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venerdì 11 ottobre 2024

Recensione: FIGLIA DEL TEMPORALE di Valentina D'Urbano

Buongiorno! Grazie alla collaborazione con la casa editrice Mondadori, oggi vi parlo di Figlia del temporale di Valentina D'Urbano.

figlia del temporale

di Valentina D'Urbano
Editore: Mondadori
Pagine: 400
GENERE: Narrativa contemporanea
Prezzo: 10,99€ - 20,00
Formato: eBook - Cartaceo
Data d'uscita: 2024
LINK D'ACQUISTO: ❤︎
VOTO: 🌟🌟🌟🌟🌟 

Trama:
È il 1974, Hira ha tredici anni ed è appena rimasta orfana. Deve lasciare la sua città, Tirana, e la casa in cui è cresciuta per raggiungere gli unici parenti disposti ad accoglierla. La famiglia dello zio Ben vive in un villaggio sui monti nel Nord del paese, una piccola comunità di pastori che sembra cristallizzata nel tempo, dimenticata persino dal regime comunista che da trent'anni tiene in scacco l'Albania. Lassù si vive ancora secondo i dettami del Kanun, il codice tradizionale della montagna. Piano piano Hira si adatta alla sua nuova vita: dalla cugina Danja impara a fare il bucato al fiume e a occuparsi degli animali, dal cugino Astrit a orientarsi nel bosco e a camminare in silenzio per ore. Astrit ha smesso di parlare quand'era bambino, da allora si esprime a gesti e ogni tanto sale sulle montagne e sparisce per giorni. Per questo al villaggio lo considerano strano, una specie di animale selvatico. Crescendo, Hira e Astrit trovano una lingua tutta loro per capirsi, fatta di sguardi, carezze e morsi che a volte sembrano baci. Quando a Hira viene imposto un matrimonio combinato, sceglie l'unica via di fuga ammessa dalla legge della montagna: rinunciare alla propria femminilità e diventare una burrnesh, una vergine giurata. E così a vent'anni prende il nome di Mael: si veste come un uomo, lavora come un uomo, beve e fuma come un uomo. L'intero villaggio la tratta - e la rispetta - come un maschio. Diversamente dai maschi, però, deve rimanere sola e casta. Eppure sotto la pelle di Mael talvolta riaffiorano, ribelli e vitali, i desideri e le emozioni di Hira. A quanta parte di ciò che siamo possiamo rinunciare per inseguire una vita che ci appare più libera? E di cosa è fatta quella libertà se non possiamo essere noi stessi alla luce del sole? Come i suoi personaggi, Valentina D'Urbano non ha paura di oltrepassare limiti e confini, di farsi domande dolorose e di cambiare pelle per rimanere fedele a se stessa. Il risultato è un romanzo coraggioso sul corpo e il desiderio delle donne e sul bisogno che la società patriarcale ha da sempre di controllarli. E, al tempo stesso, la più travolgente delle sue storie d'amore.

RECENSIONE

“Se tu tieni me, io tengo te. In due possiamo farcela.” 
Brutta storia. Questa è proprio una brutta storia. Quando ti capita –– raramente, che una storia è al di sopra di molte che hai letto, così intensa, spossante, viscerale, distraente, pulsante, da farti davvero bestemmiare. Ma la Valentina D’Urbano doveva venirsene fuori con un racconto del genere? Con una storia che ti capovolge e ti sconvolge, ti strizza e ti rivolta come se tu non fossi niente? 

Hira, una ragazzina che perde i genitori, con un fratello lontano, si ritrova a casa degli zii. Lei, piccolina di città, della grande e moderna Tirana, con le tasche piene di sogni di un futuro tutto da studiare. Di punto in bianco, senza più casa, nè mangiare, nè affetti, rinchiusa tra le montagne, presa da una famiglia di cui non conosce nessuno. Zio e zia, e due cugini, Danja e Astrit. Con la femmina è tutto uno scambio di parole e di ordini, perché sulle montagne, le femmine devono lavorare; hanno tutta la giornata occupata dalle faccende e devono, perentoriamente, prendersi cura degli uomini. 

E Astrit? È figlio della montagna, un animale che non parla, però sorride e ride con quella risata muta fatta di denti affilati come quelli di un lupo che la rendono sua al primo sguardo. Astrit è lo specchio di Hira. Non si sono mai visti, ma basta un semplice sguardo per inventare un nuovo mondo. Il loro. Quello fatto di lunghi silenzi, di baci in faccia fatti di strofinamenti e morsi, di corse e di camminate nel bosco, raggiungendo il confine, quello che non si può superare e che durante il regime comunista, univa il territorio albanese con il resto del mondo.Astrit è figlio del bosco e del temporale. Conosce le montagne, e le montagne conoscono lui. Si appartengono a vicenda. Non gli faranno del male
Da lì non te ne puoi andare. Puoi anche provarci, ma devi attraversare la terribile montagna, Maja I Narreth. Un mostro che al primo tentativo di attraversarla, ti divora, ti butta giù, ti fa cadere nell’abisso da dove nessuno è tornato. Lì giù, in quel vuoto sconosciuto, ci sono tutti i cadaveri delle persone che non ce l’hanno fatta. Ma Astrit è diverso. Lui vuole provarci e fa crescere Hira insieme a lui alimentando, involontariamente, quella sete di libertà e di ribellione che lei aveva giù cucita nelle sue ossa. 

"Quindi sei vivo, sai respirare, pensai. Non sei davvero un fantasma. Allungò una mano con molta cautela, tutte e cinque le dita aperte, cercò di capire se mi sarei mossa, se sarei scappata, se per caso avessi paura di lui." 
Non si sa come, la Valentina D’Urbano riesca a usare le maledette parole che molti sputano fuori con la lingua impastata come se non fossero niente, mentre lei, ci crea, dal nulla, ruvidità e dolcezza come nessuno. Nessuno. 

Hira non è come le altre femmine e quando arriva il momento che deve sposarsi, perché suo zio, padre adottivo, ha scelto il marito per lei, decide di rifiutarsi. Lo fa perché non accetta le imposizioni, ma lo fa anche perché l’unico ragazzo che abbia mai amato, l’unica persona che considera la sua vera famiglia è suo cugino Astrit, e sa che non può averlo. Pur non essendoci stato nulla tra di loro, oltre a strette, abbracci e tensioni palpabili, Astrit ci prova a chiederla in sposa, pur di non farla sposare con qualcun altro, ma non ci riesce. 

Così Hira si fa carico di una vecchia tradizione del posto e diventa uomo, quella che tutti chiamano una vergine giurata. Si taglia i capelli, prende i vestiti di Astrit e li fa suoi, si copre il seno con le bende, impara a bere e a fumare, a sparare, a camminare con le gambe larghe, a sviluppare una forza che non le appartiene e si comporta come un ragazzo che non avrà mai una famiglia, nè qualcuno accanto. Sceglie quella che le sembra la vita che più sia avvicina al concetto di libertà. Insomma, le sembra di aver scelto di propria volontà ma in realtà si condanna alla solitudine. 

Pensavo che non avrei amato nessuno romanzo più di Il rumore dei tuoi passi e Alfredo, e invece l’autrice è riuscita a farmi emozionare, a centellinare la lettura e a rileggere molti passi perché erano così intrisi di tensione, di emozioni, di umanità che avevo bisogno di sentirne ancora. Non tutte le storie hanno il potere di farti sentire vivo. Hira e Astrit sono descritti come due creature che appartengono a un mondo tutto loro, sono figli del temporale, non hanno legge e conoscono un’unica libertà, quella che si chiama montagna. Il tocco era leggero, le dita più ruvide di qualunque cosa avessi mai sentito, scabre come la corteccia degli alberi, ne sentii ogni asperità, ogni solco. Ed erano fredde, però confortanti. Non ho mai più provato niente del genere, negli anni a seguire. Il conforto che mi diede quel contatto, la consapevolezza improvvisa di quanto avessi bisogno di essere toccata da qualcuno. 

Il percorso di crescita di entrambi è lampante. È lungo, ma va di pari passo e li rende due esseri che non si piegano MAI completamente alle leggi degli uomini. Abbassano la testa, ma non lo fanno mai del tutto, e sono sempre pronti a rialzarsi per rispettare loro stessi. Astrit ritroverà la voce grazie a Hira; anche se la legge lo vieta, il sangue lo rifiuta, lui la ama e farà di tutto per lei. Ma veramente di tutto. Hira, d’altro canto, cresce con lui, prende le sue sembianze e quando non può averlo, fa in modo di diventare lui, pur di sentirselo addosso. – Non sapevamo ancora, quel giorno, che gli sarebbe rimasta per sempre quella voce raschiata e irregolare che faceva a pugni con la sua espressione pacifica, con la bellezza che si portava appresso come una cosa inutile. 

Sono due personaggi che scavano dentro le pagine, che non si accontentano di raccontare la loro storia; questi due vogliono proprio diventare indimenticabili. E ci riescono. Con la loro ruvidezza, le loro mani che si sfiorano per non toccarsi mai, le loro bocche che si baciano con i respiri che si spezzano e i loro corpi che si dividono a metà senza mai incontrarsi per davvero. 

"Mi permise di infilargli le dita in bocca. Toccai la ferita, era profonda, i suoi denti sottili avevano fatto un danno di cui non conoscevo la misura."
Non c’è nulla di erotico in questa frase. Pensateci, qui si condensa tutta la potenza del linguaggio che si fa carico di diventare oltre quello che le parole sussurrano. È animalesco, è primordiale. Toccare la ferita, cogliere il sangue di qualcuno, sciogliersi dentro di esso, condividendone vita e morte. Il simbolo, per eccellenza, dell’esistenza che irrompe e che si spezza. 

L’attesa. 
L’attesa è lunga, a volte snervante, altre commovente. 
Ci si mette il destino, la famiglia, la patria a ostacolare i loro sentimenti, a oscurare la loro indole ribelle. 
Il tempo ripaga. 
E così, mentre il mio cuore si è fermato più volte per poi riprendere a battere con una brusca accelerata, ho letto questa storia di amore senza limiti, di identità dure come l’acciaio, di poche parole, perché quelle non servono, e di tanti odori che sanno di bosco, di foresta, di lupi, di organi e di ossa che si rompono per poi ricomporsi in una forma nuova. Hira e Astirt hanno cambiato tante forme durante la loro crescita. 

L’autrice non ci ha risparmiato nulla. È stato crudele, brutale, ci ha fatto vedere la carne scarna delle sue creature. Le ha denudate perché ha preteso la nostra attenzione e il nostro totale rispetto. Non è facile mostrare i propri personaggi, che so bene essere come figli, senza alcuna protezione. Deve essere stato un grande sacrificio per Valentina averlo fatto. Hira e Astrit bruciano e ti ustionano la pelle, proprio loro che di pelle non ce ne hanno più. La vita li ha talmente scorticati da farli apparire imbruttiti, simili a erbacce, alberi cadenti nel mezzo di una foresta nera. 

Ma proprio nel momento in cui tutto sembra perduto, capisci che il loro cuore è ciò che vale di più e Valentina ce lo ha regalato. Mostrandoci lei per prima rispetto a noi che leggiamo. Ci ha regalato due cuori puri e immensi come il cielo e come quella montagna, così terribile e sinistra, che sembra non finire mai. 
I passi sulla terra di Astrit e Hira sono incerti, lo sono sempre stati. 
Ma non si sono mai fermati. 
Il loro viaggio continua oltre queste pagine. 
Continua nel mio cuore, che, spero, sia abbastanza puro da tenerli al sicuro. Entrambi.
"La vita è solo questo, è una foresta senza sentieri. Si tratta di andare alla cieca, è una lunga discesa verso qualcosa che non sappiamo."

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