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lunedì 22 settembre 2014

A bocca chiusa di Stefano Bonazzi recensione

Buonasera cari lettori, ultimamente ho avuto modo di leggere libri che mi hanno davvero colpito. 
Dopo l'ultima recensione molto positiva, relativa ad un libro che ho amato molto, oggi posto la recensione di un'altro libro che davvero ha lasciato il segno. 

Molti di voi ne avranno sicuramente sentito parlare, perchè in giro per i blog e nei vari siti, se ne parla parecchio. 
Mi riferisco al thriller A bocca chiusa, dell'esordiente Stefano Bonazzi. 

La storia è molto particolare, per stomachi forti, carica di emozioni intense e che fanno riflettere. Mi ha lasciato davvero sorpresa e coinvolta.

Non perdiamo altro tempo e leggiamo la recensione! 

Vi aspetto con i commenti!








Titolo: A bocca chiusa 
Autore: Stefano Bonazzi 
Editore: Newton Compton 
Pubblicazione: Marzo 2014 
Genere: Thriller 
Pagine: 287
Prezzo: 9,90



❀ Trama ❀



Una periferia assolata, stretta tra il cemento della tangenziale. Campi aridi e capannoni industriali. Gli eterni pomeriggi di un'estate che sembra non finire mal fatta di noia e di giornate afose. Un bambino deve passare le vacanze a casa con il nonno, mentre la madre parrucchiera e la nonna, che fa le pulizie, stanno tutto il giorno fuori. Ex camionista, costretto in casa per una malattia invalidante, l'anziano è una belva in gabbia e la violenza che cova trova sfogo sul nipote di appena dieci anni. Lasciato per punizione tutti i pomeriggi da solo sul balcone rovente dell'appartamento, il bambino un giorno viene aiutato a fuggire da Luca: un ragazzino del posto, l'amico perfetto che tutti vorrebbero accanto. 




  ❀ recensione ❀


A bocca chiusa racconta una storia che fin dalle prime pagine ti schiaccia sotto il peso di uno stile immediato e crudo, dettagliato e pericolosamente diretto, composto da una certezza quasi maniacale che conduce l’autore alla ricerca di una completezza narrativa, guadagnata attraverso il personaggio principale: un bambino di dieci anni, apparentemente indifeso al cui sguardo non sfugge nulla. 

E poi c’è il nonno, un uomo incontrollabile, che non ha assolutamente nulla della dolcezza e della comprensione dei nonni delle fiabe o anche di una vita considerata normale. 
Il nonno di questa storia è al di fuori di qualsiasi categoria. 
Un uomo descritto come un animale in gabbia, che odia tutti e chiunque e non si fida di nessuno, nemmeno della sua ombra. 

La prima scena davanti ai nostri occhi è quella dell’orco cattivo che picchia la nonna. 
E non è un caso fortuito. E’ piuttosto un leitmotiv inquietante e stridulo che fa da sottofondo all’intero racconto e che se all’inizio, piazzandolo in prima pagina, al primo rigo, funge da schiaffo che ci colpisce in pieno viso proprio quando non ce lo aspettiamo, lentamente momenti come questo passeranno quasi in secondo piano, perché gesti del genere inconsulti e sbagliati, diventeranno la pasta nera e dura di cui è fatto l’odio di cui è impregnato il nonno-orco. 

Immediatamente siamo catapultati nella testa del bambino, di cui, vi avverto, non sapremo mai il nome. 
Il nonno, famelico ed animalesco, “una bestia randagia che non si fida di nessuno”, lo vedremo solo attraverso i suoi occhi. 
Uno sguardo lucido, un’intelligenza acuta, un atteggiamento riservato e tranquillo che gli permetteranno di essere l’unica persona che il nonno riesce a tollerare, almeno fino a quando le carte in tavola non cambiano. 

La descrizione di quest’uomo, grande e grosso, alto quasi due metri, ex camionista e adesso costretto a restare a casa, nel letto, per un problema alla schiena, è tanto accurata da apparire, a volte, persino insopportabile. 
E’ come se l’autore ce lo piantasse continuamente davanti, in tutta la sua brutalità e violenza, fierezza ed arroganza. Un uomo che quando stava bene era intollerante, adesso che sta male è diventato ingestibile. 
Una bomba ad orologeria pronta ad esplodere da un momento all’altro, un essere che cova talmente tanta rabbia da essere persino contro natura. Non sappiamo bene perché ma il vecchio ce l’ha con la vita e usa la violenza per vendicarsi contro tutto il dolore che gli ha riservato l’esistenza. 

“Non aveva amici, non aveva ideali, non aveva obiettivi, solo dolore e ricordi scomodi.” 

Un ritratto inquietante oltre il limite di sopportazione e contro il concetto stesso di umanità. Una persona che ha fatto della famiglia una pesante scatola nera nella quale covare e nascondere tutta la sua rabbia. 
Il bambino ha sempre avuto paura di lui ma tutto precipita quando la madre, troppo impegnata nel lavoro, decide di fargli passare le vacanze con lui. 

Giornate intere, immerse nella calura e nell’afa estiva, con un uomo inquieto e malato che non sembra trovare sollievo in niente. I medicinali non lo calmano, semplicemente lo abbattono, mentre la vicinanza delle persone lo indispettisce. 
Il bambino è costretto a passare le ore seduto su un tappeto rosso in cucina, insieme alle sue costruzioni fatte di mattoncini colorati, costruendo e distruggendo mondi interi perché la fantasia è l’unico appiglio a cui aggrapparsi per non soffocare in quel magma di solitudine e paura. 
Conosce perfettamente i pensieri del nonno, i movimenti, i gesti, ogni sua singola reazione e mentre ci racconta nei minimi particolari ciò che vede e ciò che sente, a noi sembra di essere rinchiusi in quella stessa casa, con la medesima angoscia addosso che ci fa sudare come una seconda pelle, alla ricerca di un modo, uno solo, per non avere più così tanto terrore. E lo troviamo, insieme a lui, quando davanti ai nostri occhi compare Luca

C’è un grande lavoro di introspezione psicologica che ci permette di entrare perfettamente e naturalmente nella testa del piccolo protagonista. Per sua stessa ammissione, egli gode di una grande fantasia che lo aiuta a superare le difficoltà come l’isolamento e la distanza dal resto del mondo, a cui la presenza straniante del nonno, lo costringe. 

“Lui era un orco, protettivo ma ossessivo, indecifrabile.” 

Il vecchio vorrebbe che il nipote fosse come lui e subito mette le cose in chiaro: loro, i vicini, la gente, il mondo fa schifo, mentre lui è nel giusto e nella verità. Gli altri non sono altro che dei pezzenti, gente che campa sulle spalle altrui, parassiti senza vita e senza coraggio. 
Lui è l’unico ad aver lavorato, ad essersi spaccato la schiena ed è sempre stato additato come quello scomodo, fuori posto e strano. Il bambino cerca di comprenderlo eppure la paura diventa più forte di qualsiasi commiserazione e lo porterà lontano, dove non sarebbe mai dovuto arrivare. 

Gli altri personaggi, quello della madre e della nonna, sono esclusivamente di contorno e sinceramente, la breve caratterizzazione che ci viene fornita dall’autore, non dispiace minimamente. 
La presenza più altisonante, quella di cui davvero sembra di percepire i passi tonfi, il respiro pesante, è quella del nonno. Presenza ingombrante ed inconcepibile per un bambino così piccolo che si rifugia nel silenzio, pensando che sia l’unico modo per essere accettato. 

Grazie alla scrittura fotografica di Stefano Bonazzi, alla sua arte e alla sua capacità di risvegliare le parole, donandogli colori e suoni, assistiamo a scene a rallentatore, respirate, assaporate, terribilmente vissute a livello emozionale. E’ tutto un insieme di gesti pesanti ed ingombranti, di urla incastrate tra la rabbia e la potenza. 
Un essere primordiale che ogni volta rinasce dalle ceneri di una forzata astinenza per vomitare tutta la sua violenza sul primo che capita. E capita anche al bambino di essere attaccato perché deve pagare il suo sbaglio. 
Ed è proprio questa consapevolezza terribile a rendere inquietanti e sinistre le scene in cui il nonno si avventa su di lui. E’ tutto uno spettacolo lento ed inesorabile, del quale ci vengono offerti anche gli ultimi dettagli, quelli più sudati e brutali. Una sfilza di aggettivi, che non ci permettono di distrarci, abilmente incastrati nelle descrizioni di ciò che vede e sente il protagonista e che rendono la storia quello che è: coinvolgente nella sua terrificante realtà. Paurosamente fisica e oggettivamente perversa. 

Quando il nonno urla sembra di sentirlo sbraitare nell’aria, sembra che le orecchie siano inghiottite dai suoi respiri e la nostra attenzione si ghiaccia, immobile, di fronte a tale inarrestabile forza umana. Ma anche per il bambino giunge il momento della vera punizione. Per un attimo, per una manciata di pagine, mi ero illusa che per lui lo squallore di quell’uomo avesse solo un’immagine sfocata e distante, un odore vicino ma pur sempre lontano dalla propria pelle, ma mi sbagliavo e anche tanto. 

La prima punizione è terribile, infuocata, rovente e quasi impossibile da sopportare se il bambino non usa intelligenza per sopravvivere dentro quella gabbia di odio e di indifferenza. Deve armarsi di pazienza e coraggio, nutrirsi di silenzio ed accondiscendenza. 

Il racconto dei momenti passati con il signore degli incubi diventano sempre più oscuri ed inquietanti. Carichi di ansia. L’autore è bravo a creare suspense e angoscia, dando l’idea che ci sia un segreto da svelare, non è chiaro se da una parte o dall’altra. 

Il bambino vive incastrato tra due colori. 
Il grigio: “è un colore discreto che si lascia dimenticare facilmente come me.” 
E il rosso che fin dall’inizio è associato alla presenza pressante ed opprimente del nonno. Rosso il tappeto che racchiude il suo mondo, rossi i cerchi dei disegni mentre la violenza dell’orco esplode, rossi i mattoni delle sue costruzioni. Rosso il caldo e il sole cocente dei pomeriggi afosi abbandonato fuori dal balcone. Rosso il colore di un’estate maledetta senza voce e senza speranza. Un’opprimente e umida cappa che nell’aria invade la testa fino a sentire il peso della violenza fin dentro le ossa. 

La follia di un’estate solitaria di un uomo e di un bambino senza una carezza, né una parola di conforto. Una follia che diventa un passo a due, un’unione di anime sull’orlo del baratro, perché un bambino che sente e vede certe cose, non può salvarsi dal terrore se non in un unico modo. 

“La torre precipitò. Crollò su se stessa, come fatta di vetro sottile. Il tempo fuoriuscì dalle crepe. Perse ogni funzione. Il battito del cuore si fece irregolare. Cominciò la paura. Poi l’odio. Il resto venne da sé.” 

Così anche il piccolo protagonista conosce il sapore della rabbia. L’amarezza dell’odio e il verme nero e molle che striscia tra le ossa fino a bucarti la carne. La sua anima è ormai ferita e devastata, vuota e spogliata di qualunque gesto di comprensione e protezione. 
E allora ho assistito ad una descrizione perfetta di cosa si prova quando senti la rabbia scavarti nella testa, mentre cerca di occupare tutto lo spazio a disposizione e di inghiottire qualsiasi cenno di ragione. Una rabbia pesante come il cemento, pregna dell’odore di morte e di insopportabile dolore. 
Quella rabbia diventa visione che trascina. Milioni di cavallette sotto la pelle che premono per uscire. Una rabbia viscerale, primitiva e dopo di essa, dopo lo sfogo, solo liquame nero, marcio che indica la fine di tutto, perché qualcosa se n’è andato per sempre. E non resta che gridare. 

“Non c’era niente di umano in quel suono ma una sola consapevolezza: qualcosa se n’era andato per sempre. Quel vuoto che si era creato al suo posto sarebbe stato occupato da qualcos altro. Un liquame nero. Marcio. Quel liquame mi soffocherà.” 

E’ tutto così impressionante e scioccante. 
La violenza diventa un racconto di morte quotidiana che lentamente marcisce l’anima di un bambino che guarda attonito, mentre crollano le uniche difese che ha contro l’uomo che gli ha segnato l’esistenza. 

Quel profumo di affetto, quel baluardo di speranza che in quell’essere ancora troppo ingenuo, tenta di sopravvivere ai soprusi e alle cattiverie di un uomo che non guarda in faccia a nessuno, neanche al suo stesso sangue, viene annientato dalla rabbia, intensa ed incontrollabile. 
Un sentimento distruttivo che si muove e vive di vita propria, dominando i personaggi che sembra agiscano attraverso scatti fotografici, immergendoci in un atmosfera fatta di odio ed oppressione. Ogni singolo sentimento, descritto e raccontato, diventa una spaventosa visione, un essere in carne ed ossa che rende tutto il resto la partecipazione di un automa. Non sono il nonno né il bambino a vivere e a farci tremare sotto il peso della loro devastazione, ma sono le emozioni che usano i loro corpi e le loro teste per venire fuori. 

Certe scene, sinceramente, mi hanno impressionata e non mi riferisco alla paura, sono abituata a storie horror. Ma parlo dell’inaspettato, della crudezza con cui l’autore mette di fronte ad una verità tristemente delirante. Ad una follia che diventa una malattia perversa e maniacale, tanto grave da provocare altra follia. Le immagini che vengono fuori da questa guerra che non ha né vincitori, né sconfitti, sono tremende, oscure, melmose senza alcuna prospettiva di salvezza né perdono. Dopo che quella follia avrà generato altra follia, non ci sarà altro all’infuori della fine. 

Più ci si avvicina al termine del romanzo, più ci si rende conto che Stefano Bonazzi non ha fatto sconti né regalato niente. Solo odio e rabbia per quelli che riescono a sopportarlo. Per quelli che riescono ad ingoiare l’idea che il mondo sia fatto di malvagità e follia, che per venire fuori dal baratro, bisogna risalire con la polvere e la cenere addosso, anche rischiando di ritrovarsela nel sangue, per sempre. 

Se con le prime pagine, potrete ancora provare una sorta di sollievo, appena accennato, per quella famiglia che state conoscendo, tenerezza per quel bambino che parla poco e per quel mutismo che caratterizza la sopravvivenza contro ogni sopruso, ben presto finirà tutto. 
Vi renderete conto che state per scoprire ciò che mai avreste voluto. 
Una minaccia latente che è sempre stata quella del nonno si trasformerà in un’unica ed immensa ferita contro il mondo. 
Irrecuperabile. 

Ci sarà un capovolgimento psicologico di cui si può percepire il sentore fin dall’inizio.
Il bambino diventerà grande. L’uomo disadattato, un estraneo nel mondo in cui tutti parlano e lui ha deciso di restare a bocca chiusa

Quando ho letto la prima pagina del romanzo, ho pensato che avevo tra le mani il libro che volevo leggere. Adoro le storie che destabilizzano, quelle che non ti aspetti e che ti portano sull’orlo di quell’abisso fregandosene se sai tornare indietro o meno. 

Stefano Bonazzi non si è curato di tutto questo. Mi ha portato lì a guardare in basso, e poi mi ci ha lasciato. 

 Ed è proprio su quel block notes che scriverò l’ultima frase: 


Basta così, per adesso. Ma non ci contare.






17 commenti:

  1. Non vorrei confondermi con qualche altro romanzo, ma mi sembra di averne sentito parlare. Sembra veramente molto interessante. L'unica cosa che mi lascia perplessa è che ultimamente Newton Compton ha preso qualche cantonata. Però credo lo leggerò.
    Quello che scrivi nella recensione mi fa venire in mente "Come dio comanda" di Ammaniti. La storia è diversa, sicuramente, ma al centro delle vicende c'è sempre un ragazzino. Tu (ma questo già l'avevo detto) hai una bella scrittura pulita. Rendi bene l'idea :)

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    1. L'avvicinamento di questo libro a quello di Ammaniti non sei la prima a farlo e probabilmente dopo averlo letto (se lo leggerai) ne sarai ancora più sicura. In ogni caso considerato che hai letto Maledetta primavera, che io non ho letto, ma di cui quasi nessuno ha una buona opinione per quanto ho capito, spero che leggerai anche questo essendo fondamentalmente un thriller psicologico che ha poco del thriller e molto della mente. Certo è molto forte sotto tutti i punti di vista, può essere una storia che sconvolge e non certo che ti mette in pace con il mondo.
      Ti ringrazio per la tua opinione sulla mia scrittura! ^__^

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    2. Spero che tu abbia capito che le mie osservazioni sulla grafica erano assolutamente in buona fede. In fondo le critiche costruttive possono servire per migliorarsi. Se ti interessa, di Maledetta primavera ho parlato qui: http://appuntiamargine.blogspot.it/2014/09/maledetta-primavera-la-cultura-con-la-q.html
      Sono stata fin troppo buona solo perché non l'avevo ancora finito. ;)

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    3. Ho capito benissimo il tuo discorso e i tuoi commenti sono stati apprezzati, anche adesso. :)
      Un blog è anche un luogo per discutere, proprio perchè si possono avere opinioni differenti e ben venga confrontarsi. E' proprio il confronto che spesso permette di vedere al di là del proprio naso
      Leggo la recensione di Maledetta primavera e ti rispondo nel tuo blog. ^^

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    4. Okay! Comunque ho messo questo libro nel carrello di IBS... se poi non mi piace ti vengo a cercare! Ahahahah! Scherzo ;)

      P.S. Non ho scritto una recensione, altrimenti avrei aspettato di finire il libro. Però l' ho utilizzato come spunto per una riflessione sui prodotti culturali. è un lavoro diverso da quello che fai tu, ma spero che ti piaccia ugualmente. :)

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    5. Bene! Mi fa piacere, così potremo confrontarci. :)
      Il lavoro che hai fatto tu, partendo dal romanzo, e ampliando la riflessione è ugualmente utile ed interessante come ti ho scritto nel blog.

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    6. Sì ho letto :) ti ho risposto stamattina! Baci

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  2. Il fatto che l'abbia edito la Newton mi spaventa un poco...

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    1. Esatto! idem! Mi è capitato recentemente di leggere "Maledetta primavera" e sto ancora superando il trauma

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    2. @Jean Jacques
      Hai ragione sul fatto della Newton, ma in questo caso lascerei perdere la casa editrice e mi concentrerei sul libro che vale tutto il tempo speso a leggerlo. Ma questa è la mia piccola opinione. ;)

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    3. Appena sfoltirò la mia interminabile lista, allora, cercherò di darci una letta :)

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    4. Se lo farai, sarò la prima a leggere la tua recensione! ;)

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  3. mi piace molto e complimenti per la recensione :)

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  4. wow che recensione, ovviamente non ne avevo mai sentito parlare di questo libro, mi sa che devo provarlo anche io

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    1. E' un libro molto bello e particolare grazie allo stile dell'autore. Consigliato! ;-)

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