarda un libro breve, circa 50 pagine, scritto da Stefano Falotico e intitolato Fantasmi Principeschi. La mia passione per i fantasmi e per le atmosfere lunari e notturne mi ha spinto a leggere 
questa storia molto particolare, scritta come fosse poesia in prosa e caratterizzata da una dimensione tanto spettrale quanto inquietante.


Titolo: Fantasmi Principeschi
Autore: Stefano Falotico
Editore: Selfpublishing
Pagine: 50
Genere: Narrativa
Prezzo: € 8,00
Uscita: 2015
TRAMA


I fantasmi che, acquietati, ci lustrano d'intensa lucentezza immaginifica in lune nere opalescenti o, inquietanti, ci appaiono mefistofelici nello scotere il nostro corpo di brividi acuti. Acustici, lagrimiamo le nostre recondite, intimissime paure e, con i fantasmi, passeggiandovi assieme negl'incubi più fatali e lugubri, c'incamminiamo per sentieri meandrici dell'inconscio buio e più profondo, ne mordicchiamo assieme i lor cuori e, di corpo spaventato, urliamo ululanti dinanzi ai lor racconti agghiaccianti. Ancorati alla speranza ch'essi vivano e, davvero verissimi, esistano, davanti a loro esitiamo ma non resistiamo al lor epocale fascino, c'incateniamo incantati dalle lor storie di case infestate, dirimpetto ai lor maledetti spettri mortali, mordaci, gridiamo! E, dai sepolcri più celati, i fantasmi più nascosti ci raggelano nell'emanarci dentro le anime nostre scoperte un sapor nitido d'evanescenza, d'ectoplasmatica vividezza.




Stefano Falotico in Fantasmi Principeschi ci induce con una premessa a dir poco terrificante all’interno dei meandri della sua follia narrativa, arpionandoci con le sue  stravaganti conclusioni, riflesso fulgido e mai incrinato di una visione memore di antichi presagi cupi e sinistri che volteggiano indisturbati nella sua mente.  E’ lì che, meditando e favoleggiando di perpetui risvegli e di immortalità, che i fantasmi ridono occhieggiando, e vivono per ricordare esclusivamente all’essere umano cos’è la vera vita.

Dagli angoli
reconditi dei castelli silenti, i loro respiri s’odono da
ritornati viventi ammalianti e ammantati da un
sobrio, rinomato baglior candido avvolto cupamente
o suadente nelle trasparenze languidamente
ambigue, loro, i fantasmi che, torvi, occhieggiano
un’umanità megera, traslucidi e gracchianti come
corvi neri e altisonanti, spiriti notturni delle
guardiane vetustà rinate anche sol d’essenza
intoccabile eppur di penombre appar(isc)enti fra
pareti asmatiche d’un mondo affranto.

Lo stile è un’altalena di metafore e di figure retoriche baldanzose che continuamente spumeggiano tra le righe, ossimori e iperboliche concezioni, poesia e canzoni, scatti ed ira che rendono la sua scrittura un racconto a voce piena, a tratti stridula e senza dubbio maledettamente romantica.

Funereo come la morte che invoca, lattiginoso come la luna che adora, la notte la fa da padrona in un turbine conturbante di minacce velate che giungono dalle essenze fantasma che si rivolgono con astuzia e perizia rendendo un po’ di ironia e di dannazione.

Le parole mescolate a dovere diventano unguento di terrori senza nome come se ignoti e innocenti fossero in grado di sanare le ferite della vita mortale.
C’è ipnotismo nello scorrere delle frasi, pungolate a dovere dalla rima e dal fluttuo fluido e continuo delle immagini evocate.

Il vocabolario dell’autore è vasto e particolareggiato, tutto è giocato tra l’evanescenza e l’apparenza, sulla paura e l’orrore e sempre l’immancabile riflessione della coscienza e dell’anima.

La prosa poetizzante è scandita da racconti rinchiusi in gabbie di capitoli che presentano personaggi noti alle prese con le loro caratteristiche principali, come Dario Argento che diventa l’incarnazione del concetto di paura tanto abissale quanto primordiale.

Perché io sono immortale anche se non ancor
(non) morto, sono il regista di Profondo Rosso, io
sono Dario Argento. Della paura il maestro per
eccellenza, la suspense (s)carnificata dei vostri terrori
più profondi.

Spunta il Joker perfettamente delineato dalla descrizione impressionante e filiforme.

Joker dal sorriso horror e sguaiato a sbranarvi, ché
vi pentiate in tal mo(n)do sconcio e orrido d’averlo
così nel cuor suo intimo, quand’era ancora infante e
innocente, lacerato e sporcato, porci dell’assurda,
orrenda cattiveria “onnipotente” da maneschi,
impuniti prepotenti. Vi sostituiste a Dio e lo ardeste
(in)colpevoli.

Le parole si annidano in quadrati immaginari fatti di lettere e parentesi, perché ogni concetto rimanda a qualcos’altro.
Ma chi sono questi fantasmi?

Senza speranza, fantasmi cittadini che spu(n)tan
da tombini floridi di bagliori glaciali,
impressioni(stici) del lor danzar nel vuoto pieno, in
apnea, appena appena a galla, “galerizzati”, sciocchi
o sol (in)visibilmente sc(i)occanti, signori mansueti
con l’aplomb maestrale della nobiltà “farlocca”,
scombiccherati, pastrocchi ch’appaiono a f(r)asi
mozzate, abitanti in macabri castelli sgretolati, dai
ponti levatoi che “albeggian” (s)tirati, striatissimi nel
malinconico gracchio fragile, gracilissimo di sere
discendenti, infernalmente caldeggianti.

Poi Clara la bambina fantasma che crea un’atmosfera inquietante e spaventosa perché il linguaggio è capace di rendere il clima narrativo torbido, sinistro, spettrale, maniacale e perduto nei recessi indiscriminati di questi esseri senz’anima.

Fantasmi Principeschi è una prova riuscita, un esercizio di stile che mette in evidenza le potenzialità puramente formali dell’autore che si destreggia bene con le parole, avvantaggiato probabilmente anche dalla tematica a lui molto cara della notte, del buio, della luna. Quell’evanescenza fisica e mentale che tanto lo alletta, quelle ombre che non incutono timore a colui che le racconta ma bensì che lo affascinano come una bellissima donna dalla pelle diafana e dagli occhi dell’abisso. Il senso è un desiderio di affermazione di questa dimensione fantastica permeata inevitabilmente di nostalgia ma non per questo priva di un piacevole senso di scoperta.

L’autore come i suoi intrepidi fantasmi è: lastrato di principesco ardore, fuggo, ruggisco, fuggiasco o vigliacco, fiacco o ancora non stanco.

E dunque Fantasmi Principeschi, buona interpretazione di poesia in prosa, evoca la dimensione passionale dell’autore per queste essenze prive di sostanza ma non per questo prive di piacevole evanescenza, sentore e ribellione. I loro atteggiamenti, ripresi più volte, sono selvaggi, indomiti, oltraggiosi, menefreghisti ma anche perdutamente innamorati della loro condizione e di quell’oscurità che li rende i signori della notte.

Pieno di visioni e di sogni, accarezzato da strani e stranianti incubi, i fantasmi non hanno bisogno di presentazioni, e qui, in questo libro, libero e libertino, il loro splendore notturno scintilla di prepotenza e martirio.

Soffian” voraci da lapidi esangui, brillan
entusiasti nel buio delle estati, estatici, taciturni,
diurni e serali, imprendibili, tutti assieme o solitari,
non acchiappabili e “sottili”, poi densi, cinerei e
“cervi”, tra liane e boschi di fate, son i fantasmi!

 

venerdì 4 dicembre 2015

I cavalieri del Nord di Matteo Strukul Recensione

Buongiorno! L’ultima recensione di questa settimana è dedicata a I cavalieri del Nord di Matteo Strukul, pubblicato da Multiplayer, che ringrazio per la fiducia. Un romanzo che volevo leggere da subito perché per istinto sapevo essere assolutamente nelle mie corde. Vi capita mai di sentire, alla fine di una lettura, che quel libro sembra essere stato scritto proprio per voi? E’ qualcosa che a me capita rarissimamente. Qui è successo ed è stato incredibile.



Titolo: I cavalieri del Nord
Autore: Matteo Strukul
Editore: Multiplayer
Pagine: 456
Genere: Fantasy
Prezzo: € 16,90
Uscita: Ottobre 2015

TRAMA


Salvato, ancora bambino, in una notte di luna e lupi, Wolf è diventato un giovane cavaliere Teutone. Cresciuto sotto la guida di Kaspar von Feuchtwangen, suo mentore e maestro, il ragazzo intraprende insieme ad altri settanta cavalieri crociati, un lungo viaggio dalla Russia alla Transilvania per raggiungere e difendere il castello di Dietrichstein, ultimo avamposto della fede cristiana in una terra ormai in preda a orde di barbari e diaboliche forze oscure. Lungo la via, fra terre addormentate in un inverno infinito, Wolf incontra Kira, che tutti credono una strega, ma che in realtà nasconde una storia di ribellione e violenza nei bellissimi occhi color temporale. La sua è una presenza che getta scompiglio nella schiera Teutone, poco avvezza alla presenza femminile, e che reagisce con sospetto e rabbia, ritenendo la donna responsabile delle molte sventure che costellano il lungo viaggio. Ma niente è come sembra nell’Europa del 1240. Fra magia e religione, passioni e tradimenti, Wolf conoscerà se stesso attraverso il sacrificio e il coraggio fino ad affrontare una terribile guerriera che si fa chiamare La Madre dei Morti, un diabolico negromante e un re senza corona, mentre l’amore per Kira martella il cuore aprendo ferite: perché Wolf è un cavaliere dell’Ordine e la Regola proibisce di amare una donna, soprattutto quando è una creatura irresistibile. A meno che

Matteo Strukul: nato a Padova nel 1973, laureato in giurisprudenza e dottore di ricerca in diritto europeo dei contratti, è ideatore e fondatore di Sugarpulp, movimento letterario veneto che ha avuto la benedizione di Joe R. Lansdale e Victor Gischler. Ha esordito nel 2011 con “La Ballata di Mila” (e/o), un romanzo pulp noir ambientato in Veneto con protagonista la bounty hunter Mila Zago, cui hanno fatto seguito “Regina nera” (e/o 2013) e “Cucciolo d’uomo” (e/o 2015). Nel 2014, Matteo ha pubblicato “La giostra dei fiori spezzati” (Mondadori). I suoi romanzi sono tradotti in 16 Paesi nel mondo – fra cui Stati Uniti, Inghilterra, India e Australia – e opzionati per il cinema. Matteo scrive per “il Venerdì di Repubblica.




I cavalieri del Nord è un romanzo di cui è difficile parlare per la molteplicità di aspetti che in esso convergono e che dovrebbero avere spazio e tempo singoli ad essi assolutamente dedicati in modo da esprimere al meglio il senso e l’atmosfera che ogni dettaglio, ogni frase, contesto, immagine è capace di trasmettere al lettore. Un lettore che sia davvero in grado di apprezzare tutto quello che l’autore ci ha messo di suo, del suo mondo, delle sue aspettative e dei suoi sogni.

Vogliamo partire dalla copertina? La casa editrice Multiplayer a suo tempo aveva organizzato un concorso per stabilire quale fosse la cover vincente e più rappresentativa per la storia narrata. La scelta caduta sulla realizzazione della giovane Valeria Brevigliero è eccellente. La neve, la foresta, il sangue, il cavaliere e la strega, l’uno il riflesso dell’altra sono l’immagine perfetta di tutto ciò che il libro canta. Perché questo romanzo è pura musica che proviene da lontano. E’ un eco, una sinfonia fredda ma anche profondamente calda, sentita, avvolgente piena di sensazioni, colori, di armonie che giungono da un’epoca distante ma ancora terribilmente viva grazie alle parole dell’autore che diventano magia.

Wolf è un giovane orfano salvato dai lupi che viene allevato ed indirizzato nell’Ordine dei Cavalieri Teutonici da Kaspar, padre adottivo e soprattutto maestro di vita e di esercizio. La sua esistenza subisce un notevole stravolgimento quando è costretto a partire con  altri 70 cavalieri alla volta di una città della Transilvania, ultimo baluardo cristiano nella terra devastata e degradata dall’attacco pagano dei popoli cumani e magiari. 

Wolf, insieme ai suoi compagni, compie un viaggio lunghissimo che lo vedrà attraversare la Russia fino alla Transilvania e sarà proprio durante questa lunga discesa verso l’inferno di ghiaccio e fuoco che incontrerà Kira, una splendida fanciulla dagli occhi color tempesta che gli strapperà il cuore per farlo per sempre suo. La prima volta che la vede, Kira sta per essere punita perché considerata una strega e sarà proprio allora che Wolf dimostrerà il suo carattere e la sua forza, salvandola, e cercando in  tutti i modi di proteggerla pur non avendola mai vista. 

Dunque, il loro incontro si rivela come un vero e proprio coupe de foudre che lascia incantati entrambi. Ma chi è realmente Kira? Da quel momento in poi accompagnerà Wolf e gli altri cavalieri nel lungo viaggio verso la città perduta e nel frattempo morti violente, sanguinose vendette, misteri e magia si fronteggeranno capeggiati da una miriade di personaggi che sembrano usciti direttamente dai libri di storia.

“Wolf rivelava invece i propri pensieri già solo a fissarlo negli occhi. Lei aveva capito che questo fatto lo metteva a disagio perché, in qualche modo, avrebbe voluto tenere per sé quello che gli frullava nella mente. Ma d’altra parte era proprio quella sua caratteristica a piacerle moltissimo. Era una delle cose più belle che un uomo potesse avere: una sorta di candore, di purezza che gli impedivano di fare calcoli e strategie. Non le era mai capitato di imbattersi in qualcuno del genere.”

Strukul dimostra una grande preparazione storica che si evidenzia nel racconto dettagliato, pregnante, solido, mai sbrigativo del contesto realmente accaduto di cui usufruisce per rendere l’invenzione un vero e proprio miracolo di creatività e passione.

Per sua stessa ammissione i cavalieri Teutonici sono stati sempre un’attrazione irrefrenabile per lui, come lo è stato il desiderio di scrivere di loro, donandogli finalmente una storia che esprimesse al meglio ciò che la sua anima e il suo cuore conservavano.

Ed è così che è nato Wolf, il figlio dei lupi, giovane cavaliere che incarna perfettamente la leggenda del soldato valoroso, generoso, pieno di passione ma anche di tormento perché in nome di quell’amore assolutamente proibito per ciascun  membro dell’Ordine, egli andrà contro tutto il suo sapere, ogni singola conoscenza e legge, per salvare ciò che ama.

“Fra loro, da qualche parte, c’era Kira. Wolf sapeva che prima o poi avrebbe dovuto affrontarla, ma sperava anche che per allora, sarebbe riuscito a mettere insieme a parole tutto quello che provava per lei. Ci sarebbe riuscito. Doveva riuscirci. Lei lo meritava più di chiunque altro.”

Un personaggio che non dimentichi facilmente come non dimentichi Kira, piena di coraggio e di determinazione, il suo fascino magnetico e selvaggio, la sua magia che consiste nell’aria incantevole che la circonda e che rapisce la mente di chiunque l’avvicini. Infatti sarà proprio la sua presenza ad essere allarmante per tutti i cavalieri perché il loro animo, insieme a quello di Wolf, sarà messo a dura prova dalla passione e dal desiderio che la sua figura e il suo fascino particolare, fatto di calma e di tempesta, scaturiscono.

Oltre ai protagonisti di questa incredibile storia, i personaggi minori, ma solo apparentemente, raccolgono ulteriori qualità che li rendono credibili e assolutamente identificabili in quel contesto e in quel momento. 

Naturalmente essendo un fantasy oltre che un romanzo storico, la suddivisione tra buoni e cattivi è assolutamente netta e precisa ed è proprio tra quelli meno benevoli che si nascondono altrettanti personaggi inquietanti e pregnanti come Vjsna e Kam. La prima, seppur appaia come una furia, piena di malvagità e aggressività, e nonostante incarni il male per eccellenza, cela dentro il suo animo un dolore indicibile causato proprio in passato dall’agire dei cavalieri che le hanno inferto una ferita insanabile. 
Il suo personaggio è profondo, consistente, forte, che lascia il segno. Inoltre attraverso di essa s’impone la volontà dell’autore di creare una storia che non abbia solo un risvolto al maschile, come spesso accade nei romanzi fantasy, ma che dimostra la scelta univoca di dare spazio e potere a quel lato femminile che dona alla storia un ampio respiro, facendole conquistare dignità e spessore.

I luoghi sono estremamente affascinanti, per me che amo quelle atmosfere fredde fatte di neve e lupi, di notte e di luna piena, è stato un viaggio consolatorio e miracoloso che mi ha piacevolmente strappato all’irritante realtà.

Molti sono gli aspetti su cui riflettere perché I cavalieri del Nord non è solo storia e non è solo fantasia. E’ anche potere, religione, fede, misticismo, valori e giustizia. I territori descritti fin nei minimi particolari sono selvaggi, immagini perfette di  un'epoca, quella medioevale, nella quale tutto ciò che è descritto accadeva realmente, persino quella presenza così toccante e spesso asfissiante della magia e soprattutto della stregoneria che per lungo tempo ha portato il marchio della Santa Inquisizione. 

Ma non c’è soltanto questo, aleggia tra le pagine, non solo scritte, ma anche magistralmente illustrate con disegni che fanno l’occhiolino costante all’immaginazione, una passione, un desiderio di raccontare che valica i confini del libro stesso, permettendo alla sensibilità di chi sta dall’altra parte di esserne rapito, come dire ammaliato, conquistato, così come si conquista l’amore o la fiducia.

Strukul ha conquistato la mia e posso ammettere che non avevo dubbi. Amo questo genere di storie, apprezzo profondamente quando dietro un racconto c’è una passione, uno studio per renderla di carne e realtà, e quando c’è una voglia innata di creare. Davanti a tutto questo il mio istinto non può fallire come non ha fallito quello dell’autore che si è lasciato trasportare dal canto misterioso e leggendario dei suoi eroi, ed egli da bravo padre, senza fare differenze di sorta, è riuscito a dare a ciascuno di essi la dignità necessaria per essere parte di un romanzo tra i migliori che abbia mai letto. 

La sua capacità di farti sentire addosso quegli orrori, quelle lotte ma anche le passioni nel bene e nel male che scorrono nelle vene e nel sangue di chi le vive attimo dopo attimo, riesce a scalfire qualsiasi dubbio o timore davanti ad un racconto per il quale perdi qualsiasi riserva. 

C’è qualcosa di cinematografico nelle visioni che crea ma non è solo un fattore esclusivamente tecnico, in questo libro c’è l’anima. In esso batte qualcosa di vivo, che ha una sua forza, una sua volontà, e credo dipenda da quello che rappresenta per l’autore. E forse, lo ammetto, da quello che rappresenta per me. Vi capita mai di leggere un libro che pensiate sia fatto esattamente per voi? Beh, per me è un evento rarissimo ma questa volta è successo. Ho toccato la sua anima e com’è giusto che sia adesso provo nostalgia, quel senso di mancanza per qualcosa che ti entra dentro e che sai non tornerà più.



giovedì 3 dicembre 2015

Winston Berwick e la Fortezza dei falchi Vol. 2 di Adrien Brandi Recensione

Buon giovedì cari lettori! La recensione di oggi mi riporta ad un romanzo che ho letto circa un anno fa e che mi colpì davvero tanto, a tal punto da ritrovare con piacere il protagonista alle prese con questa nuova avventura, che a mio parere, è risultata pari e se non superiore alla precedente! Sto parlando di Winston Berwick e la Fortezza dei falchi Vol. 2, un Fantasy molto originale, divertente, ironico con una storia avvincente e mai banale. La recensione al primo volume la trovate qui. Anche l’intervista all’autore Adrien Brandi, perché non ci facciamo mancare nulla, cliccando qui e adesso leggete il sequel di questo piacevolissimo romanzo!




Titolo: Winston Berwick e la Fortezza dei falchi Vol. 2
Autore: Adrien Brandi
Editore: Selfpublishing
Pagine: 260
Genere: Fantasy
Prezzo: € 2,99
Uscita: 2015

TRAMA


Voi ci andreste in una dimensione popolata solo da zombie? No? Neanche Winston, ma è costretto! Entra con la sua squadra, in un Varco Riegher, nel tentativo di scovare i libri mancanti di Marcus Agarth, sepolti in un avamposto segreto del Clan: la Fortezza dei falchi. Milioni di zombie assediano la fortezza, in una Parigi medioevale ricca di misteri, quando l'unico Varco, capace di riportare la squadra indietro, esplode per colpa di Jasmine, il Tulpa, che impazzisce e tenta di uccidere la povera Liliane. Tutto il castello dei Veggenti viene coinvolto nella cattura di Jasmine, mentre Winston combatte per trovare i libri e un'altra via d'uscita. Ma il Tulpa è inarrestabile, quasi come la fame degli zombie. Una nuova avventura con più azione e più divertimento, in cui Liliane avrà l’occasione di dimostrare tutte le sue capacità, lottando contro il Tulpa, l’essere invincibile creato da Arcady. Il Clan è nuovamente ostile e anche Winston dovrà dar prova di esser il vero e unico Mastro d’Armi. 

Adrien Brandi: "Amo scrivere storie piene d'azione, avventura e un pizzico di humor. Mi piace tutto ciò che è fantasia, dal gothic al fantasy classico, la fantascienza estrema, passando per l'horror (le storie di zombie in particolare). Naturalmente sono un fan di Tim Burton e di Guillermo del Toro. Perciò, quando cominciai a scrivere solo per me stesso ai tempi dell'università, mi rivolsi a quelle storie che mi permettevano di costruire mondi complessi, pieni di personaggi e situazioni particolari, quasi a voler dire: il mondo non si ferma solo a quello che vediamo sotto il nostro naso, alle bollette o alla banalità di tutti i giorni. Esiste dell'altro, esiste la “Fantasia”, e possono esistere personaggi con cui valga la pena passare un po' del nostro tempo, dimenticandoci dei nostri problemi. Da questo desiderio è nata la saga di Winston Berwick, di cui ho pubblicato il primo volume, la storia di un Clan che combatte gli zombie in ogni parte del mondo. E lo fa con un corpo scelto chiamato “I Lancieri di Berwick”. Il romanzo è divertente soprattutto per il “gruppo d'attacco” costituito dal giovane Winston e il vecchio Arcady, membro reietto del Clan, un tipo alquanto imprevedibile, gobbo e coriaceo, che porta Winston all'interno dei segreti del Clan, nel Castello dei Veggenti. Molto dell'avventura si basa proprio sul rapporto (scontro) fra i due, mentre cercano di compiere la loro vendetta contro il capo del Clan, il tirannico “Magister” che ha ordinato la morte di Winston. E vi assicuro che otterranno la loro vendetta..."




E Winston è tornato! Adrien Brandi ci riporta il suo eroe che anche questa volta non è da solo, ma anzi contornato come sempre da personaggi fantastici che non solo mettono in risalto le sue qualità ma rendono la storia ancora più avvincente ed entusiasmante.

Abbiamo lasciato Winston alla ricerca del codice per l’attivazione del Mastro d’Armi alla quale si aggiunge anche la volontà di Arcady e di tutti i personaggi che popolano questo meraviglioso mondo fantasy, di scovare dove sono nascosti i tre libri di Marcus Agarth, contenenti il segreto dell’attivazione del misterioso potere di Winston.

Le difficoltà non mancano e nonostante rispetto al primo libro la presenza degli zombie sia quasi nulla, il tutto è incentrato sulle figure caratteriali dei protagonisti che di volta in volta vengono rese esplicite attraverso l’avventurarsi di nuovi stravolgimenti e vicende carichi di scene immaginifiche e visionarie.

Nonostante io abbia atteso con interesse e curiosità il ritorno di Winston, devo ammettere che qui l’autore dedica molto spazio ad Arcady e soprattutto a Jasmine, un personaggio che ho amato sin da subito ma che adesso adoro! La Tulpa, una creatura straordinaria, con un carattere assolutamente incredibile, una vera e propria macchina da guerra, la cui potenza diventa ingestibile dopo un evento alquanto disastroso che mette in pericolo l’intera missione di recupero dei libri e del codice.

La storia di Winston Berwick è principalmente incentrata sui Varchi Riegher che sono dei non-luoghi che appaiono nei posti più impensabili e che mettono in comunicazione il mondo attuale con dimensioni nelle quali sopravvivono gli zombie. Queste dimensioni sono decadenti ma estremamente affascinanti, raccolgono nelle loro mura echi lontani di passati gloriosi e antichità indimenticabili. Proprio attraverso uno di questi varchi, Winston e i suoi compagni d’avventura si ritroveranno nella Fortezza dei Falchi, un avamposto straordinario costruito dai loro avi, Danton e Gideon, fratelli di Arcady, per ottenere una sorta di castello all’interno di un varco in modo da poter andare e venire da quel mondo mantenendo un posto sicuro in cui rifugiarsi. Ovviamente la fortezza è costantemente minacciata dagli zombie ma resta un’idea fantastica per mantenere un contatto vivo e reale con una dimensione estremamente pericolosa ma affascinante e soprattutto necessaria.

Lo stile dell’autore non si smentisce. La narrazione è fluida, asciutta, determinata a coinvolgere e soprattutto a divertire. Un’immancabile ironia che mi ha fatto sorridere più di una volta e che ho trovato estremamente intelligente, perfetta e giustamente inserita nei momenti più opportuni e dunque mai fuori luogo.

Winston è un personaggio caparbio, forte ma ha ancora bisogno di una guida, nonostante la sua anima ribelle, resa ancora più intrepida e insofferente dal legame amoroso con Liliane, la segretaria di Arcady che nonostante lo ami alla follia, ha deciso di lasciarlo perché spinta da Lady Rachel a credere di non essere alla sua altezza. In fondo Winston è il Mastro d’Armi e capo del Clan dei Berwick, il suo futuro è pieno di pericoli ma anche di potere e di rispetto da parte di tutti, nonostante ci siano non poche difficoltà in quanto quasi tutti gli appartenenti al Clan lo considerano indegno di ricoprire quel ruolo. Egli, dunque, dovrà lottare non solo per ritrovare i libri ma anche per affermare se stesso, conquistandosi il rispetto di tutti, dimostrando senza alcun dubbio, di essere l’unico e vero Mastro d’Armi.

“Il Clan Berwick combatte gli zombie in ogni parte del mondo. E’ di questo che si occupava il Clan, di salvare la gente! Null’altro. Poi salì al potere Danton e le regole cambiarono. Se volete un nuovo Caine, cercatelo pure. Tra voi ci sarà sicuramente qualche assassino peggiore di me!”

Arcady, rispetto al primo libro, diventa più pressante con la sua presenza quasi asfissiante. E’ turbolento e incazzoso, sicuro e freddo, spesso dannatamente sbrigativo. Jasmine conquista gran parte dei capitoli essendo la protagonista di una piccola lotta interna che scaturisce tra lei e la povera Liliane che in modo assolutamente sorprendente riserverà non poche sorprese al lettore che non si aspetta quel tipo di evoluzione a proposito di questi due personaggi.

L’azione non manca mai, è tutto un susseguirsi di lotte, inseguimenti, distruzioni, ricerche e soprattutto battute gustosamente ironiche che permettono molto spesso di smussare l’aria quando diventa troppo pesante. Adrien Brandi è molto bravo a mescolare tutti gli aspetti più importanti, da quello fantasy a quello di intrattenimento, raccogliendo il tutto in una assoluta originalità.

Ho amato il primo libro ma ancora di più questo ed è qualcosa di molto raro. Di solito mi capita che quando apprezzo il primo testo di una saga, il secondo mi dà qualche noia, ma qui non è accaduto. Posso addirittura ammettere che l’autore ha superato se stesso inserendo una serie di novità come la fortezza e la torre eiffel, che ho trovato di straordinaria invenzione. Vi starete chiedendo cosa sia quella torre Non posso dirvelo! Di certo non è quella parigina anche se di essa conserva la stessa forma. 

L’aria che si respira procedendo nella lettura diventa sempre più furente, potente, apocalittica. Visioni piene di colori e suoni si susseguono rendendo le scene flash cinematografici facilmente identificabili di cui non ti liberi più.

“Non esiste alcun luogo sulla terra che possa essere più sicuro di quello. E’ perfetto! Immagina una fortezza isolata, ghermita da migliaia, forse milioni di zombie. Uno scrigno impenetrabile!”

La storia di Winston e del Clan Berwick è una narrazione che non delude mai, né prima né dopo. Già nel finale del primo libro è capace di lasciarti addosso quella curiosità di scoprire cosa accadrà al protagonista che è un aspetto non trascurabile e che dopo riesce a coinvolgerti  e mai a tediarti, ad accompagnarti fino all’ultimo secondo della più incredibile avventura.

Adrien Brandi crea un romanzo borioso ma anche incredibilmente serio, adatto a chiunque ami questo genere e non solo. Non bisogna amare il genere fantasy per leggere un libro simile perché al suo interno c’è molto di più di una semplice storia inventata di zombie e di clan.

L’autore dimostra di averci lavorato tanto e di non essere caduto in clichè facili e condannabili, dai quali si salva in maniera elegante e sicura. Qualcuno potrebbe dire che di zombie ne abbiamo le tasche piene, ma non è questo il caso, posso assicurarvelo. La storia del Clan è molto interessante, i Varchi che ho trovato straordinari, l’idea originale del Mastro d’Armi meritano una possibilità al di là dell’amore per un genere narrativo, in questo caso il fantasy, che a proposito della saga di Winston, diventa riduttivo.

Amore, lotta, conquista, sangue, ideali, potere, avventura, mistero e coraggio sono gli elementi chiave di questo romanzo come del precedente, i due sono assolutamente collegati  e la loro lettura apre un universo completamente nuovo capace di regalare emozioni forti e reali perché Winston è un protagonista molto speciale, un personaggio originale come tutto il mondo che rappresenta, un eroe portatore di un ideale tanto potente quanto pericoloso che ha bisogno del vostro sostegno per continuare a regalarci le sue avventure. Per questo vi dico: leggetelo!

mercoledì 2 dicembre 2015

Non luogo a procedere di Claudio Magris Recensione

Buongiorno cari lettori! Dopo diversi giorni di assenza torno con diverse recensioni arretrate non avendo avuto il tempo di scriverle in precedenza. Partiamo oggi con Non luogo a procedere di Claudio Magris. Un romanzo che desideravo davvero leggere e che ho trovato oltre che perfetto per stile ed argomento, anche in linea con il momento storico che stiamo vivendo proprio in questi giorni: la guerra. Penso sinceramente che tutti dovremmo leggere un libro simile e abbandonare per un attimo le letture d'amore o quelle più leggere che tanto ci fanno sognare. E' un romanzo che va assolutamente letto e vi spiego perchè.



Titolo: Non luogo a procedere
Autore: Claudio Magris
Editore: Garzanti
Pagine: 368
Genere: Romanzo
Prezzo: € 20,00
Uscita: Ottobre 2015
TRAMA


In questo romanzo violento, tenero e appassionato, Claudio Magris si confronta con l'ossessione della guerra di ogni tempo e paese, quasi indistinguibile dalla vita stessa: una guerra universale, rossa di sangue, nera come le stive delle navi negriere, cupa come il mare che inghiotte tesori e destini, grigia come il fumo dei corpi bruciati nel forno crematorio della Risiera di San Sabba, bianca come la calce che copre il sepolcro. Non luogo a procedere è la storia di un grottesco Museo della Guerra per l'avvento della pace, delle sue sale e delle sue armi, ognuna delle quali racconta vicende di passione e delirio; è la storia dell'uomo che sacrifica la vita alla sua maniacale costruzione, per riscattarsi alla fine nell'accanita ricerca di un'orribile verità soppressa; è la storia di una donna, Luisa, erede dell'esilio ebraico e della schiavitù dei neri. Con una narrazione totale e frantumata, precisa e insieme visionaria, Magris scava con ferocia nell'inferno spietato delle nostre colpe, e racconta l'epos travolgente di tragedie e silenzi dell'amore e dell'orrore.

Claudio Magris è nato a Trieste nel 1939. Docente universitario, collabora al «Corriere della Sera». Tra le sue opere, nel catalogo Garzanti sono presenti Dietro le parole (1978), Itaca e oltre(1982), Illazioni su una sciabola (1984), Danubio(1986), Stadelmann (1988), Un altro mare (1991),Microcosmi (1997, Premio Strega), Utopia e disincanto (1999), La mostra (2001), Alla cieca(2004), La storia non è finita (2006), Lei dunque capirà (2006), Alfabeti (2008) e Teatro (2010).




In questo tempo di guerra annunciata o da sempre strisciante, infilzata come una lama fatta di paura e terrore nel cuore dormiente dell’umanità, in questo tempo in cui sembra tacere il coraggio del giusto ed esaltarsi da solo quello del male, il libro di Claudio Magris è un racconto totale e totalizzante di ciò che ha fatto e ci ha lasciato la Guerra e con essa la nostra Storia

Non luogo a procedere è un romanzo pieno di orrore e di morte, di sangue, di crimini e di vendette. Partendo da una storia vera che ha dell’incredibile, il tessuto narrativo si arricchisce non solo per lo stile ostinato e preciso dell’autore ma anche per la miriade di vicende che vengono raccontate mentre si appigliano affamate alle scaffalature ammaccate ma resistenti di un museo molto particolare, dedicato esclusivamente alla guerra.

Il protagonista è un uomo morto nel 1974 di cui si conoscono solo gli aspetti fondamentali e soprattutto  ciò che ha difeso in maniera estenuante per tutta la sua esistenza: la memoria della guerra in nome della pace.

Diego de Henriquez, un professore triestino con l’ossessione di raccogliere ogni tipo di cimelio appartenuto alla guerra, qualsiasi oggetto e qualsiasi tipo di arma che potesse appartenere al periodo più sanguinoso e terribile della nostra storia. Un uomo con uno scopo: creare un Museo della Guerra dove raccogliere tutte le armi e gli oggetti relativi a questo orrore al fine di permettere all’umanità di rammentare in modo preciso e consapevole cosa la morte e la sua arte guerrigliera ci ha portato ma soprattutto ci ha lasciato mentre ci ha straziato nel corpo e nell’anima. 
Durante le sue ricerche scopre che in Italia, esattamente a San Sabba tra il 1943 e il 1945 c’è stato l’unico campo lager nazista di tutto il paese con un forno crematorio e 17 celle nelle quali sono state imprigionate, condannate e poi uccise tante anime, vittime della ferocia e dell’ingiustizia di un'epoca senza dignità.

L’uomo, ossessionato dalla guerra perché grande idealista e sostenitore della pace e del sogno di un museo che potesse distruggere l’odio e la sete di morte propria degli uomini, è un personaggio molto interessante che mi ha colpito sin dalle prime pagine. Un uomo che sembra essere stato creato dalla mente di un qualche autore e invece è realmente esistito e Magris lo rende ancora più pregnante, palpabile nella sua essenza di uomo vivo e perfettamente inserito nel suo mondo e in quello terribile che lo circonda.

Diego riesce a trascrivere sul proprio taccuino tutte le scritte che i condannati a morte avevano lasciato sulle pareti delle celle. Frasi e preghiere, richieste, confessioni, disdette estremamente interessanti che dopo furono cancellate e calcificate per non essere lette ma lui le aveva salvate, portandole con sè attraverso la semplice carta e l’incancellabile inchiostro nero. Peccato che il fuoco abbia distrutto tutto, ogni pagina, ogni brandello di storia e di testimonianza. Con l’incendio in cui anche l’uomo trova la morte, tutto il suo rifugio, il capannone dove viveva contornato dalle sue armi e dalla bara nella quale dormiva, anche i taccuini, si trasformano in cenere, una cenere maledetta dalla storia, ormai divenuta irrecuperabile.

Una ricerca della verità, dell’amore, della giustizia, della moralità, della vita stessa diventa l’esistenza di Diego e con essa questo romanzo che ne ripercorre con voce tuonante e forte, con la voce di chi sa, di chi conosce e non sta zitto, non più, momenti che hanno ferito e che feriscono ancora.

Una storia che diventa poema, che s’innalza grazie allo stile dell’autore che è dettagliato, prolifico, a tratti violento, intenso, poetico e profondamente sentito.

La voce narrante non  è solo quella di Diego ma anche quella di Luisa, la giovane donna a cui viene affidato il compito di costruire il progetto del museo, un luogo che ricordi ciò che è stato, perduto, trafitto e scolpito con il sangue dell’uomo contro l’uomo. Una tragedia del passato che non è mai stato passato, un  canto di dolore e di tormento, di odio fatto di politica  e di religione, di corruzione e di terrore, il cui eco arriva fino ad oggi, fino a pochi giorni fa quando il teatro  degli orrori ha riaperto le danze, con una carneficina di cui, davvero, non so se sia più rispettoso parlare o pregare in silenzio. Nessun dio potrà salvare l’uomo dall’odio generato nel cuore di un altro uomo per cui anche le preghiere sono destinate a perdersi negli occhi vacui di chi porta nell’anima il vuoto della follia.

Allora come adesso, la pace è diventata un oggetto sacro, un simbolo di inestimabile valore, un segno, uno sguardo, una parola, lanciata in aria nella speranza che possa purificare l’aria rarefatta, sporca e sanguinaria che avvolge ogni angolo del mondo.

E noi che siamo cittadini  di questa terra, che ha confini, frontiere, come andremo avanti se abbiamo paura? La Storia così come la racconta Magris è una crosta di sangue impossibile da cancellare, un elettroshock capace di rendere tutti pazzi, e se quella Storia è ancora viva ed è fatta di carne e sangue che continuano ad essere sacrificati in nome della pazzia di uno o di mille, cosa cambia?

Non luogo a procedere sta a significare che nonostante i numerosi processi iniziati dopo la morte di Diego de Henriquez, alla fine non si è mai giunti a conclusione di nulla. L’intento dell’autore è quello di riportare alla luce una storia che ha fatto la storia. Come lui stesso afferma, il suo non è un riportare fedelmente il carattere o gli episodi di vita del professore, bensì per lui quell’uomo e la sua grandezza come la sua passione e vasta cultura, sono stati un’immensa fonte di ispirazione che ha dato vita a questo libro che non è un libro di storia, non è uno scritto che fa denuncia ma è un romanzo inventato tanto quanto inventare significa trovare, come spiega la stessa etimologia della parola. E dunque in qualità di vero scrittore, Magris si appoggia con adagio e rispetto alla spalla del professore e grazie alla sua presenza e al suo valore ci racconta una storia che diventa inventata tanto quanto la sua base di partenza è reale, seppur incredibile e spesso bizzarra come affermava Twain parlando della realtà, altresì estremamente sua e ormai di tutti.

Non luogo a procedere spinge alla riflessione come ogni grande opera dovrebbe fare, apre la mente, rende sottile la scia dell’orizzonte, lasciando intravedere ancora qualcos’altro.

La sua scrittura  è potente tanto quanto appuntita come una lama, capace di incunearsi tra le crepe della nostra memoria e scavare anche quello che è stato seppellito per non essere guardato.

Leggendo, a tratti ho avuto come l’impressione, che  il romanzo fosse un’ode, una sinfonia greve e buia scritta per commemorare un uomo che non è necessariamente lui, con il suo nome e cognome, infatti il protagonista non ha un nome. Ma ciò che l’autore commemora è lo spirito, l’anima, il senso racchiuso nel cuore di un essere umano diverso dagli altri. Una creatura che ha scelto la pace ed il suo sogno attraverso la presenza costante della morte e dedicando l’intera sua vita a lasciarsi circondare dalla guerra.

“La morte di un altro, incomprensibile e incomunicabile, ancor più della sua vita. Il bruciare della sua carne tra le fiamme, irriducibile alle parole. Ma nel suo Museo  non poteva mancare la sua uscita di scena, anche se lui, l’unico testimone, non poteva raccontarla.”

Ho trovato estremamente affascinante, allusivo, compenetrante questo aspetto del romanzo, il suo incedere lento ma profondo nei significati più nascosti che sottintendono  la volontà che sta alla base degli eventi tragici della nostra storia e di colui che con la sua esistenza, qui raccontata, tenta di esorcizzarli. Un tentativo vano perché dopo anni la guerra non ci ha lasciati, in realtà mai si è dichiarata sconfitta, e adesso più che mai sembra essere entrata nelle nostre case, minacciandoci con il suo alito pesante. 
E’ un tumore, come dice Magris, che non trova cura e seppur la coscienza di ciascuno di noi ci spinga ineluttabilmente ad essere consapevoli della nostra fragilità, la lettura di questo libro è per chi ha il coraggio di far fronte all’inevitabile, a ciò che è presente, così vicino da diventare afferrabile. Per chi non nasconde la testa sotto la sabbia fingendo che il dolore e la paura non esista, per chi lascia intatto lo specchio e si guarda in faccia rischiando di vedere il peggio. Per chi riconosce che sta accadendo, proprio qui, proprio adesso, quell’innominabile ed insensato abominio dal quale, ora più che mai, non siamo mai stati al sicuro. Ammetterlo è il primo passo, il resto è solo una speranza.

“Vorrei invece ricordare, in memoria di Diego de Henriquez, una frase detta veramente da lui, l’invito allo sconosciuto passante davanti alla sua tomba a consegnargli la sua spada, affinchè questa spada non possa colpire mai più.”