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venerdì 14 febbraio 2025

Recensione: LA POLVERE CHE RESPIRI ERA UNA CASA di Eleonora Daniel

Buongiorno! Grazie alla collaborazione con la casa editrice Bollati Boringhieri, oggi vi parlo di La polvere che respiri era una casa di Eleonora Daniel.

la polvere che respiri era una casa

di Eleonora Daniel
Editore: Bollati Boringhieri 
Pagine: 208
GENERE: Narrativa
Prezzo: 11,00€ - 16,00
Formato: eBook - Cartaceo
Data d'uscita: 2025
LINK D'ACQUISTO: ❤︎
VOTO: 🌟🌟🌟🌟🌟 

Trama:
La storia di una relazione come tante. Una ragazza e un ragazzo che si innamorano, si trasferiscono, si amano di un amore umano, domestico e imperfetto, sognano, si contraddicono, progettano una casa e un futuro. Un giorno, accanto a una tavolata di bambini al ristorante, avvertono una sensazione nuova: vogliono un figlio. Ma le cose non vanno come vorrebbero e le loro speranze si rivelano più difficili da affrontare del previsto. La polvere che respiri era una casa è un romanzo sulla creatività, intesa come creazione di vita e creazione letteraria; sull'impossibilità di non prendere determinate decisioni, sul fare i conti con i vuoti e la violenta inspiegabilità delle cose, e sul tentativo di affermarsi provando a inseguire un fantasma, raccontando una fiaba, o imponendo il proprio irrimediabile silenzio. Al suo esordio, Eleonora Daniel dimostra una mano sicura nella narrazione, che spazia tra diversi stili e voci narranti, e una straordinaria capacità di sviscerare i due punti di vista di una coppia, decostruendo ogni banalità e facile romanticismo.

RECENSIONE

A forza di sottolineature, ho consumato le pagine, il libro si è consunto, proprio come i suoi personaggi, la storia si è avvilita, si è ripiegata su sé stessa e non si chiude più. Questo è accaduto con La polvere che respiri era una casa di Eleonora Daniel, un libro che sembra innocuo. 
Ma sì, ma dai, vi ci vedo tutti quanti a guardare la copertina e a pensare: ma che sarà mai, sto’ libro? Parla di una coppia. Uh, figurati, milioni e milioni di libri parlano di coppie che stanno insieme e poi si separano. Sarà la solita, vecchia piuttosto banalotta storiella che ci vogliono propinare per l’ennesima volta. 
Pensate di fare i furbi e di non leggerlo. 
Beh, sbagliate. 

In questo libro non c’è nulla, ma proprio nulla che abbia a che vedere con il banale. C’è uno stile originale, asimmetrico, senza divisioni di sorta, senza differenze usuali e riconoscibili tra chi parla e chi ascolta. Bisogna entrare nel mood della lettura per capire dove ci si trova e che cosa sta succedendo, e dunque, dopo un iniziale ma bello smarrimento, si viene inghiottiti, fagocitati, ingoiati dalla signora Storia. 

Perché sì, come negarlo, si parla di una coppia, un uomo e una donna di cui non viene detto il nome, se non alla fine, una coppia che vede la sua casa costruirsi lentamente; una coppia che aspetta con l’ansia della felicità e il sapore della certezza, che, oh, quella casa è proprio quello che vogliono. Non desiderano altro, e non c’è ancora la polvere, che è la pelle del tempo, perché di tempo non ne è ancora passato, quindi si vive d’istinto, e la coppia vuole vivere in quella casa. 

Quando si trasferiscono, l’illusione di una casa perfetta comincia a diventare realtà; le mura imbiancate si incrostano di voci, di paranoie, di paure, di silenzi che contribuiscono lentamente a creare un divario tra lui e lei. Due esseri umani molto diversi tra loro. Lui è più tranquillo, calmo, pacato, lei è fuoco e ferocia. I mesi passano, così le incombenze diventano il pane quotidiano, i sentimenti crescono, la relazione matura, ma manca qualcosa. 
Vogliono un figlio. 

Ed è allora che la casa cambia forma. 
Si restringe. 
Proprio quando dovrebbe allargarsi perché dovrebbe accogliere un nuovo essere umano, comincia, quella casa, a fare i capricci. Non è più quella dell’inizio. In realtà, non lo è mai stata. Perché quando si progetta una casa, come si progetta una vita, si pensa che vadano bene determinate cose, ma poi, in pratica, non è così. Ecco che i ripiani non sono all’altezza giusta, il frigorifero non sta bene dove è stato messo, la disposizione dei mobili deve essere cambiata, insomma, pensare e fare sono due cose molte diverse. 

Lui e lei avevano progettato di essere felici anche da soli, ma poi c’è uno strano vuoto che gli stringe lo stomaco: c’è bisogno di un bambino per dare un senso a quella casa, a quella vita che comincia a non essere più come l’avevano immaginata. 
Il passo è breve. 
Ci provano. 
Le analisi. 
I referti medici. 
E la sentenza. 
Lei non può. 

La casa non è più soltanto piccola. La casa diventa sporca, piena di cose inutili, diventa un cumulo di ricordi e di progetti da distruggere. La casa è stretta, talmente stretta che va annientata. La realtà, la discrepanza tra realtà e desiderio annienta la protagonista. Ma lei non ci sta. Prima che tutto crolli – dentro è già crollata, decide di devastare il sacro, di diluire il miracolo, e di appiccare l’incendio della propria anima-casa. 

Ciò che lascia senza parole – ribadisco – senza parole, è il modo in cui l’autrice riesce a rendere una storia come tante, un universo che si plasma in modo fluttuante davanti ai tuoi occhi. La casa è la metafora dell’esistenza che va costruita, accudita, protetta. La casa è il luogo in cui ci sentiamo più sicuri, ma al contempo è anche quello che può farci più paura. Se la fede nella casa viene meno, viene meno anche la fiducia nell’esistenza. Ci si rompe le ossa dell’anima, si cammina ondeggiando e si rifiuta qualsiasi cosa che abbia a che vedere con quello che c’era prima, senza più valore. 

C’è della poeticità sinistra tra le righe. Le frasi sono costruite prendendo in prestito gli organi, scambiandoli di posto e se nelle prime pagine, lui e lei erano due persone comuni, alla fine del libro, sono scomposti. Hanno gli organi mescolati, e la mente al posto dell’anima e l’anima – soffocata – infilata nel cuore, ormai nero. 
Un cuore nero che ha la consistenza della polvere inquinata per lei. 
Un cuore nero che ha la consistenza della rabbia repressa per lui. 
La polvere inquinata di quella casa bruciata, lei, se la porta addosso, puzza di quella sconfitta, non ne può uscire. 
La rabbia repressa di chi subisce una scelta senza avere la forza di opporsi, lui, se la cuce tra spalle e collo, il peso lo deforma, non sa più come guardare avanti. 

Eppure, il libro ci lascia con un finale aperto. 
Perché un finale non ce lo meritiamo. 
A volte, certe storie, un finale non ce l’hanno proprio. 
Ma del finale a me non frega niente. 
Tanto, quello che mi rimane dentro, è già arrivato a destinazione. Tutto merito di questo strano stile che decompone la realtà e la costruisce in modo confuso ma incredibilmente accessibile. Una nuova lingua fatta di sensazioni, dove, in mezzo alle lettere che formano le parole, si incastrano gli umori delle emozioni. E allora tutto scivola, senza appiglio, verso una deriva che anche se fa paura, in realtà è solo un grido d’aiuto. 

La seconda parte del libro, si fonda sulla paura. 
È inutile negarlo. 
La paura di non amare più, la paura di non essere più come prima, la paura di non poter avere quello che si desidera, la paura di ferire. La paura di restare. La paura di fuggire. La scelta fa paura. Questo è un romanzo di scelte. Alcune subite, altre decise anche in modo tragico, drammatico, violento. 

È un romanzo violento? 
Sì, perché le emozioni sanno come esserlo. Quando sono viscerali, quando si decide di raccontare senza risparmiarsi, e quando lo stomaco diventa il centro di tutta la disperazione. 
In questa storia ci sono due cuori. 
Uno che batte per la rinascita. 
Un altro per la sconfitta. 
Anche se ci ostiniamo a ignorare la seconda, le due cose vanno di pari passo. 
È la vita. I protagonisti sono due falliti, oppure no. 
NO. 
Sono semplicemente due che hanno vissuto e che continueranno a vivere. Due che nessuno risarcirà per quello che hanno subito, due facce della stessa medaglia. Due carnefici e due vittime. 

Perciò, se trovate questo libro in libreria e fate il pensiero di lasciarlo lì, perché tanto è uguale agli altri, pensateci bene. 
Ciò che è più innocuo, può rivelarsi più devastante. 
Non precludetevi la possibilità di annusare cosa significa avere un talento per la scrittura proprio in mezzo a queste pagine. 
Ma solo se siete in cerca di qualcosa che non avete mai letto. 
Se invece andate ai matti per le minestre riscaldate, uscite dalla libreria e fiondatevi lontano. 
Con tutto il bene, ma non è per voi.

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