Buongiorno! Grazie alla collaborazione con la casa editrice La nave di Teseo, oggi vi parlo di Wonderfuck di Katharina Volckmer.
wonderfuck di Katharina Volckmer Editore: La nave di Teseo Pagine: 240 GENERE: Narrativa contemporanea Prezzo: 9,99€ - 18,00€ Formato: eBook - Cartaceo Data d'uscita: 2025 LINK D'ACQUISTO: ❤︎ VOTO: 🌟🌟🌟🌟
Trama:
Anche oggi Jimmie, un giovane inglese di origini italiane, arriva al suo posto di lavoro, un call center di un’agenzia di viaggi nella periferia di Londra. Un luogo dove approdano, come naufraghi, perdenti da tutto il mondo accomunati da un futuro incerto, mentre ancora si illudono di poter realizzare quei sogni che li hanno portati in città. Jimmie ha con sé il pranzo, un rossetto rosso e un ciuffo di capelli di un morto che tiene nel portafoglio accanto alla foto di sua madre, eterna vedova con cui ancora vive e che alimenta le sue frustrazioni. In quel limbo che somiglia a un purgatorio ritrova, come ogni giorno, una serie di personaggi variegati: Simon, un dirigente ossessionato dai protocolli e dal monitoraggio delle funzioni corporali dei dipendenti, Wolf, lo strano tedesco con cui Jimmie condivide la scrivania, Helena, la bellezza catalana che pare impermeabile alla sfortuna, Elin, l’atletica svedese con sogni da insegnante, e Daniel, affascinante aspirante attore israeliano. Jimmie, però, non è esattamente un impiegato modello, anzi, non riesce a limitarsi ad aiutare i clienti ma, grazie alla sua grande immaginazione e a un talento particolare nel riconoscere la solitudine, ne influenza fantasie e frustrazioni. Tanto che finisce per farsi coinvolgere dai loro desideri, dai loro appetiti e da tutte le tensioni sessuali di cui, spesso, non sono nemmeno ancora consapevoli, ma che lui riesce a intercettare tra le loro assurde richieste. Forse è proprio questo il motivo per cui Jimmie è stato convocato dal suo superiore, o forse sono stati altri comportamenti poco professionali nei bagni arancioni dell’ufficio? Comunque sia, la situazione non sembra rosea e lui ha davanti una lunga giornata prima di dover rendere conto al capo. Con la sua scrittura impudica ed esilarante, in Wonderfuck Katharina Volckmer lascia parlare le nostre molteplici identità e i desideri inconfessati. Un libro esplosivo, effervescente, che ci fa immergere in un microcosmo, quello di uno squallido call center, che si rivela però essere punto di transito di voci, pulsioni, fantasie, perversioni, tutte pronte a essere risvegliate da un capo all’altro della cornetta.
|
RECENSIONE
C'è qualcosa di feroce e struggente in Wonderfuck di Katharina Volckmer, un’energia vibrante che pulsa sotto ogni frase, sotto ogni pensiero impudico, ogni gesto imbarazzante, ogni ricordo deformato dal dolore.
Katharina Volckmer scrive un romanzo che si catapulta in una confessione senza filtri, una satira sociale vestita da monologo interiore, una seduta psicoanalitica clandestina che si consuma nei cubicoli di un call center nella periferia di Londra. Un romanzo che racconta — senza mai sbagliarsi, ahimè — del corpo, della voce e dell’abisso del nostro/vostro/loro quotidiano.
Il protagonista, Jimmie, non chiamatelo eroe, ma nemmeno antieroe. Non rendetelo tragico, drammatico, nostalgico, non è nessuna di queste cose. Nessuno di questi aggettivi tanto trendy da finire nei commenti dei libri più hypizzati del booktok. No, lui è un comunissimo essere umano a pezzi, consapevole della propria inadeguatezza fisica e sociale, eppure pieno di desideri e immaginazione. Ogni suo pensiero è un atto di resistenza alla sterilità del mondo che lo circonda.
Il corpo è protagonista: non il corpo patinato, ma quello reale, sudato, sformato, eccessivo.
Il corpo, in questo romanzo, non si può nascondere. È attraverso le sue funzioni che Jimmie cerca di esistere. Perché in un mondo dove tutto è performance, efficienza, controllo, il corpo diventa il luogo ultimo dove reclamare verità.
Jimmie lavora in un call center. Il suo unico strumento è la voce. Ma quella voce non si limita a rispondere alle richieste dei clienti: li invade, li provoca, li ascolta più profondamente di quanto loro stessi riescano a fare.
Jimmie è un sensore delle solitudini altrui, una creatura empatica e impudica, capace di trasformare ogni telefonata in una seduta erotico-terapeutica. —“Sono semplicemente una persona molto visiva, e poiché ci viene raccomandato di prendere sul serio i timori dei nostri clienti, voglio vedere quello che vede lei.”
Ma quella voce è anche la sua prigione. È invisibile, impersonale, intercambiabile. Eppure Jimmie la usa come un’arma contro il sistema. Ogni ironia, ogni provocazione, ogni battuta sessuale è un atto di sabotaggio linguistico. Il linguaggio, qui, è corpo, sangue, disperazione, carezza, veleno.
Il call center è un microcosmo grottesco, dove ogni individuo è ridotto a una funzione. Simon, il superiore, rappresenta il sadismo aziendale travestito da protocollo. Le soft skill diventano strumenti di umiliazione. Ogni pausa deve essere autorizzata. Ogni bisogno umano, represso.
“Non siamo responsabili per i contenuti esterni, ripete Jimmie a un cliente, ma il romanzo intero sembra dirci il contrario: noi siamo tutto ciò che ci accade dentro, anche quando ci viene chiesto di reprimerlo.”
Dietro le scrivanie, ognuno ha un passato, un lutto, un amore mai nato. Eppure tutti sono costretti a sorridere al telefono mentre parlano di fughe romantiche in spa o di piscine infinite alle Maldive. La vacanza, in questo contesto, è parodia del paradiso, feticcio del benessere per clienti infelici che cercano uno sfondo Instagram più “costoso”.
Il romanzo è pieno di desideri inappagati, di erotismo deviato, di attrazioni mai consumate. Ma non c’è giudizio: tutto ciò che Jimmie immagina – anche il più assurdo, anche il più osceno – è l’unico spazio in cui può sentirsi vivo.
Il desiderio è anche una lingua, e l’autrice lo usa per parlare di tenerezza, di lutto, di rabbia. Le fantasie diventano valvole di sfogo, resistenza contro l’omologazione. La solitudine, invece, è collettiva. Tutti sono soli: Jimmie, Elin, Wolf, la madre. Tutti parlano, ma nessuno ascolta davvero. È una società che funziona come il call center: risposte predefinite, emozioni filtrate.
Il legame con la madre è uno dei fili emotivi più forti del romanzo. Una madre vedova, chiusa in una stanza, che vive nel dolore come in una religione. Jimmie è cresciuto dentro quel lutto, dentro quel silenzio.
“La Signora aveva sempre vissuto al centro di un labirinto, a ogni svolta una variazione del suo lutto.”
La madre rappresenta il passato non elaborato, il paese che si è lasciato ma che ti cresce dentro come una ferita aperta. È il trauma intergenerazionale che plasma le identità e le disarma. E Jimmie, nel suo amore incasinato per lei, cerca ancora una possibilità di guarigione. O almeno una verità.
Lo stile di Katharina Volckmer è un flusso ininterrotto: cinico, brillante, eccessivo. Ogni paragrafo è una cascata di pensiero, come se Jimmie parlasse senza sosta per non lasciarsi travolgere dalla propria vita. È una scrittura che non cerca approvazione, che non si addolcisce. —“Il cemento è semplicemente un’altra forma di violenza.”
Wonderfuck è un’opera scomoda, ma se volete leggera, tant’è. Parla delle scorie dell’identità contemporanea: i frammenti di chi siamo, chi vorremmo essere e cosa ci viene chiesto di diventare. È un romanzo che unisce poesia e umiliazione, umorismo e trauma, desideri e politica.
Fa ridere, fa male, fa pensare.
L’autrice scrive un inno alla parola che respira, sanguina, patisce, non standardizzata, non commercializzabile. È una letteratura che non si vende come una vacanza alle Maldive, ma ti trascina dentro la materia viva dell’esperienza.
È letteratura viva, letteratura che non profuma di carta nuova, ma di carne, di sudore, di sconfitta.
È un tipo di letteratura a cui pochi sono abituati.
Quella letteratura che NON si scusa.
E perché mai dovrebbe?
Nessun commento:
Posta un commento