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martedì 1 ottobre 2024

Recensione: STELLE PER PIANETI di Alessio Parmigiani

Buongiorno! Grazie alla collaborazione con la casa editrice NNeditore, oggi vi parlo di Stelle per pianeti di Alessio Parmigiani.

stelle per pianeti

di Alessio Parmigiani
Editore: NNeditore
Pagine: 468
GENERE: Narrativa contemporanea
Prezzo: 7,99€ - 17,00
Formato: eBook - Cartaceo
Data d'uscita: 2024
LINK D'ACQUISTO: ❤︎
VOTO: 🌟🌟🌟🌟🌟 

Trama:
A Lavagna, paese ligure in cui si alternano carrugi, porticati e viadotti autostradali, la vita scorre apparentemente placida e immutabile come la corrente del fiume Entella. Leonardo e Gabriele detto Gabs sono amici da sempre, amici come si può essere in una piccola città di provincia: pianeti che orbitano e si attraggono fino a diventare inseparabili. Leonardo non si è mai sentito all’altezza di Gabriele, però pensa di essere l’unico capace di curare le fragilità che si nascondono dietro l’immagine del ragazzo perfetto. E così non può credere alle voci che piombano sull’amico, all’atto di violenza di cui viene accusato, neppure quando vede travolta la vita degli altri ragazzi della compagnia e lo stesso Gabriele fuggire altrove. Leonardo rimane, tentando di rimettere insieme i pezzi ma, quando Gabriele anni dopo tornerà a Lavagna, si troverà costretto ad affrontare le proprie colpe e omissioni. "Stelle per pianeti" è una storia di provincia, e di un’amicizia che nel tempo si impasta di contraddizioni, di adorazione e fiducia, ma anche di bugie, silenzi e segreti. Alessio Parmigiani concentra il suo sguardo intimo e pieno di compassione su questo cambiamento, sulla forza d’animo che permette di accettare la verità e sulla pace che si conquista nel perdonare, e perdonarsi.

RECENSIONE

Stelle per pianeti  di Alessio Parmigiani è una di quelle storie che ringrazi Dio o chiunque esso sia per il fatto stesso che siano state scritte. Sì, l’autore, ok, è grazie a lui che la storia è venuta fuori; grazie anche alla casa editrice che l’ha pubblicata; grazie a chi ha incontrato, Alessio, con chi ha parlato, perché chiuso il libro, io sto ancora a chiedermi se lui, questi due qui, Leo e Gabri, li abbia conosciuti per davvero. 

E mi vergogno un po’, non gliel’ho chiesto, anche se forse qualcuno di voi lo avrebbe fatto, ma tant’è, che sono rimasta con gli occhi sulla pagina, alla fine di questo viaggio, con una strana sensazione nello stomaco, di quella felicità che sa di tristezza, di quel dolore che ti divora a pezzi, quasi senza lasciare tracce solo perché si mescola alla soddisfazione di aver trovato finalmente quella storia che ti ribalta la giornata. Sì, perché tutte queste cose le fanno solo i libri veramente belli, veramente con gli attributi. 
Insomma, i LIBRI. 

Se c’è una storia di amicizia più brutale, viscerale, sconclusionata, violenta, malvagia e irrazionale di questa, allora, amici, fatemi un fischio, perché io, nel frattempo, mi fermo qui. A Lavagna, a casa di Leonardo Nervi, un ragazzino che guarda con gli occhi dell’amico del per sempre un altro ragazzetto, Gabriele Sciutti. Un tipo arrogante, violento, che sa sopportare, ma non sa lasciar correre, che ha un fratello più piccolo ma che non bada troppo alle apparenze, quello che vuole, si prende. Gli girano intorno anche altri amici, una combriccola di quattro o cinque ragazzi che crescono insieme, fanno le prime esperienze, insomma, adolescenza normale. Se non fosse che all’improvviso il padre di Gabri muore. 

Il giorno del funerale è il momento in cui l’amicizia tra Gabri e Leo, che poteva apparire banale, come tante altre, si trasforma in una ferita così profonda da diventare, negli anni, cicatrice, e poi morte cerebrale e fisica di un sentimento che è nato per deflagrare. 
Gabri è inavvicinabile. Lo è sempre stato. Convinto che la madre lo odi, non sa amare, non sa spiegare, non sa parlare di cosa prova, non sa come si chiamino i sentimenti. Lui che si è fatto furbo per sopravvivenza, nasconde un vuoto che è incolmabile in quel cuore che non batte per niente e per nessuno al di fuori di se stesso. “L’andatura solare era stata eclissata da una camminata notturna, lenta e stanca. Lo sguardo sereno, ora crollato in un’espressione vuota: le labbra rosse come le sopracciglia; le guance tagliate da lacrime secche. Pensai che quel vuoto fosse fatto solo per i grandi. Che noi bambini non dovessimo mai averlo. Non appena Gabriele arrivò vicino, saltai in avanti. Violai la rigida divisione della folla, infilandomi nel corridoio destinato ai sofferenti. Mamma mi richiamò con un verso soffocato che s’alzò per aria, saettando contro la cappa calata sopra le nostre teste. Mi sembrò di fare la cosa più sbagliata del mondo. Ma pensai che questi sono gli eroi: capaci di fare quel passo avanti, quando nessuno muove un muscolo.” 

Eppure Leo è lì. Leo ci prova. In quella chiesa, in mezzo a tutta quella gente, nel giorno X che cambierà le esistenze di tutti, abbraccerà Gabriele, fondendosi con lui, consapevole di essere l’UNICO in grado di prendersi tutto il suo dolore. Di guarirlo. Di salvarlo, come se fosse il suo compito supremo su questo sputo di terra marcia. – “Un altro passo avanti, deciso, ora di fronte a lui. Lì, in mezzo alla gente che osservava muta, marmorea, come le statue del cimitero, abbracciai Gabriele Sciutti con tutte le forze che avevo. Con l’idea di tenerlo assieme, di legare stretti stretti i suoi atomi ed evitare che diventasse cenere. Sentii il suo viso accasciarsi su di me, trovare un posto tra collo e spalla. Sentii le mandibole serrare i singhiozzi, le sue lacrime bagnarmi le guance. Sentii che quello era il primo abbraccio che riceveva dalla morte di suo padre.” 

Ma Gabri è marcio dentro. Gioca con le emozioni di cui non conosce il nome, prende in giro i sentimenti di cui si fa beffa violenta, e attacca tutto ciò che può attaccare. Attacca come un animale anche senza un motivo valido. Lo fa quando distrugge la vita della famiglia Campodonico, quando farà a pezzi l’esistenza di un bambino di nome Mattia e quando, anni dopo, si prenderà con la forza ciò che non gli appartiene proprio dalla sorella di quel bimbo. 

Lasciatemelo dire, con la forza del cuore che batte, questa è una storia un po’ triste e un po’ spietata perché la tristezza non è spietatezza, eppure l’autore ha uno stile di scrittura talmente palpabile, che tutto ciò che descrive lo rende tangibile; persino l’espressione di un viso, il sentimento smorto, la fine del mondo diventano parole che camminano, con occhi e corpi che suonano e cantano motivi infernali a piedi di un dirupo che ti chiama dall’abisso e che non ti fa tornare. È così che ho immaginato Gabriele e Leo. La rovina delle loro vite dipende dal primo, ma è l’ultimo ad avergli permesso di rompere tutto e tutti. 

Una storia così concreta, così profonda da non sembrare una storia. Se vi dico che l’ho letto e adesso mi sembra di averlo vissuto, ci credete? Ci sono autori che hanno la capacità di prenderti e di darti una parte nella loro storia. A me sembra di essere stato un po’ Leo, un po’ Gabri, un po’ Elena, un po’ Mattia, ed è difficile liberarsi dalla sensazione di aver vissuto qualcosa di totalizzante che mi ha smosso le viscere lasciandomi in preda a una sensazione di abnegazione. 

Mi si è stretto lo stomaco quando ho scoperto che Leo si era ammalato di una malattia che molti di voi non capiranno, eppure esiste. La malattia delle persone buone, che vogliono fare i buoni perché pensano di essere responsabili di tutte le persone a cui vogliono bene. Leo, quando Gabri è sparito, ha preso il suo posto. Pur di non perderlo ha cominciato comportarsi come lui creando un mostro dentro a un mostro, come una sorta di matriosca velenosa che ha infangato la sua anima dall’interno. Ha voluto appropriarsi della pelle di Gabriele, credendo forse così di salvarlo, di purificarlo perché per Leo, l’amico non avrebbe mai potuto macchiarsi degli errori che ha commesso.“Solo io potevo caricarmi il suo dolore. Nessun altro. Sentii tutto il suo peso sulle spalle. Lo avrei sentito ancora premere sulle clavicole, nel tempo. È stato uno degli atti più importanti della mia vita.” 

Eppure. 
Ciò è avvenuto. 
Quanto dolore, incomprensione, lunghi momenti di silenzio, di privazione, di sentimenti che si scollano con la forza, tentando di trasformare l’amore in odio. Tutto inutile. Leo amerà per sempre Gabriele, fin da quel giorno, durante quel funerale, quando ha giurato nel suo piccolo cuore che avrebbe raccolto ogni pezzo dell’amico, anche quello più sporco e malato, per poi ripulirlo con la propria luce. – “Mi sono sempre chiesto che tipo di colpa fosse la mia: diretta, indiretta; secondaria o primaria. Una cosa è certa: io non l’ho fermato. Era una pessima idea, e io non l’ho fermato.” 

Ci sono momenti, nella vita, in cui capiamo tutto quello che abbiamo fatto. 
È quello che accade a Gabriele. Il senso di colpa lo divora, dopo anni, torna e prova a riparare. Ma Leo è rotto. Tutti sono rotti, i vecchi amici, la famiglia, le vittime inconsapevoli della sua ferocia che come un serpente ha strisciato a terra senza fare rumore, ma afferrando prede alla rinfusa, sembrava quasi che una valesse l’altra, e l’umanità è diventata un bagliore da inseguire senza successo. 

Infilzare il coltello nella ferita. 
Non è una bella immagine, ne sono consapevole. Ma è questo quello che fa Gabri nei confronti di Leo e di chiunque dipenda dal suo fascino perverso. Le complicazioni psicologiche che derivano da un personaggio simile sono abnormi; ti fermi a riflettere, cerchi di capire e ancora stai a chiederti chi diavolo è? E perché ha fatto tutto questo? 

Ci sono persone che si prendono le malattie degli altri. Gabriele è malato, di una malattia non fisica e nemmeno mentale, è qualcosa che gli ha corroso gli angoli del cuore, gli ha spezzato le ali dell’anima. Non ha un’anima oscura, questo termine è troppo abusato, troppo banale; lui è uno a cui le ossa le hanno date scivolose, ed è per questo che non può camminate dritto. Prende deviazioni, senza rendersene nemmeno conto e anche chi come Leo, potrebbe continuare sulla retta via, si ritrova a imitarlo, per un inspiegabile senso del dovere che gli ha macchiato l’anima fin dall’adolescenza. – “«Come vuoi essere da grande?». «Buono». Essere lì per gli altri, togliere loro tutto questo dolore, stare davanti ai dubbi che si fanno onda. Essere il primo numero da chiamare, la luce da prestare al buio, il passo avanti che nessuno vuole fare. Il soldatino con il casco azzurro. Il domani. La speranza. La salvezza. Essere: «Buono» ripetei.” 

Ci sono storie che anche se ci provi a spiegarle, puoi farlo in mille modi, non riesci a esprimere tutte le sensazioni che ti hanno trasmesso. 
E io, adesso, mi sono stufata. 
Di scrivere. 
Di arrampicarmi su questo specchio di pagina bianca e tentare, come se mi mancasse l’aria, di riempirla di parole con qualcosa che è annidato nel mio petto e non vuole essere spogliato, messo a nudo, scarnificato. 
I fatti sono questi. 
Non posso farvi sentire quello che ho sentito io. Non posso arrivare a tanto. Per voi può essere una sciocchezza, per me è stato tutto. Tutto quello che ho vissuto sulla mia pelle e quello che non ho vissuto. Quello che ho capito e quello che non avrei voluto capire. Una storia, questa, che è un mondo a parte eppure al centro del mondo reale. 
E come dice Gabriele: “Words fail me. Non mi vengono le parole. Erano proprio le parole a fallire, Leo.” 
E io, credo, proprio, di aver fallito. 
Sorry. 
But I love It. 
Nothing else matters.

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