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lunedì 26 gennaio 2015

Anime inquinate di Rita Volponi Recensione

Buon pomeriggio, oggi è tempo di pubblicare la recensione di un romanzo che appartiene al genere thriller psicologico, pubblicato da Rita Volponi, ed intitolato Anime inquinate. La storia è molto intrigante, scritta in modo scorrevole e piena di colpi di scena. Non solo leggerete un giallo a tutti gli effetti, ma entrerete nel mondo delirante della follia e del potere devastante della mente.

Non dimenticate di farmi sapere cosa ne pensate!



Titolo: Anime Inquinate
Autore: Rita Volponi
Editore: Viola Editrice
Pubblicazione: Novembre 2013
Genere: Thriller psicologico
Pagine: 138
Prezzo: 8,50
Ibs
Trama 

Thriller psicologico che narra le vicende di una giovane donna, Elisa, intrappolata in una situazione completamente ingestibile in cui, per salvare se stessa, si trincera dietro ad altre due personalità più forti di lei, Lisa ed Elis, che agiscono per lei nei momenti di défaillances, dando vita ad uno scioccante sdoppiamento di personalità. Elisa aveva una personalità multipla. In una situazione così ci può essere spazio per l'amore nelle sue infinite sfumature? Può l'amore aiutare persone che non l'hanno mai conosciuto o che lo hanno sempre rifiutato preferendo la strada della violenza, della sopraffazione e dell'egoismo? Fortunatamente sulla strada della sua vita Elisa incontra Leonardo...

Biografia

Laureata in Giurisprudenza svolge l’attività lavorativa presso una pubblica amministrazione. Sposata con un figlio ha diversi hobbies tra i quali l’amore per gli animali e la poesia. Diverse poesie sono state pubblicate nel corso degli ultimi anni, sulle Antologie “Verrà il mattino ed avrà un tuo verso”, mentre è alla prima esperienza editoriale nella Sezione dei Romanzi. Con il romanzo “Anime inquinate" si è classificata seconda al Concorso nazionale letterario “Gocce d’inchiostro 2013” della Viola editrice.



Anime inquinate è un thriller psicologico che non lascia scampo ad ulteriori fraintendimenti. Fin dalle prime pagine mette le cose bene in chiaro. Il prologo è eccezionalmente brutale. E’ come se la protagonista, di nome Elisa, mettesse immediatamente le mani davanti, quasi a volerci dire che quella che leggeremo non sarà una bella storia, quindi “arrangiatevi”. 

Ha 17 anni, un’infanzia particolare alle spalle, una madre assente ed un padre tossico. Ma lei ama la scuola, lei è un’intelligenza sprecata. Due notizie sulla sua vita e poi di colpo appare sulla scena Signora Morte con tutto il suo seguito fatto di sangue e degenerazione. Elisa trova il cadavere della madre in una pozza di sangue ed il padre vittima di overdose. La giovane viene subito incriminata per entrambi i fatti perché era l’unica presente in casa ma lei si difende dicendo che dormiva. Durante il primo interrogatorio, appare abbastanza tranquilla, eppure le è appena morta la madre, così sin da subito emerge un dichiarato distacco emotivo sia nei confronti dell’accaduto, sia dell’arresto. Non si è ancora resa conto dell’omicidio? Immediatamente l’autrice ci immerge in un clima a dir poco surreale, nel quale qualcosa non torna, c’è poco da fare. 

Elisa sa di non aver ucciso la madre ma a noi qualche dubbio ci viene fino a quando assistendo al primo colpo di scena del romanzo, conosciamo Lisa, la doppia personalità con la quale la giovane si difende quando si sente messa alle strette. 


“Cara signorina Elisa, lei lo dice a sua sorella. Tanto per puntualizzare io mi chiamo Lisa e basta, e lei, cara signora, è una cretina che crede di sapere tutto e invece non sa proprio niente.” 

Questo eclatante scoppio di sincerità costerà cara la pelle alla nostra Elisa/Lisa, perché senza pensarci due volte, verrà immediatamente spedita in un ospedale psichiatrico, dove di lei si occuperà il professor Carnevali. 

“Le sue condizioni psichiche non le consentono di stare in un normale carcere.”

Elisa è profondamente malata, spezzata, la sua identità è a pezzi. Ha due personalità, l’una completamente indipendente dall’altra. Lisa è l’anima oscura, la metà marcia della mela, colei che nell’oscurità non brilla, drogata ed alcolizzata proprio come il padre. 
Rita Volponi crea una protagonista molto controversa, nella quale convive sia il concetto di vittima che di carnefice, almeno fino a questo momento. Crea molta suggestione il modo in cui l’autrice decide di far entrare in gioco le due personalità, quasi come fossero due persone realmente diverse. Entrambe riescono ad assumere completamente il controllo, in modo alternato, senza che nessuna delle due abbia memoria di ciò che ha detto o fatto l’altra. Si considerano sorelle e agiscono senza interferire tra di loro. Quando Lisa sta per prendere il sopravvento, Elisa sente freddo. 
Le sue incursioni spaventano non poco perché evidenziano una personalità che non è soltanto ribelle ma è completamente borderline. Ciò che ci troviamo davanti è un mostro di insensibilità e violenza, perché mentre Elisa piange e si nasconde, Lisa aggredisce chiunque. 

La tematica della malattia mentale è provocatoriamente interessante ed inserirla in un contesto romanzato comporta i suoi rischi. Rita Volponi dimostra di conoscere bene l’argomento ma soprattutto non teme di avventurarsi in un terreno così arduo e pieno di buche, che riesce ad evitare, nonostante la pericolosità latente. Il suo stile è preciso, determinato, senza sbalzi di tono o sbavature. Spesso è lo stesso linguaggio assimilabile a quello di un’indagine, perché anche e soprattutto di questo si tratta. 
Chi ha ucciso la madre di Elisa ed ha ridotto il padre in coma? Quanto siamo sicuri che sia Lisa a controllare Elisa e non viceversa? Chi è la più forte delle due? Il passato è un’arma a doppio taglio che non smetterà mai di perseguitarti, ferendoti all’infinito. E quando ti porti dentro un peso simile, tutto diventa confuso a tal punto che anche la verità e la follia perdono i loro premurosi e rassicuranti confini. 

I thriller psicologici sono molto più cupi perché uno spazio eccezionalmente importante lo ricopre proprio la mente e davanti al suo mistero, lo sappiamo, tutto può crollare. 
Quando ho iniziato a leggere il romanzo, mi sono chiesta per quale motivo l’autrice abbia scelto di ambientarlo in un contesto simile, tirando in ballo una malattia così profonda che come ogni follia riguarda la frattura dell’anima. Procedere senza paura, inabissandosi in un mondo così perverso, macabro, malato, dove gli istinti sono l’unica ragione di vita per un essere devastato, è apprezzabile ma è soprattutto da ammirare. Togliersi la maschera di luce che ciascuno di noi indossa per vivere la propria quotidianità, il proprio lavoro, la propria famiglia per schiacciarsi addosso quella maschera tanto terribile quanto incontrollabile, fatta di follia delirante, che ti trascina in un baratro senza speranza. 
Una follia che diventa il Male, anche se non lo cerchi, anche se non lo vuoi, eppure lo sei. Rita Volponi non ha scelto un tema facile, è un’autrice che dimostra sensibilità perché per dare voce a certi dolori, a talune perversioni, sconosciute e terrificanti ossessioni, bisogna prima di tutto saper “sentire” e possedere l’arte di saper raccontare. Altrimenti diventa tutto banale, superficiale, diventa una storia che non coinvolge e invece mentre leggiamo ci troviamo dentro una storia che ha il sapore terrificante della possibilità, della realtà, di ciò che può accadere, anche adesso, anche qui, anche a te. 

I colpi di scena non mancano, coinvolgendo il lettore in una travagliata ricerca della verità. Eppure ogni volta che facciamo un passo avanti, in realtà ne abbiamo fatto due indietro. All’autrice piace giocare con noi e a noi piace entrare in quel labirinto perfetto che lei ha creato per noi, per farci perdere e poi forse ritrovare solo quando sarà lei a deciderlo. 

Le scene sono descritte in modo asciutto e paurosamente crudo. Non c’è alcuna forma di pietà nella scelleratezza di certe situazioni, di perdono per l’inammissibilità di certi comportamenti. Come una telecamera che riprende dall’alto, senza perdersi nemmeno un particolare, così la scrittura della Volponi diventa lo specchio di una impronunciabile malvagità. Forse penserete che la peggiore sia Elisa con la sua follia, fino a quando non incontrerete Andrea, una bestia affamata di crudeltà. Un essere che stupra, che uccide, che profana la sacralità della vita senza una sola ragione valida. 


“Non meritavo un caso così complicato. Risolverlo sembra quasi un labirinto, ogni volta pensi di aver imboccato la strada giusta ma quando la percorri, ti accorgi che porta verso un altro bivio.” 

La storia è spietata. Morti violente, accoltellamenti, abusi e violenze, droga e alcool, ossa rotte e vite bruciate. In quale terrificante universo siamo stati catapultati? La morbosità e lo squallore di certe scene, discorsi, atteggiamenti, potranno davvero farvi storcere il naso, ma questo è un romanzo capace di affondare le mani nella miseria umana più devastata e devastante, davanti alla quale vi consiglio di non fuggire, perché ve ne pentirete. 

Andrea è la bestia disumana che sputa furia e ferocia. 


“Con un balzo felino si mise in piedi e rimase impietrito di fronte allo spettacolo che gli appariva impietoso e minaccioso. Nessun pensiero di dolore, rimorso o rimpianto balenò nella sua mente ma solo il fastidio di dover ripulire lo sporco circostante.” 

La malattia mentale è la protagonista, è un fantasma, un’ombra che inganna e che rende colpevoli gli innocenti ed innocenti i colpevoli in una giostra assassina in cui il sangue diventa l’amuleto sacro, perverso e macabro, alla vista del quale, dalla profonda gola infernale, risale la più efferata delle bestie, dissociandola da ogni legame umano e reale. 

“Dopo averlo messo al mondo, lo aveva trasformato in una bestia immonda.”

I protagonisti sono anime distrutte, spezzate, anime inquiete ed inquinate. Rita Volponi crea un thriller crudele, visivamente presente, eclatante dal punto di vista delle scene, intessendo una storia di quelle sporche, dove i personaggi si svendono e vendono tutto per un attimo di follia. Un romanzo a tratti raccapricciante che forse qualcuno non vorrà leggere perché non è semplice andare oltre l’impatto figurativo, straniante ed estenuante che certi accadimenti ti lasciano addosso. 
Quell’ansia di percepire che tutto sia follia, tutto sia terribile, tutto stia andando nel modo sbagliato. L’autrice è brava a raccontare un disagio mentale trasformandolo nella più ossessiva interpretazione del reale. 
Andrea diventa la trasfigurazione di Elisa. Entrambi dissociati, entrambi distrutti da esperienze che li hanno devastati, sono il prodotto di una storia che grida e squarcia il silenzio. 

Al di là del linguaggio spesso dettagliatamente tecnico, che riesce a conferire maggiore spessore e sostanza alla storia, ciò che emerge, imponendosi su tutto il resto, è la consapevolezza che l’autrice sia andata oltre qualsiasi scudo protettivo, di aver scavato non solo a fondo dell’animo umano, ma di essere arrivata proprio alla radice, per raccogliere e stringere tra le mani tutto quel marcio, tutto ciò che è stato sotterrato dalla violenza e dall’odio. Tutto quel male indistinto e senza nome, sporco, inquinato, sbagliato, l’autrice lo porta coraggiosamente alla luce, e ancora con le mani sporche, ce lo porge. Così com’è, senza alcun trucco, senza nessuna messinscena. Senza vergogna, gli dà la sua voce e lo lascia parlare. In quanti sapranno ascoltarlo senza scappare?



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