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lunedì 27 novembre 2017

✎ Recensione ➱ La danza infelice di Alessandra Pepino

Buon lunedì, cari lettori! Ritorno al thriller e vi racconto la mia seconda esperienza con un romanzo scritto dall'autrice napoletana Alessandra Pepino. Dopo aver letto Il ladro di ricordi, da cui ero rimasta affascinata, ho finito anche la lettura dell'ultimo romanzo, La danza infelice, che conclude la serie dedicata al commissario Jacopo Guerra che in questo libro si muove in un'atmosfera deliziosamente inquietante tra vivi e morti... nella conturbante Napoli. Grazie all'autrice e alla casa editrice per la fiducia.

la danza infelice
di Alessandra Pepino

Editore: Atmosphere Libri 
Pagine: 350
GENERE: Thriller
Prezzo: 17,00 € 
Formato: Cartaceo 
Data d'uscita: Novembre 2017
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Trama:
È una gelida mattina di gennaio quella in cui il cadavere di Leonardo Mancini, allenatore di una piccola squadra di calcio, viene rinvenuto orrendamente mutilato all’interno di una palestra incassata tra i vicoli bui di Napoli. Pochi giorni più tardi, la macabra scoperta: le dita della vittima vengono ritrovate all’interno dell’antico Cimitero della Fontanelle. In quelle stesse ore, si scopre che le mura di una casa abitata da un’anziana ossessionata dalla religione celano un terribile segreto. Per l’ispettore Jacopo Guerra e i suoi colleghi inizierà il conto alla rovescia per tentare di risolvere un rompicapo in cui il mondo dei vivi sembra costantemente confondersi con quello dei morti, e scoprire chi e perché possa essersi spinto fino al punto di violare uno dei principali luoghi di culto della città. Una lotta contro il tempo, al termine della quale nessuno di loro potrà più dirsi lo stesso.

RECENSIONE

La danza infelice è il secondo romanzo che leggo di Alessandra Pepino, una storia che si riallaccia per la presenza di alcuni personaggi al romanzo precedente, avendo lo stesso protagonista, ossia l’ispettore Jacopo Guerra e la medesima città che fa da sfondo: Napoli. E conclude la trilogia che riguarda proprio una serie di omicidi iniziati in Cattivi presagi. 

Ciò che ancora una volta mi ha colpito, è lo stile di questa autrice sempre impeccabile, pieno di termini non usuali ma ben collocati all’interno del sistema narrativo che arricchiscono in modo prezioso la trama. Un altro aspetto che adoro dei suoi libri sono le atmosfere che riesce a creare, ovviamente c’è la mia Napoli che viene però descritta in modo così sottile, profondo, intenso tanto da bruciare.
Dicono che gli hanno strappato via tutte le dita. Qualcuno dice che non teneva più manco gli occhi. Un mostro, soltanto un mostro può fare una cosa del genere.
Mentre ti muovi tra le strade, i vicoli, i cimiteri di Napoli, insieme ai personaggi, Jacopo, Valeria, Antonio, Costanza, ti sembra di respirare i fumi della città, le sue glorie e le sue ceneri.
Ancora una volta è stata fortissima la presenza dei vivi e dei morti in questo romanzo che chiede proprio aiuto all’invisibile per suggestionare il lettore e condurlo all’interno della storia.

La morte di un uomo amato ed odiato al contempo, Leonardo Mancini, allenatore e marito in bilico di una famiglia a pezzi, padre di una bambina di nome Gioia e in combutta con la moglie Elena, è il punto focale della trama, dal quale si dipanano tutte le varie traiettorie che portano avanti e poi indietro, su e poi giù, coinvolgendo, come sempre, tanti personaggi, tutti estremamente caratteristici e rappresentanti eccellenti di una cultura napoletana.

Gli indizi sono pochi soprattutto quando essi cominciano a scontrarsi uno contro l’altro e a rendere molte cose contraddittorie. Il fantasma di un amore omosessuale oscura la figura di Mancini ma è soprattutto la moglie Elena che sembra inquietare non poco l’istinto battagliero del commissario Guerra.
C’era un’ombra che la seguiva, di cui riusciva a malapena a cogliere il fruscio.
Lo ritroviamo solido, tenace, ma anche molto “passionale” nel senso di intenso, coinvolgente, è un uomo che spesso si lascia prendere la mano e che anche questa volta sarà messo a dura prova e dovrà fare appello a tutta la fortuna per non finire davvero nei guai.
La morte è una presenza magica, surreale, mai come a Napoli essa è quasi accettata come inevitabile, quasi, mi arrischio a dire, benvenuta, perché i napoletani ci convivono con la morte e hanno imparato ad accettarla, in qualche modo.
Ma più che la morte, ciò che inquieta sono proprio i morti soprattutto quando le dita mozzate del cadavere di Mancini vengono ritrovate dai turisti nel cimitero delle Fontanelle.

L’autrice ancora una volta scrive una storia che cattura, che sussurra più che parlare. Una di quelle storie che puoi leggere solo immerso nel silenzio, mentre tutto il mondo tace, e tu ti lasci catturare dai fantasmi di carta e d’inchiostro che ti chiedono di ascoltare.
Nel libro precedente c'era qualcosa di più crudo, diretto, duro, impenetrabile quasi. Una sorta di consapevolezza così inattaccabile da far apparire qualsiasi tentativo di miglioramento, assolutamente inutile. Il male era pulsante, esaltante, evidente più di qualsiasi suo opposto. Qui, invece, ho notato una musica di sottofondo meno opprimente, qualcosa di meno evidente, qualcosa capace di strisciare, lento e calmo, fino ad insinuarsi nelle crepe più impensabili. Meno eclatante ma altrettanto fatale per chiunque.
La Sanità. Il luogo ideale per raccogliere i morti.
Un titolo, La danza infelice, che conclude una serie dove la suspense è costruita con cura e il mistero aleggia indisturbato dall’inizio alla fine.
Ma non pensate a qualcosa di trascendentale, lo stile di Alessandra Pepino è concreto, d’impatto, estremamente terreno e così lo sono i suoi personaggi.
Gente che riesci a sentire e a vedere come se ce li avessi accanto. I sapori, gli odori di quei luoghi che diventano pragmatici, presenti, vividi, pronti nella loro consistenza.

Si parla di Napoli, dei suoi quartieri, dei suoi dolori e delle sue meraviglie, com’è giusto che sia. La danza infelice ne racconta l’immagine più interiore, chiusa, sinistra, un’immagine silenziosa, che non ha bisogno di urlare per imporsi, di sangue per attirare, gli basta sussurrare il senso di mistero che spontaneamente aleggia nella città per incantare. 

Perché sono i luoghi stessi che danno spazio alla penna di Alessandra di affondare, scavare, trovare e portare alla luce, una storia ancora una volta bella e accattivante. Un giallo che non è come gli ultimi che amano propinarci, pieno di sangue, di omicidi, di esagerazioni varie. Napoli è un luogo sacro, un inno alla vita ed un inchino alla morte. E come tale va rispettato. Senza clamori, senza bagliori, l’autrice ne parla con devozione, ecco perché le sue storie sono diverse, e soprattutto più vere.

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