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giovedì 14 novembre 2024

Recensione: UNA COSA PER LA QUALE MI ODIERAI di Erica Mou

Buongiorno! Grazie alla collaborazione con la casa editrice Fandango, oggi vi parlo di Una cosa per la quale mi odierai di Erica Mou.

una cosa per la quale mi odierai

di Erica Mou
Editore: Fandango
Pagine: 173
GENERE: Narrativa
Prezzo: 4,99€ - 16,00
Formato: eBook - Cartaceo
Data d'uscita: 2024
LINK D'ACQUISTO: ❤︎
VOTO: 🌟🌟🌟🌟🌟 

Trama:
"Una cosa per la quale mi odierai" è il racconto che Erica Mou fa della malattia di sua madre. Un racconto senza enfasi che si appoggia sulle parole che la madre ha affidato al suo diario, per esorcizzare il dolore e la paura. Erica trova il coraggio di leggerlo, di ripercorrere i nove mesi della malattia di sua madre proprio mentre vive i nove mesi che la renderanno mamma. In un dolente, tenero e perfino divertente scambio di voci, Erica ritroverà e riconoscerà Lucia. Una collezione di ricordi che, come fiori, arricchiscono l’istantanea di una famiglia in jeans e maglietta nell’Italia agli albori del nuovo millennio. La promessa di non dimenticarsi.

RECENSIONE

"Ora su questo aereo ancora non lo so che il futuro è un fatto salvifico... io semplicemente sono, sto."

Una cosa per la quale mi odierai di Erica Mou è un romanzo che scava nel cuore della famiglia, dove il dolore diventa lo specchio delle relazioni più intime e delle fragilità personali. È un argomento molto delicato, troppo delicato e come tale devo necessariamente fare appello ai TW che sono importanti perché i temi affrontati possono ledere la tranquillità di chi legge. 
 
La scrittura, seppur delicata e rispettosa, non può e non deve salvare dalla brutalità di ciò che viene raccontato. Perché è inutile tenerci al sicuro dalla vita, quella ci viene a prendere lo stesso, fin dentro casa e ci costringe ad affrontare comunque il dolore di una perdita, allora, tanto vale, farlo a viso aperto. 
La storia di Erica è quella di una ragazza che scopre che la madre ha un cancro. 
Niente di più. Niente di meno. 
Come si affronta una notizia del genere? 

Quello che fa questo romanzo è cercare di descrivere l’impatto devastante della malattia sul nucleo familiare, una trasformazione invisibile ma profonda. Erica, che ha vissuto una giovinezza in simbiosi emotiva con la madre, si trova a reggere il peso di una diagnosi che frantuma le sue certezze. La sua reazione riflette una fragilità che non accetta mezzi termini: non può fare altro che essere presente, aggrappandosi ai ricordi, mentre la figura materna si indebolisce. Questa presenza costante, che è al contempo un atto d’amore e una prigione emotiva, esprime il paradosso del legame madre-figlia. 

La madre, invece, vive un conflitto interiore tra la necessità di trasmettere forza e la disperazione personale. Il suo diario, che Erica scopre dopo anni, svela una donna che non si è mai concessa di crollare, una madre che ha custodito il dolore come un segreto, forse per proteggere i figli. Il fratello Mirto, con il suo atteggiamento pragmatico e distaccato, rappresenta la risposta diversa alla sofferenza: un modo di difendersi dal dolore, ma che finisce per rendere la relazione con la madre quasi silenziosa e inespressa. L’intero racconto è così un cammino verso l’accettazione, una metamorfosi dolorosa e inevitabile. 

Leggendo come queste persone cercano, a loro modo, di venire fuori dalla tragedia, mi ha fatto riflettere sulla nostra società e su come essa affronta la malattia. Da un lato, è un tabù che spesso viene evitato, trattato come un nemico silenzioso da combattere, dall’altro, è una realtà che si infiltra in ogni aspetto della vita. La madre di Erica combatte non solo contro il cancro, ma anche contro la stigmatizzazione della debolezza, un peso che la costringe a mascherare le sue sofferenze per mantenere intatta la sua immagine di madre forte. Questo tema rispecchia la tendenza sociale di oggi a voler mostrare una facciata di resilienza, quasi come se ammettere la paura o la sofferenza sia sinonimo di fallimento. 

La malattia è una presenza costante, un intruso che non lascia scampo e che obbliga tutti i personaggi a confrontarsi con la propria vulnerabilità. Erica, in particolare, deve fare i conti con la propria giovinezza e con un sentimento di impotenza: da un lato, vive il peso della responsabilità e dell’affetto, dall’altro, la paura che ciò che sta vivendo sia più di quanto possa sopportare. Questo riflette una delle difficoltà più grandi che le famiglie affrontano oggi: come trovare equilibrio tra il prendersi cura degli altri e il non dimenticarsi di vivere. 

La morte è un’ombra che accompagna ogni pagina, e il modo in cui viene affrontata nel romanzo è emotivamente disperato e per questo tangibile. La morte della madre diventa per Erica un’esperienza formativa, una nuova nascita in cui deve riappropriarsi del proprio ruolo. La morte non è vista come una fine definitiva, ma come una transizione dolorosa e naturale, un ricordo indelebile che diventa una sorta di eredità emozionale. 

Nella società moderna, spesso la morte viene relegata ai margini, vissuta in silenzio e allontanata dal discorso pubblico. Una cosa per la quale mi odierai rompe questo tabù, invitando il lettore a riflettere su come si possa convivere con la morte senza necessariamente dimenticare la bellezza della vita. Il romanzo esprime una verità cruda ma reale: affrontare la morte dei propri cari è un processo che cambia chi resta, obbligandoci a ripensare alla nostra mortalità e alla preziosità dei legami. 

Erica Mou scrive e arriva tutto, nella sua assoluta verità, senza ricerca di approvazione, senza sentimentalismi, senza vendere un prodotto solo per ottenere empatia; la sua è un’esplorazione che non cerca risposte, ma solleva domande su cosa significhi davvero essere figli, madri, fratelli, esseri umani. Le sue parole, semplici, lineari, dirette, paurosamente tristi o misere, persino felici, se è il caso, diventano dolore senza paura, capaci di rendere visibili le cicatrici, trasformandole in simboli di vita vissuta. 
In un mondo in cui la malattia e la morte sono spesso viste come debolezze da nascondere, questo romanzo ricorda che la vera forza sta nell’accettare la fragilità, nel trovare nella sofferenza la bellezza del legame umano. 

La schiettezza di questa storia vi rimarrà impressa sopra e sotto la pelle. Perché di storie sbattute in faccia, non ce ne sono tante, ma sono più necessarie di tante altre. 
Perché? 
Perché non tutti sono bravi a scriverle. 
Ed Erica Mou raggiunge il cuore con una devastante quanto inquietante semplicità. 
"Il diario di mia madre non finisce quando finisce la vita. Il diario di mia madre finisce quando finisce la speranza."
E la speranza, lo sapete, non dovrebbe deve finire mai.

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