Buon lunedì lettori! Oggi vi parlo di un romanzo di cui ho apprezzato molto lo stile e che affronta un tema molto importante: l'emigrazione. Il protagonista torna dopo anni nella sua terra d'origine con un bagaglio molto pesante: un tormentato senso di colpa.
vita di paese
di Maria Caterina Basile Editore: Nulla Die Pagine: 74 GENERE: Romanzo Prezzo: 10,00 € Formato: Cartaceo Data d'uscita: 2017 Link d'acquisto: ➜ QUI
Trama:
È possibile fare ritorno in una terra-miraggio, rimasta nell'attesa di un futuro che pare non compiersi mai e trovare finalmente se stessi? Damiano Pellegrino, trentacinquenne simbolo di una generazione in viaggio, ci prova, affrontando e vincendo una difficile sfida./span>
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RECENSIONE
Vita di paese è un romanzo introspettivo, caratterizzato da un lirico senso poetico che immediatamente si evince dai primi paragrafi di lettura. Una melodia crepuscolare che si unisce ad un linguaggio surrealistico che si avvicina magicamente allo stream of consciousness, ossia al flusso di coscienza, tipico di quella narrativa bretoniana che rappresenta la scrittura come apertura verso il proprio io e come manifestazione dei pensieri senza alcuna logica né controllo.
È così che Damiano Pellegrino, il protagonista, si presenta al lettore, in una chiave piuttosto complicata perché di lui si conoscono i pensieri più intimi ma soprattutto quelli più colpevoli.
La sua figura è ombreggiata, tratteggiata con una matita soffusa, capace di creare un gioco di chiaroscuri interessante, condivisibile e vicino all’empatia.
Non mi abbandona la paura di aver smarrito le parole. Che siano finite nei sogni? L’altra notte le bevevo da uno stagno. Fiducia. Devo avere fiducia nei miei simili, ricordare che hanno i miei identici timori.
I suoi pensieri sono dolori e rinunce, la sua più grande sofferenza è aver lasciato la sua terra, il Salento, anni prima, per migrare in un paese straniero, lasciando la sua anima ed il suo cuore lì.
Dopo tanto tempo, torna a casa, dove lo aspetta la madre, il ricordo del padre e quella vita di paese che dà il titolo all’intera storia.
Cosa trova, Damiano dopo tanto penare? Ma soprattutto cosa ha bisogno di trovare?
La terra madre è la protagonista silenziosa che sullo sfondo si staglia potente con la sua inarrestabile bellezza. Un paesaggio che dà voce all’anima di Damiano, che lo seduce e lo incanta con la sua memoria eterna e che dovrebbe anche guarirlo perché il suo ritorno è per trovare finalmente pace.
Quello del protagonista è un viaggio dentro se stesso e dentro un luogo che lo accoglie nuovamente senza alcuna ostilità, anzi. In un primo momento nessuno lo riconosce, trasandato e cambiato rispetto al passato ma poi, come in una sorta di epifania, il primo ad avvicinarsi a lui è un suo vecchio professore che ricorda ancora quanto lui fosse bravo a scrivere.
E dunque la scrittura appare come forma narrativa ma anche protagonista dietro le quinte di un doloroso ritorno al passato, necessario per andare avanti.
Damiano non sa bene cosa troverà una volta rientrato a casa, ma è speranzoso che possa risolvere i suoi dissidi interiori rivedendo tutto ciò che era suo.
Apparteniamo alla terra e ad essa apparterremo sempre.
Il ricordo del padre, buono, generoso, un omone che tutti amavano, così in contrasto con lui e con la sua indole ribelle, selvatica, incapace di darsi una regolata, lo accompagna durante tutto il percorso attraverso il quale incontrerà i vecchi conoscenti e verrà messo al corrente di tutto ciò che è accaduto a quelli che un tempo erano i suoi amici.
Lo stile dell’autrice è autentico, vicino alla poesia ma anche profondamente umano. Ho sentito molto mia la malinconia dell’anima del protagonista, il suo volteggiare insicuro e quel senso di inquietudine che pervade tutto il romanzo. Il suo cammino è tortuoso ma necessario ed è come una grande rinascita.
La Madre Terra ci appartiene e noi apparterremo sempre a lei. Questo è il senso finale della storia di Damiano che dopo un ritorno difficile, riesce lentamente ad integrarsi.
Non ero diverso da nessuno e così il mio dolore si alleviava.
Proprio in quei luoghi malinconici, aveva lasciato la sua prima fidanzata per andare poi lontano senza voltarsi indietro.
Ma è possibile avere una seconda possibilità per rimettere le cose a posto?
Vita di paese è un romanzo che parla di tormento ma anche di quiete. Somiglia molto ad un affresco, ad un quadro dai colori autunnali ma caldi, ad un tepore dismesso che ti mostra come lentamente anche la persona più sola ed isolata come Damiano, possa ritrovare se stessa attraverso la condivisione e l’abbraccio metaforico di un’intera comunità.
❝ Qui al Sud si torna a morire o si torna a rinascere. Tu perché sei tornato? ❞
Una visione lenta ma pregna di emozioni, che colora la notte dell’anima con i sentimenti più autentici, più vicini all’origine umana. Odio, paura, ansia, dolore ma anche speranza, voglia di ricominciare e affetto. La terra conserva ciò che abbiamo lasciato nelle sue crepe fino a quando non torneremo a prenderci tutto quello che eravamo. Oltre gli errori, sopra gli sbagli e contro qualsiasi avversità.
INTERVISTA
Salve Maria Caterina, grazie di aver accettato questa intervista e benvenuta!
1 – Cosa significa per lei scrivere e quando ha iniziato seriamente a farlo?
Fin da bambina, ho sempre avuto un carattere introverso che mi ha portato a rifugiarmi nella lettura. Quando, poi, durante l’adolescenza, ho conosciuto gli scrittori “beat”, qualcosa in me è cambiato profondamente. D’improvviso non mi sono più sentita sola: ho compreso che quel disagio costante – come scrive il poeta americano Richard Hell – di voler sempre “uscire dalla stanza” dovunque ci si trovi, di “andare via da ‘qui’” non era una mia peculiarità. Non ero l’unico albatros “goffo e vergognoso”, esistevano altre persone simili a me, dotate di un grande privilegio spirituale, eppure incapaci di adattarsi alla vita pratica. Di conseguenza, ho avvertito come una necessità impellente di mettere per iscritto i miei pensieri. La mia prima poesia risale proprio a quando lessi per la prima volta “On the road”: avevo quindici anni.
Dunque ho iniziato a scrivere grazie a Kerouac, ma allora non avrei mai pensato di pubblicare qualcosa. Lo facevo per me, per creare un mondo nel quale trovare riparo, qualcosa che fosse solo mio, in cui l’invadenza del mondo esterno non potesse entrare. Le poesie nascevano all’improvviso, da sole, d’un tratto mi sentivo “in estasi” e dovevo correre a cercare un foglio e una penna. Oggi, a trentasei anni, posso dire che la poesia è dentro di me, è un modo di essere e solo a volte prende forma nella scrittura.
2 – “Vita di paese” è un romanzo con uno stile poetico, crepuscolare, capace di trasfigurare gli stati d’animo del protagonista attraverso la Natura. Ci spieghi il valore simbolico che ha essa nel romanzo e il ruolo fondamentale del paese nel ritorno del protagonista.
Il ritorno al paese rappresenta simbolicamente la necessità del protagonista e di tutti noi di recuperare l’esperienza del rapporto corporeo con la realtà della natura, che, come afferma il chimico svizzero Albert Hofmann, è “infinitamente più vera e antica, più profonda e stupefacente di qualsiasi cosa gli uomini abbiano costruito, e che sarà sempre presente quando il mondo esanime delle macchine e del cemento si dileguerà di nuovo, si coprirà di ruggine e cadrà in rovina”.
Il potere della civiltà dei consumi sta distruggendo perfino ciò che i vecchi totalitarismi avevano lasciato intatto, e cioè le varie realtà particolari, i modi di essere uomini, lo Spirito dei popoli, rendendoci tutti schiavi della logica materialistica del profitto ad ogni costo.
Dante non aveva forse detto che l’origine di tutti i mali era proprio la cupidigia, il desiderio di denaro e di beni terreni? È tempo di tornare alla natura, a quella che il poeta americano Gary Snyder chiama “la grana delle cose”: “vivere più vicino alla terra, vivere in modo più semplice, in modo più responsabile”, perché “tutto questo tornerà a noi comunque, che ci piaccia o no, quando avremo esaurito le fonti di energia in eccesso”. È tempo che la nostra anima torni a spiccare il volo se vogliamo salvare il pianeta – e noi stessi – dal disastro ecologico. È tempo di tornare a parlare con gli uccelli, con gli alberi, le piante, il creato.
3 – Il tema principale è l’allontanamento di Damiano dalla sua terra e poi il suo improvviso ritorno. Un uomo che lascia l’Italia e poi ritorna nel suo Salento. Perché ha scelto un argomento così spigoloso e pregno di riflessioni?
Il libro narra la storia di un’esperienza intimamente vissuta, di un ritorno al Sud e risente della presenza di due anni passati al Nord per ragioni di lavoro con la mia famiglia. Restandovi, avrei potuto scegliere un futuro migliore dal punto di vista lavorativo, ma ho preferito tornare. E, come scrive Vito Teti, autore di “Pietre di pane”, testo di grande ispirazione per “Vita di paese”, restare non è stato “un atto di pigrizia”, ma “un atto di incoscienza e, forse, di prodezza, una fatica e un dolore”.
Dirò la verità, ma, a scanso di equivoci, la dirò partendo dalla premessa che tutti gli uomini sono uguali, a tutte le latitudini: non mi piaceva vivere al Nord o, meglio, in quella parte di Nord in cui mi sono ritrovata a lavorare. Sono partita piena di entusiasmo e mi sono scontrata con un tipo di società in cui l’altro è considerato spesso un pericolo, qualcuno di cui diffidare, da cui stare alla larga e, inevitabilmente, da isolare. Non mi dilungherò sulla mia storia personale, che mi ha portato notevoli sofferenze e conseguenze anche negli anni successivi, mi basti dire che mi è servita a rivalutare tutto quello che mi ero lasciata alle spalle e a cui, forse, non avevo mai dato abbastanza valore. Mi sono guardata attorno e mi sono chiesta, per dirla con Ignazio Silone: “Che fare?”, “Da dove ricominciare?”. Una voce vibrava dentro di me: “Dalla bellezza che mi resta”. Così ho iniziato a scrivere “Vita di paese”, tenendo a mente, come sostiene Teti, che “dobbiamo sempre curare l’olio della lampa della vita e della speranza”.
Ho voluto contribuire, nel mio piccolo, all’odierno processo di “legittimazione” del Sud, di riconoscimento della dignità della sua identità e della sua storia. È vero che quest’ultima è, sotto molti aspetti, dolorosa, ma non è fatta solo di criminalità e disoccupazione: esistono anche valori e modi di vivere, di sentire che raramente trovano spazio nel nostro sistema d’informazione.
Questo libro mira dunque a diffondere l’idea di un altro Meridione, contrastando quella diffusa dai mass media. I protagonisti sono uomini e donne segnati dalla caducità della propria esistenza, “vinti” sul piano economico ma vincitori su quello del coraggio e della forza morale. Si tratta di personaggi che credono ancora nei valori della solidarietà, della partecipazione al dolore altrui, del soccorso da prestare a chi più ne ha bisogno, sia esso spirituale o materiale.
4 – In gioco ci sono molte emozioni, dalla paura, all’ansia, al dolore fino all’odio. Il protagonista prova anche tanta rabbia verso se stesso e un profondo senso di colpa. Il flusso di coscienza è ipnotico, una scrittura che nasce dall’inconscio e che va a toccare e a denudare le corde dell’anima. Qual è il senso ultimo di tale rappresentazione e il messaggio che i lettori dovrebbero cogliere?
Il libro è denso di emozioni probabilmente perché dietro ogni singola parola c’è un poeta, uno degli scrittori che ho amato nella mia vita, da Pirandello ad Allen Ginsberg, da Mark Twain a Giovanni Verga, da Fabrizio De Andrè a Grazia Deledda. Loro mi hanno dato tanto, tantissimo, hanno rappresentato una fonte inesauribile di speranze e sogni e ho voluto rendergli omaggio attraverso la mia umile opera.
Ovviamente, il riferimento più evidente, oltre alle “Novelle per un anno” e a “Uno, nessuno e centomila”, è “Il fu Mattia Pascal”: in quest’uomo separato dalla vita, dal paese, dalla famiglia, da se stesso, in quest’uomo che non vive che di distacchi, è stato facile identificarmi, così come credo lo sia per tutti i meridionali (giovani e non) che fanno su e giù per l’Italia e per il mondo.
Pirandello ha saputo descrivere magistralmente la crisi dell’idea di identità e di persona in atto nella realtà contemporanea: lo ha fatto così bene che ancora oggi ci risulta semplice immedesimarci con i suoi personaggi. Ci sentiamo schiacciati da una società di massa che ci ha ridotti a suoi meri ingranaggi: da qui la nostra debolezza, il nostro senso di smarrimento nel constatare che non siamo nessuno, non consistiamo più in un’identità. È esattamente quello che prova il protagonista del mio libro, Damiano Pellegrino, il quale, non tollerando più la sua condizione di “forestiere della vita”, sceglie di tornare a immergersi nel flusso vitale, comprendendo che l’unico modo di fronteggiare la sua impotenza di comune mortale è trovare il coraggio di “accontentarsi” della bellezza che lo circonda.
5 – La Madre Terra. Il protagonista sostiene che apparteniamo alla terra e ad essa apparterremo sempre. La terra lenisce e guarisce. Quanto conta la compenetrazione, l’empatia, il riconoscersi negli altri anche dopo tanto tempo per risollevarsi dal senso di colpa e quanto invece conta il proprio io?
Il riconoscersi negli altri per risollevarsi dal senso di colpa è fondamentale per Damiano, in quanto rappresenta un modo di conciliare il proprio io ribelle e oltremodo sensibile con un mondo che, troppo spesso, lo ha condannato ed emarginato.
Il vuoto attribuito alle giovani generazioni è spesso il frutto delle condizioni storico-sociali ereditate dai loro padri. Se per un attimo, dunque, provassimo ad invertire il discorso generazionale, potremmo concluderne che – come cantava Emilio Praga – sono i padri ad essere ammalati e non i figli. Nella ricerca di un “altrove”, questi ultimi dimostrano un bisogno di estasi, di un qualcosa di infinitamente più profondo della realtà consumistica nella quale si sono trovati a nascere. E se questo bisogno si manifesta come necessità di dimenticare un mondo che si rifiuta, allora è necessario smetterla di condannarli.
Ad una società nella quale, avendo perduto ogni senso di comunità, ognuno si considera estraneo al destino degli altri, ad un sistema dittatoriale “morbido”, che degrada pian piano gli uomini senza torture eclatanti, è necessario opporre l’umanità nella sua essenza più vera, primitiva, selvaggia, naturale e non artificiale, costruita, robotica.
6 – Lo stile, oltre che poetico, è malinconico e incarna i colori del tramonto, colori autunnali. La notte ha un ruolo fondamentale, perché incarna i pensieri più intimi e dolenti del protagonista. Qual è il valore del buio e quello della luce nel suo romanzo?
Il valore del buio e della luce nel mio romanzo sta tutto in questi versi del poeta americano Walt Whitman:
“Hai sognato a lungo spregevoli sogni,
ora ti lavo il fango dagli occhi,
ti devi abituare al fulgore della luce, e di ogni momento della tua
vita”.
7 – Il senso della famiglia è molto forte. Damiano torna nel Salento per trovare la serenità e la pace. Ricorda con affetto il padre, un uomo buono, al contrario di se stesso che è stato sempre una testa calda, un ragazzino svogliato che ha vissuto senza legami e senza dignità. Forse è proprio lui a prendersi troppo seriamente. Quanto conta sorridere nella vita, aprirsi agli altri per sopravvivere?
La chiave di lettura del libro è la misericordia verso se stessi e verso gli altri. Infatti, se della società e degli uomini s’impara ad accettare vizi e virtù, allora diventa più facile guardarsi con occhi compassionevoli, capire di essere parte di un’umanità imperfetta ma capace pure di misericordia infinita, di una misericordia in grado di vanificare perfino i più gravi rimorsi.
8 – C’è una frase che mi ha subito colpito: “Bere il sangue della terra”. Ci spieghi cosa significa.
Il significato per il protagonista è quello di uscire dal suo isolamento, unendosi agli altri e bevendo assieme a loro del vino, “sangue della terra”. Ovviamente vi è un chiaro riferimento evangelico: pur non essendo cattolica, la figura di Cristo mi ha sempre affascinata e l’uso di certe espressioni cristiane è fortemente legato alla mia infanzia.
9 – Quali sono i suoi progetti letterari futuri?
Ho scritto un secondo romanzo, ambientato a Lecce, per il quale ho ricevuto una proposta editoriale che spero si tramuti presto in realtà. Protagonista è un uomo di trent’anni diviso tra due mondi: quello arcaico-rurale ancora esistente in alcune zone del Salento e quello capitalistico e industriale dell’era contemporanea.
10 – Le lascio questo spazio in bianco. Scelga cosa dire ai lettori.
Un sentito grazie a tutti coloro che hanno letto e leggeranno questa mia umile opera.
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