Ultime recensioni

lunedì 1 settembre 2025

Recensione: MORTE DI UN DIO di Emanuela Valentini

Buongiorno! Grazie alla collaborazione con la casa editrice Piemme, oggi vi parlo di Morte di un Dio di Emanuela Valentini.

morte di un dio

di Emanuela Valentini
Editore: Piemme
Pagine: 368
GENERE: Thriller psicologico
Prezzo: 13,99€ - 19,90
Formato: eBook - Cartaceo
Data d'uscita: 2025
LINK D'ACQUISTO: ❤︎
VOTO: 🌟🌟🌟🌟🌟 

Trama:
Miriam è cresciuta sulle montagne. Ha imparato le leggi della natura e degli uomini guidata da un padre amorevole, Libero, e da uno zio gentile, Primo. Ma non ha mai conosciuto altre persone. Sa del profumo buono di Libero, dopobarba e tabacco, e degli odori del bosco, che conosce uno per uno. Sa anche che alcune domande non vanno fatte: a volte i suoi due protettori litigano, diventano bruschi o violenti, e allora sa di dover rintanarsi nel silenzio. Un silenzio che è grande, lontano dalla città e dagli altri esseri umani. Eleonora, ricercatrice in antropologia, trasforma lo studio del caso di Chiara Ricci, una ragazza scomparsa, in una vera ossessione. Esplora le terre d'Appennino intorno a Rieti, cerca di individuare una pista. Ma brancola nel buio: Chiara è scomparsa da tre giorni nel Cicolano. Sono ettari di foreste e tonnellate di roccia. Forse nessuno la rivedrà viva. Lola è una giovane donna ricoverata in un ospedale psichiatrico dopo un Tso. Santo, lo psichiatra che la prende in cura, si impegna a costruire un legame sincero con lei, ma trova davanti un muro. Lola parla di ragazzine da salvare e divinità che muoiono sulla montagna. Nessuno la capisce. Le vicende delle tre donne, apparentemente separate, si intersecano e riportano all'eremo di Miriam, luogo impervio e misterioso. Perché sulla montagna si annida un tremendo e scandaloso segreto che le attende da anni. "Morte di un Dio" è un viaggio inquietante attraverso l'abisso della psicologia umana, una storia avvincente in cui ogni filo narrativo conduce a un clamoroso colpo di scena.

RECENSIONE

Leggere Morte di un Dio di Emanuela Valentini non basta. Non si legge semplicemente questo libro, se lo fai, stai solo scalfendo la superficie. Lo devi vivere perché è un'opera che non si lascia contenere: non si contiene, straripa e ti afferra le viscere, ogni due minuti per due. Non lo puoi leggere o capire usando la distanza di sicurezza. È una voragine che ti risucchia, una foresta di specchi rotti in cui ogni frammento riflette un pezzo della tua stessa anima. Per parlarne davvero, bisogna avere il coraggio di sanguinare un po'. E voi mica avrete paura del sangue? 

Parliamone, dai. 
Parliamo di come Emanuela Valentini abbia costruito non una storia, ma un paesaggio fatto di diluvi emozionali, di urla e fiamme che ti prendono nel sonno della ragione. La montagna, qui, è la materializzazione della psiche umana. È un labirinto di sentieri battuti e orrori nascosti, proprio come la nostra memoria. Di giorno, è un'esplosione di bellezza così assoluta da fare male; di notte, è un'oscurità totale, profonda, in cui si aggirano mostri che hanno la forma delle nostre paure più antiche. 

La scrittura è l'aria stessa di questa montagna: densa di non detti, a volte rarefatta fino a togliere il fiato, altre volte pesante come una coltre di nubi cariche di tempesta. Non leggi della solitudine di Miriam; la senti nel silenzio che si nutre di parole non dette tra lei e il padre. Non leggi della paura di Eleonora; la provi quando il suo respiro si spezza di fronte all'immensità di un luogo che è al tempo stesso rifugio e prigione. 

La bellezza e l'originalità del romanzo risiedono nella struttura. Tre donne, più voci che si alternano mostrando le loro ferite anche a costo di disturbarci e farci andare via. 
Guarda in faccia alla realtà, dai, mica farà così tanta paura, mi son detta! Beh... Ho preso proprio un bel palo in faccia.

Miriam incarna un'infanzia vissuta in un Eden selvaggio, un legame simbiotico con una natura che è madre, sorella e divinità. Ma è una favola costruita su una menzogna, un paradiso che ha le sue fondamenta su un sepolcro di orrori. La sua purezza è straziante proprio perché inconsapevole dell'abisso che la circonda. Il trauma, per lei, non è l'isolamento, ma la sua fine.


Lola è il dolore fatto carne. È la "morta che cammina", il risultato della caduta all'inferno del mondo reale. È la dissociazione, la perdita di sé, il linguaggio che si fa criptico perché la verità è troppo tagliente per essere pronunciata. Le sue parole su "divinità che muoiono sulla montagna" non sono deliri, ma l'unica lingua rimasta per raccontare l'indicibile. La sua sofferenza è così profonda da diventare quasi sacra, un dolore che "antichizza lo sguardo" e la rende un'anima millenaria in un corpo di ragazza.



Eleonora è una donna che tenta di sopravvivere. È l'intelletto che cerca di mettere ordine nel caos, la donna che ha seppellito il suo passato sotto strati di razionalità. Ma il passato non si lascia seppellire. La scomparsa di Chiara Ricci è la crepa che fa crollare la diga. La sua ricerca non è per un'altra, è per sé stessa, per i pezzi mancanti della sua stessa vita. Il suo viaggio sulla montagna è una dolorosissima discesa nel proprio inferno personale per poter, finalmente, guardare in faccia i propri fantasmi. 

 

In questo mondo disgregato dove nessuna anima è sana, ma sono tutte con le ossa traballanti, la comunicazione più pura e vera avviene attraverso gli animali. Loro sono i custodi della verità emotiva, i simboli potenti di ciò che l'uomo ha perduto. 
Sabina, la lupa, è l'amore incondizionato. È la madre che nutre, la sorella che protegge, la parte istintiva e selvaggia che non conosce menzogna. Il suo unico occhio dorato vede più a fondo di qualsiasi sguardo umano.


Il Toro, il "Dio", è la vittima sacrificale per eccellenza. La sua morte è il peccato originale di questa storia, un trauma visivo e spirituale che dà il via a tutto. Non è un semplice animale, ma una creatura "consapevole" , i cui occhi contengono "universi". Il suo sacrificio, in un rituale folle per placare i demoni del passato, è la dimostrazione più terribile di come il trauma umano contamini e distrugga anche il sacro.



Il "Lupo Mannaro", è la tragica controparte di Sabina. È ciò che accade quando l'istinto viene corrotto dalla violenza subita, quando l'anima di un uomo si scinde in una dualità insopportabile di protettore e assassino.




Questo romanzo ti fa un buco dentro. 
Te lo fa proprio come un animale con le unghie e i denti. Ti costringe a confrontarti con la natura ciclica della violenza, con come un padre abusante possa generare figli che, nel disperato tentativo di non essere come lui, diventano mostri a loro volta. Ti interroga sulla natura stessa della realtà, su quanto le nostre favole personali siano necessarie per sopravvivere, anche quando sono intessute di bugie. 

Non mi sono commossa per tutto il libro, sono arrivata alle ultime pagine e ho detto, cavolo, ci sei riuscita, sei venuta fuori da questa storia senza grossi scossoni. 
Sì, la vittoria degli imbecilli. Mi è bastato arrivare quasi alla fine per crollare. 
Ogni personaggio di questo romanzo maestoso è descritto talmente bene che boh, credo che nemmeno nella realtà possa esistere un corrispettivo simile. Così a tutto tondo, così intelligentemente orchestrato per farti tremare di emozione dall'inizio alla fine. 
E non vedi cattivi, io non ne ho visti. Oh, non ci sono riuscita. 
Eppure la violenza, c'è. 
Il sangue. 
Il dolore. 
La morte. 
C'è tutto. 
Ci sono errori da cui non si può più tornare indietro, eppure, il male è descritto talmente bene nel suo abisso di disperazione e impossibilità, che ti cuce la bocca, ti inchioda i giudizi alla lingua e ti disintegra le parole. 
Ho sempre pensato, forse sbagliando, che un vero thriller psicologico, uno con le palle, non avesse una netta distinzione tra buoni e cattivi, in realtà non dovrebbe proprio avere nessuna contrapposizione. Perché chi è intelligente sa, che la colpa esiste, ma nessuno è completamente e del tutto cattivo. Il male come entità assoluta non esiste, esiste solo l'essere umano. 

Questo romanzo è di un'intelligenza sopraffina, perché la più grande vittoria per uno scrittore è lasciare il lettore con il cuore spezzato perché vorresti salvare tutti, sì anche i cattivi, e non puoi salvare proprio nessuno. 
Alla fine, non ti resta che il silenzio. 
Emanuela Valentini lo sa, perché ha scritto un libro coraggioso e potente. 
Un libro senza frottole, senza ingenuità, un libro che mi ha commossa quando ho capito la profondità umana che si cela dentro queste pagine, il rapporto tra uomo e natura, tra il cuore di una donna e quello di un lupo. 
Quando ho capito che il più grande dolore dell'essere umano è non esistere. 
Non essere amato, non essere visto. 
Dopo aver letto questa storia, capirete che l'unica cosa di cui avrete bisogno è che qualcuno vi VEDA.
Il non essere visti genera mostri che si moltiplicano. 
Crudeli e indelebili che, come questa storia, non si dimenticano.

Nessun commento:

Posta un commento