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martedì 10 maggio 2016

Introspezioni di Giuseppe Calendi Recensione

Buongiorno cari lettori! Oggi vi parlo di una breve raccolta di racconti intitolata Introspezioni, scritta da Giuseppe Calendi. Scene di vita quotidiana si mescolano a momenti di follia e visioni allucinatorie tra horror e sconcerto, dove nulla è come sembra e anche ciò che sembra più irreale nasconde riferimenti alla realtà...



Titolo: Introspezioni
Autore: Giuseppe Calendi
Editore: Selfpublishing
Pagine: 74
Genere: Racconti
Prezzo: 0,99
Uscita: 2016

TRAMA


'Introspezioni', piccoli viaggi dentro la mente di personaggi che si alternano in varie storie, nella condivisione di emozioni e stati d'animo che caratterizzano situazioni diverse. Una classe turbolenta in una scuola grottesca, una fiaba thriller, un convegno scientifico e altri contesti che possono, in egual misura, rappresentare e racchiudere in sé gli aspetti di una genuina quotidianità.


















La raccolta Introspezioni di Giuseppe Calendi è un insieme di racconti che sono scritti con ironia e grande capacità espositiva nell’andare a cogliere i lati più inquietanti e paradossali della nostra realtà, creando un mix, talvolta davvero esplosivo, di concetti e di esposizioni che travalicano il senso comune per andare più a fondo e scarnificare ciò che si nasconde dietro al quotidiano. 
Ho apprezzato subito le citazioni di vari ed autorevoli autori poste all’inizio di ogni storia. Un veloce e sintetico approccio esplicativo, provato e per certi versi anche disarmante, di ciò che si racconta nella prosa seguente, orchestrando in maniera sottile ma anche aggressivamente palpitante, il nocciolo della questione, di volta in volta, incentrato su un aspetto particolare della vita. 
Una classe di ragazzi alle prese con strani professori che parlano attraverso citazioni e che si contrappongono l’uno all’altro in una lotta senza fine che pone l’attenzione, seppure sbilenca e apparentemente disequilibrata, sulla cultura, la scuola, la familiarità di alcuni concetti universalmente accettati.  
Paradossi e prese per i fondelli sottili e sconcertanti, visioni oscure e sognanti, personaggi accattivanti amanti del buio e delle situazioni indicibili, racconti tipicamente horror dove l’inquietudine e il timore salgono alle stelle senza risparmiare nulla. 
Le descrizioni incentrate sull’aspetto più orribile delle storie narrate sono rese alla perfezione. C’è una costante e silenziosa presenza del male che si avvicenda in maniera contrastante e diversa ogni volta, assurgendo ad un ruolo assolutamente centrale senza essere mai riconosciuto come effettivo protagonista. 
L’autore scrive in modo fluido e scorrevole, dimostra una grande conoscenza di determinati aspetti che insinua in modo vincente ed avvincente nei propri racconti, dimostrando di maneggiare con attenzione e capacità anche stili di scrittura differenti e soprattutto generi narrativi molto lontani gli uni dagli altri. 
Come dimostra il protagonista del racconto intitolato Il custode, l’autore è evidentemente un amante del mistero e di quel pizzico di follia che è sempre così vicino alla paura, all’istinto più naturale dell’uomo e senza il quale non ci sarebbe sopravvivenza.
Si assopì steso su letto, della sua camera, dopo essersi detto che, comunque quell’intricata situazione lo affascinava: era un amante del brivido, il mistero lo attraeva. 
Ogni vicenda narrata sembra avere dei risvolti reali e rendere la lettura più piacevole proprio per lo stile che continuamente cambia, per i cambi di registro e per la preparazione che si cela dietro. 
La carrozza dei dannati è l’esempio più fulgido dell’orrido e della manipolazione dell’aspetto più visionario della realtà trasformandolo in un incubo fatto di carne e sangue. Dannati senza via di scampo che mettono in luce una concezione che traspare in modo lampante attraverso la scrittura e che mi ha ricordato la cattiveria cosmica che ritroviamo nelle storie di H.P. Lovecraft. Come il maestro dell’horror ci insegna c’è solo orrore e paura, caos e perdizione, un movimento inarrestabile che tende alla distruzione e alla follia. Gli Dei di Lovecraft sono folli e senza scopo, ed è questa la sensazione che ho percepito attraverso questo racconto di CalendiUna visione negativa assoluta senza alcuna speranza, un avanzare solido e ripugnante verso la sconfitta e l’annientamento. Una narrazione surreale, cattiva e terribile come una parata da circo maledetto.
Se vuoi qualcosa che non hai mai avuto, devi fare qualcosa che non hai mai fatto. 
Non mancano racconti incentrati sullo sport, il ciclismo, l’evoluzionismo, tutti aspetti che sicuramente hanno in comune la passione dell’autore. 
La bandana è forse il racconto più fuori dagli schemi, pazzo e allucinatorio. Un racconto “bastardo”, che piega fino a spezzare. Una storia di violenza omicida, di follia allo stato puro e senza motivazione. Dolore e sangue, come una macchina assassina che viaggia e travolge senza scopo e senza motivo. 
L’ultimo racconto, Il dio dell’inverno, presenta un uomo al di fuori del comune, una storia paradossale ma affascinante sin dal titolo. Breve e sintetica ma accattivante.
Non è del posto, non lo ha mai visto prima e gli sembra inverosimile che possa esistere un personaggio così, un individuo talmente originale da risultare quasi un’allucinazione. 
E dunque tra conferenze scientifiche, personaggi strambi ed inquietanti, situazioni al limite della realtà, l’autore raccoglie squarci di realtà e di quotidianità donandogli l’aurea dell’immaginazione. Dietro ogni storia c’è qualcosa di vero, bello o brutto, piacevole o spiacevole ma che colpisce nel segno. Porta il lettore, volente o nolente, attraverso una forma di riflessione, un soffermarsi forzato o istintivo davanti a quelle situazioni che ti accorgi fin troppo presto, fanno parte della tua vita, così come al tuo fianco anche se lontano, ci sono quei personaggi, che seppur nei racconti siano un po’ truccati dalla fantasia, non puoi non riconoscerli. 


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