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venerdì 13 giugno 2025

Recensione: L'HOTEL DEL TEMPO PERSO di Ilaria Gaspari

Buongiorno, grazie alla collaborazione con la casa editrice Rizzoli, oggi vi parlo di L'hotel del tempo perso di Ilaria Gaspari.

l'hotel del tempo perso

di Ilaria Gaspari
Editore: Rizzoli
Pagine: 77
GENERE: Thriller
Prezzo: 7,99€ - 13,00
Formato: eBook - Cartaceo
Data d'uscita: 2025
LINK D'ACQUISTO: ❤︎
VOTO: 🌟🌟🌟🌟 

Trama:
Tauro Pigro, ridente località termale punteggiata di palme. Un hotel dall'eleganza sfiorita - tappeti polverosi, mobilio di mogano tarlato - accoglie dieci ospiti che arrivano alla spicciolata, ognuno col proprio carico di solitudine e aspettative. C'è la socialite d'altri tempi ossessionata dall'età, la bibliotecaria con la testa fra le nuvole, lo storico dell'arte che si ostina a non andare in pensione, la coppia sposata da decenni, lo scrittore incompreso. E poi l'architetto seduttore seriale, il parrucchiere rapato a zero, la capa che tiranneggia la sottoposta senza pietà. Non sono tutti entusiasti di stare lì, qualcuno indossa una maschera di malumore poco adatta a quel luogo di riposo, ma senza saperlo hanno in comune qualcosa. Poco dopo il loro arrivo, nell'hotel si manifestano piccoli inconvenienti: i corridoi sembrano non finire mai, gli orologi segnano l'ora sbagliata e la cena tarda a essere servita. Presto diventa chiaro che c'è un motivo per cui quella compagnia di viandanti si trova lì. Ognuno di loro nasconde un segreto e nessuno può dirsi davvero innocente. Ilaria Gaspari ci regala un irresistibile giallo a tinte filosofiche che omaggia Agatha Christie e le sue atmosfere, e in queste pagine esplora il comandamento "Non rubare" raccontandoci le conseguenze del furto più grave che un essere umano possa subire.

RECENSIONE

L'hotel del tempo perso di Ilaria Gaspari racconta di un luogo che è dentro e fuori sè stessi, che incontri mentre stai camminando e ti costringe a fermarti. Un luogo che ha la forma di un hotel nel quale tutto ti sembra vero eppure finto, come un sogno gridato a mezza bocca, di cui forse non ricordi più nulla, ma sai che c'è. 

Non è un giallo, eppure c’è un mistero. Non è un saggio, ma ogni pagina è intrisa di filosofia. Non è un romanzo di formazione, ma ognuno dei personaggi che lo abitano è costretto a trasformarsi, pur non volendolo. Perché entrare in questo hotel non è una vacanza, è un ritorno. E non si torna mai per caso. 

L'autrice ci conduce in un albergo isolato, sfiorito, popolato da individui apparentemente diversi, ma accomunati da una stessa condizione: quella di aver perso qualcosa. Il tempo, certo, ma anche l’identità, il desiderio, la possibilità di perdonare o perdonarsi. C’è una nobildonna che ha fatto della menzogna una maschera, una bibliotecaria che ha lasciato che la vita le scivolasse tra le dita, uno scrittore convinto di essere un genio incompreso, un architetto che ha progettato corridoi infiniti ma ha smarrito l’uscita della propria anima. C’è un uomo che ha costruito un impero su ciò che non ha – i capelli –, un professore che crede di sapere tutto e non conosce nemmeno il male che ha fatto. E poi ci sono le donne silenziose, le vittime dimenticate: Sandra, che ha sacrificato sé stessa a un matrimonio ormai vuoto; Viola, sempre pronta a chiedere scusa per errori che non ha commesso; Angela, così impegnata a rimanere giovane da non accorgersi di essere diventata sterile di emozioni. 

Il tempo, fattore determinante in una storia come nella vita quotidiana di ciascuno di noi, è sospeso in quell’hotel incantato, irreale, dove le giornate si piegano su sé stesse e le coincidenze diventano rivelazioni. Ogni stanza, ogni dialogo, ogni silenzio è un invito a fermarsi e guardarsi allo specchio. Non lo specchio vanitoso dell’autocompiacimento, ma quello più spietato, quello che mostra le crepe, i tentativi goffi di salvarsi, i dolori lasciati indietro. 

La scrittura è lieve come la polvere che aleggia nella hall, eppure affonda. Ha il tocco ironico dei grandi moralisti francesi e la malinconia sorniona di un film vecchio stile. C’è Agatha Christie, certo, nell’architettura narrativa che lentamente si stringe come un nodo, ma c’è anche Proust, nel modo in cui il tempo si fa materia, sapore, odore, rimpianto. L’autrice non ha bisogno di urlare: le bastano le parole giuste, scelte con un rispetto quasi affettuoso per i suoi personaggi, anche i più meschini. Perché nessuno è innocente, ma tutti possono essere compresi. 

E allora quel comandamento, “non rubare”, diventa qualcosa di diverso da ciò che abbiamo imparato al catechismo. È un monito contro il furto più grave e sottile: quello del tempo altrui, della felicità degli altri, delle occasioni mancate per egoismo, superficialità o paura. Tutti, in quel luogo sospeso, si scoprono colpevoli di aver sottratto qualcosa. E tutti, in qualche modo, sperano di poter restituire. 

Ciò che resta, alla fine, non è la soluzione di un mistero, ma una domanda: cosa abbiamo fatto del nostro tempo? Quello che credevamo di aver perso era davvero inutile, oppure era proprio lì che si nascondeva la nostra verità? L'autrice ci accompagna, senza privarci della nostalgia così cara al poeta Rilke, – in un viaggio dentro noi stessi. E quando si chiude il libro, si resta un attimo immobili, come dopo aver sognato intensamente: con la sensazione che qualcosa sia cambiato. 
Forse in meglio, forse solo in modo più vero. 

Qualcosa è cambiato, ma è esistito davvero? 
Non si sa, se vorrete lo scoprirete da soli, ma qualunque cosa io abbia vissuto leggendo, è un po' come diceva Rilke: "la nostalgia spesso non distingue." 
Non importa aver vissuto qualcosa, ciò che conta è l'anima che la sente e si trasforma. 
E che tu sia stato vigliacco, sordo o distratto, poco conta. Se hai il coraggio di guardare in faccia quello che hai fatto – o non fatto – il tempo, appunto, non è mai andato perso. 
Mai per davvero.

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