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sabato 28 febbraio 2015

Intervista a Vladimiro Bottone, autore di Vicarìa. Un'educazione napoletana

Buongiorno lettori! Oggi proseguiamo il nostro viaggio nel mondo del suggestivo romanzo di Vladimiro Bottone, Vicarìa. Un’educazione napoletana, proponendovi l’intervista che l’autore mi ha gentilmente rilasciato. Oltre che nella recensione, nelle sue parole dirette è possibile cogliere i veri significati del romanzo.


Non perdetela! E se non avete ancora letto la recensione, cliccate qui!

Salve Vladimiro, innanzitutto grazie per aver accettato questa intervista.


1- Prima di tutto le chiedo com’è nato l’amore per la scrittura e quando ha iniziato a dedicarsi seriamente ad essa.

Il mio amore per la scrittura è figlio, più o meno degenere, della mia passione per la lettura. Si tratta, quindi, di una passione di antica data che, invece di invecchiare, ringiovanisce giorno dopo giorno. Ho iniziato a scribacchiare qualcosa circa venticinque anni fa. Tentativi improbabili terminati giustamente nel fuoco. Sbagliando s'impara. Sbagliando molto si impara molto (con l'ovvia premessa che bisogna saper ricavare qualcosa da ogni proprio errore. E a patto di riconoscerlo, prima o poi, come tale).

2- Se dovesse raccontare a chi non lo ha ancora letto la natura intima e profonda del suo romanzo, cosa direbbe?

     La storia, ambientata nella prima metà dell'Ottocento, prende le mosse dal tentativo del piccolo Antimo di evadere dal Reclusorio. Il bambino, cosciente di trovarsi in pericolo,  è depositario di un segreto inimmaginabile che potrebbe segnare la rovina di alte cariche pubbliche  e, addirittura, mettere a repentaglio lo stesso funzionamento dello Stato borbonico. La fuga di Antimo, però, viene sventata e si conclude tragicamente. Il suo cadavere senza nome incrocerà il destino di Gioacchino Fiorilli, un ispettore della polizia borbonica non ancora incallito rispetto al male che corrode la città. Inevitabilmente il corpo del bambino, “bello della tremenda bellezza degli offesi”, si trasformerà per Fiorilli in un'ossessione di verità. In un'inchiesta che prima lo farà venire a contatto con Emma Darshwood, un' insegnante di musica presso il Reclusorio affascinante e idealista. Poi gli farà incrociare medici avidi di carne giovane, monaci ispirati che vendono le proprie visioni ai giocatori del Lotto, funzionari doppiogiochisti, giudici conniventi con il potere, camorristi e sbirri cresciuti nello stesso fango. Un'umanità eterogenea che, spesso, attende la propria fortuna dalla Dea bendata e riceve la propria condanna da una giustizia amministrata in modo altrettanto casuale. Il tutto in una Napoli ottocentesca, non così diversa dalle atmosfere della Londra dickensiana, dove ogni cosa ubbidisce a una legge non scritta: “Buona sorte ogni tanto. Malasorte quasi sempre”.

      3- Qualcuno sosteneva che quando un personaggio ti entra in testa non ti lascia in pace finché non gli hai dato la sua storia. Ho amato molto i suoi personaggi e mi sono chiesta che tipo di rapporto avesse con essi.

Spesso e volentieri sono stato il loro scrivano. E' questo che, in fondo, distingue il personaggio riuscito da quello che rimane una semplice funzione narrativa. I veri personaggi dettano e lo scrittore-scrivano traspone su carta. Lo scrittore, come il lettore, deve vedere e sentire, proprio in senso auditivo, i personaggi. Quelli di essi che rimangono sulla carta sono personaggi falliti.  Nei casi peggiori sono grucce per una tesi ideologica precostituita.

4- Quale dei suoi personaggi ama di più e quale odia di più? E se potesse scegliere quale personaggio vorrebbe essere?

Amo particolarmente Angela, la figlia di Gioacchino Fiorilli, perché modellata su mia figlia Angelica. Quanto agli altri: difficile che l'autore detesti un personaggio se riuscito. Odio solo i personaggi quando non vengono fuori bene. In quei casi, però, biasimo essenzialmente una mia incapacità. Nel caso di Vicarìa non ho molti motivi per odiarne qualcuno (ride). 

5- Quanto c’è di autobiografico nella storia?

Tutto e niente, come sempre. Per non eludere la sua domanda rispondo così: il mio modo di vedere Napoli, di sentirmene attratto, di temerla, di ricordarla.

6- L’ambientazione è incentrata sul Tribunale della Vicarìa e sull’Albergo dei Poveri, luoghi di giustizia formale e di abusivismo concreto in tutte le sue forme. Cosa l’attrae realmente di questi luoghi tanto da renderli protagonisti del suo romanzo?

Il loro fascino tenebroso, il loro essere dei magnifici set cinematografici per l'ispirazione visiva, la loro capacità di simboleggiare e sintetizzare l'anima ed il significato di Vicarìa. Il fatto, ad esempio, che nel tribunale della Vicarìa si amministrasse la giustizia e si svolgessero le estrazioni del Lotto incarna, in maniera fulminea, buona parte del senso del romanzo.

7- Cosa rappresenta per lei questo romanzo?

Qualcuno, mi sembra Nabokov ma non vorrei sbagliare, ha detto che si scrive un romanzo per liberarsi di un'ossessione. Se non c'è ossessione, la forza e la verità soggettiva di un'ossessione, non c'è il romanzo (e neppure il romanziere, direi). Ecco, credo di aver risposto.

8- Il suo romanzo è carico di echi del passato che s’infrangono pesantemente sulle onde del presente. C’è drammaticità, violenza, rabbia. Questa storia è un omaggio o un riscatto per la sua città?

La Napoli della prima metà dell'Ottocento aspettava dei romanzi che le dessero una rappresentazione adeguata. In questo senso, ma solo in questo senso, possiamo considerare Vicarìa un atto di omaggio.

9- Nelle vicende raccontate si mescolano presenze inquietanti. Fantasmi trasognati e spiriti dei morti che sembrano guidare le azioni dei vivi.  Ma la carne e il sangue sono altrettanto presenti. Quanto hanno influito le leggende ed il mito che avvolge Napoli nel creare l’atmosfera del romanzo?

Napoli è una città-mondo che contiene tutto e l'opposto di tutto. I fantasmi come la carne, per dire. Ogni città-mondo (Pietroburgo, Parigi, Londra per esemplificare) finisce per costruire nel tempo la rappresentazione mitica di se stessa. Come dicevo prima, spero che Vicaria possa contribuire per la sua parte.

10- Antimo ti entra nel cuore, allo stesso modo Emma con la sua musica. Anche lei crede che saranno la bellezza e l’arte a salvare il mondo?

Arte, bellezza, passione, tenerezza. Il resto, francamente, è liquame.

11- E’ soddisfatto del suo romanzo e di ciò che ha donato alla sua città?

Ritengo di aver fatto tutto ciò che mi era possibile. Non si può chiedere di più ad un essere umano, categoria nella quale, tutto sommato, includerei anche i romanzieri (sia pure con qualche cauta riserva).

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