Buongiorno! Grazie alla collaborazione con la casa editrice Carocci, oggi vi parlo di un testo di grande interesse sociologico che riguarda tutti: Il tramonto della realtà di Vanni Codeluppi.
Il tramonto della realtÀ di Vanni Codeluppi Editore: Carocci Pagine: 123 GENERE: Dark Romance Prezzo: 7,99€ - 12,00€ Formato: eBook - Cartaceo Data d'uscita: 2018 LINK D'ACQUISTO: ❤︎ VOTO: 🌟🌟🌟🌟🌟
Trama:
Se ci guardiamo intorno, in qualsiasi città del mondo, ovunque vediamo persone con la testa bassa rivolta allo schermo di uno smartphone. Tuttavia abbiamo una scarsa consapevolezza dei cambiamenti che i media possono indurre nei nostri modi di pensare e di vivere la realtà. I media contemporanei, in particolare, devono gran parte del loro successo alla capacità di confezionare un mondo più piacevole e attraente di quello reale, privo di difetti e problemi. Per quanto tempo la realtà avrà ancora un senso per noi? Avremo ancora la necessità di vivere direttamente le nostre esperienze? Il libro descrive il ruolo sempre più invasivo dei media nella società contemporanea e il processo di progressiva fusione tra media e corpo umano, per farci riflettere sulle conseguenze di tali fenomeni per la nostra vita quotidiana.
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RECENSIONE
Vanni Codeluppi, in Il tramonto della realtà, non si limita a descrivere un fenomeno, ma lo disseziona con la precisione di un chirurgo e l’occhio critico di un antropologo che osserva una tribù di selvaggi ossessionati dalle loro effigi digitali. E, diciamocelo, noi moderni abitanti del villaggio globale, così orgogliosi della nostra tecnologia, non siamo poi tanto diversi.
Cosa significa tramonto? Beh, la capacità dei media digitali e non, di confezionare una realtà molto più piacevole e convincente di quella vera. Un mondo privo di difetti e di problemi che, con l’avvento dei cellulari, delle app e dei filtri e manipolazioni varie, non ha fatto altro che risucchiarci in una dimensione sempre più distante da quella vera, che ci ingloba quotidianamente senza che ce ne accorgiamo.
Prendiamo, ad esempio, il concetto di identità, che nel mondo pre-digitale era un intricato insieme di esperienze, relazioni e valori. Oggi, Vanni Codeluppi ci suggerisce, l'identità si è ridotta a un mix di filtri Instagram e selfie in pose plastiche, tanto più convincenti quanto più irreali. Chi non ha mai provato l’ebbrezza di ritoccare una foto fino a farla assomigliare a una versione idealizzata di sé? È qui che si diverte: con un tocco di sarcasmo, potrebbe farci notare come siamo passati dal “Conosci te stesso” dell’oracolo di Delfi al “Migliora te stesso” di Photoshop.
Un’evoluzione, certo, ma di che tipo?
Ci mette di fronte a un dilemma esistenziale moderno: se tutto ciò che vediamo è costruito, se ogni immagine è un'illusione, come possiamo ancora fidarci dei nostri sensi? Ma non preoccupatevi, suggerisce l'autore con un sorrisetto sardonico: la realtà non è più un nostro problema. Abbiamo, dopo tutto, Netflix e il metaverso per creare realtà su misura, pronte per essere vissute senza neanche dover uscire di casa.
Immagina questa scena: ti siedi sul divano, smartphone in mano, e ti senti parte di qualcosa di grande, di globale. Forse stai guardando l'ultima puntata della tua serie preferita su Netflix, o stai twittando furiosamente durante un evento sportivo in diretta. Ti senti connesso, no? Come se fossi circondato da una folla di amici, tutti sintonizzati sulle stesse emozioni. Ma, ahimè, è solo un’illusione, un incantesimo dei media che ci fanno credere di essere membri di una vasta comunità, mentre in realtà siamo ciascuno prigioniero del proprio piccolo universo privato.
Non siamo davvero insieme, non più di quanto lo sia una collezione di isole deserte sparse nell’oceano. Siamo soli, ma ci piace credere di essere parte di una "comunità immaginata", come quelle descritte da Benedict Anderson. È come se partecipassimo tutti a una gigantesca recita, dove ci convinciamo di essere collegati agli altri semplicemente perché stiamo ricevendo gli stessi input digitali.
Prendiamo la televisione e la radio: sono loro le maestre del gioco, quelle che ci hanno insegnato a sentirci parte di qualcosa di più grande. Basta sintonizzarsi sullo stesso canale, e voilà, ecco che ci trasformiamo in membri di una vasta folla invisibile. Che bel trucco! Solo che, quando il programma finisce, ci ritroviamo soli nel nostro salotto, con l'eco del silenzio che rimbomba nelle orecchie. Ma non disperiamo: abbiamo sempre Internet, che continua l'opera di magia. Qui, nelle vetrine digitali dei social network, ci mostriamo a una platea immaginaria, convinti che ci stiano tutti guardando e ascoltando. Ma chi sono questi "amici" che ci seguono? Nella maggior parte dei casi, perfetti sconosciuti con cui non scambieremmo una parola se li incontrassimo per strada. Però, che importa? L'importante è sentirsi al centro dell'attenzione, anche se l'attenzione è fittizia quanto un ologramma.
E poi c’è la grande promessa dei social media: l'immortalità virtuale. La nostra identità, altrimenti così fragile e soggetta al passare del tempo, viene qui immortalata in post e foto, consegnata a un’eternità digitale. Ma, ecco il colpo di scena, cosa ci chiedono in cambio questi luoghi di culto moderni come Facebook e Instagram? Trasparenza. Devi aprire le porte della tua vita, lasciar entrare chiunque e tutto. Sii fiducioso, sii trasparente, dicono. Ma trasparente per chi? E per cosa? È un po’ come vivere in una casa di vetro, convinti che più ci esponiamo, più siamo al sicuro. Una logica impeccabile, se non fosse per il piccolo dettaglio che l'esposizione continua non crea legami reali, ma solo connessioni evanescenti, fragili come bolle di sapone.
L’autore ci ricorda che la trasparenza, una volta considerata una virtù illuministica, è diventata oggi una sorta di ossessione sociale. Siamo tutti così concentrati a renderci visibili, a illuminarci a vicenda, che abbiamo dimenticato una piccola verità: la vera comunità, quella fatta di supporto reciproco e legami autentici, non si costruisce con like e follower, ma con gesti reali. E, sorpresa sorpresa, quando arriva il momento del bisogno, quella rete sociale tanto ostentata si dissolve in un istante, lasciandoci di nuovo soli, circondati solo da "fantasmi digitali".
Quindi, mentre ci esponiamo al grande occhio del web, sentiamoci pure rassicurati dalla nostra illusione di connessione, ma ricordiamo che, alla fine della giornata, la realtà è sempre un po' più solitaria di quanto i nostri feed vogliano farci credere. E magari, dopo aver postato l'ennesima foto perfetta, spegniamo lo schermo e torniamo a guardare fuori dalla finestra: potremmo riscoprire che il mondo reale, pur con tutte le sue imperfezioni, ha ancora qualcosa di genuino da offrire.
Il libro, lungi dall’offrirci una via d’uscita da questo labirinto di simulacri, sembra piuttosto invitarci a goderci il tramonto della realtà come si gode un bel film. La realtà è sbiadita, certo, ma non c’è motivo di disperarsi: in fondo, chi non ama un bel tramonto? Anche se è solo una proiezione su uno schermo.
L’autore ci consegna un ritratto impietoso ma irresistibile della nostra epoca, in cui la realtà, un tempo solida e affidabile, è diventata un concetto malleabile, plasmato dalle mani di chi sa come manipolare immagini e narrazioni. E mentre ci perdiamo in questo mondo di illusioni, non possiamo fare a meno di sorridere, forse amaramente, riconoscendoci in questo gioco di specchi. Ma, come suggerirebbe l’autore, almeno siamo tutti belli riflessi.
Il cervello umano, un tempo venerato come il culmine dell'evoluzione, oggi è ridotto a una sorta di vecchio PC degli anni '90, lento, rumoroso e con un’insopportabile schermata blu che compare nei momenti meno opportuni. Cosa ci è successo? Siamo passati dall’essere gli innovatori del mondo a essere superati da una serie di app e gadget che, diciamocelo, non si sognano neanche di sbagliare come noi. Ed è proprio qui che sta la beffa.
La nostra vecchia testolina, con tutti i suoi limiti, ha sempre tratto vantaggio da quelle piccole imperfezioni che ci costringono a pensare fuori dagli schemi, a usare l’intuizione e l’immaginazione. Eppure, nel tentativo di stare al passo con le macchine, stiamo facendo di tutto per rinunciare a queste nostre qualità così "arcaiche". Siamo diventati dei diligenti scribacchini digitali, trasferendo la nostra memoria su hard disk e cloud, come se questo potesse liberarci dall’ingombro di dover ricordare.
Ma, attenzione, qui c’è un colpo di scena degno di una commedia dell’assurdo: mentre noi ci affanniamo a delegare tutto ai nostri amati dispositivi, dimentichiamo che la nostra memoria non è solo un registratore passivo. No, la nostra memoria è selettiva, creativa, e rielabora continuamente ciò che ci serve. Invece, eccoci qui, pronti a sacrificare tutto questo sull'altare della tecnologia, rincorrendo il mito della precisione assoluta, come se la nostra umanità fosse un difetto di fabbrica da correggere.
Insomma, in un’epoca in cui i media e la tecnologia sembrano volerci sostituire in tutto e per tutto, siamo noi a dover fare un passo indietro e ricordarci che, a volte, è proprio il nostro essere un po’ maldestri, un po’ imperfetti, a renderci così meravigliosamente umani. Ma non preoccupatevi, almeno ci resta la soddisfazione di sapere che, anche nel nostro declino, siamo in buona compagnia: insieme a noi, sta per tramontare anche la realtà.
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