Buongiorno! Grazie alla collaborazione con la casa editrice Voland, oggi vi parlo di Piccole morti di Ivana Sajko.
piccole morti di Ivana Sajko Editore: Voland Pagine: 128 GENERE: Narrativa contemporanea Prezzo: 8,49€ - 16,00€ Formato: eBook - Cartaceo Data d'uscita: 2024 LINK D'ACQUISTO: ❤︎ VOTO: 🌟🌟🌟🌟
Trama:
Un uomo viaggia in treno da una località sulla costa meridionale dell’Europa a Berlino. È uno scrittore fallito, un giornalista saltuario che dopo la fine di una relazione decide di partire e tornare nella città che ha segnato l’immaginario della sua infanzia. I suoi pensieri incedono al ritmo delle ruote sui binari mentre gli appunti che riempiono il taccuino intrecciano ricordi personali e riflessioni sull’odierna situazione europea, sulle disuguaglianze sociali, sulla violenza e le pratiche disumanizzanti a cui devono sottostare i migranti… Un testo magnetico e dallo stile superbo, un romanzo fortemente ancorato all’attualità che smaschera l’idea illusoria che esista un posto migliore verso cui fuggire.
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RECENSIONE
Piccole morti di Ivana Sajko è un romanzo crudo e poetico che trascina il lettore nei meandri dell’esistenza umana più tormentata, mettendo in luce con straordinaria potenza espressiva la banalità della sofferenza quotidiana.
Ivana Sajko, con la sua prosa intensa e visionaria, dipinge un mondo in cui la fragilità umana, la solitudine e il dolore convivono con l’inevitabilità del fallimento, sia personale che collettivo.
La narrazione si sviluppa come un lungo viaggio, un peregrinare senza meta definita, da un “punto A” a un “punto B”, come se il movimento stesso fosse l’unico scopo rimasto in una vita vuota e disillusa.
Fin dalle prime righe, il protagonista è travolto da un profondo senso di inadeguatezza, di fallimento, e il suo viaggio fisico diventa il simbolo di un viaggio interiore verso la consapevolezza di essere intrappolato in una spirale di sofferenza e abulia.
Uno dei temi principali del romanzo è la decomposizione delle relazioni, l’incapacità di connettersi in maniera autentica con l’altro. La relazione tra il protagonista e la donna con cui condivide il proprio vuoto è costruita su una precarietà che non ha alcuna possibilità di evolversi. L’amore è presentato come un sentimento già sconfitto in partenza, ridotto a una serie di gesti meccanici, destinato a perdersi nella monotonia dell’esistenza e nella passività della convivenza. – “Non ti amo, non collego a te le mie minuzie interiori, non conto sul tuo corpo neppure nei momenti di maggiore solitudine, non credo alle nostre fotografie neppure quando ridiamo.”
L’uomo vive in uno stato di apatia profonda, trascinato dagli eventi senza alcuna volontà di reazione. Il suo costante senso di alienazione è espresso sia fisicamente – attraverso il suo viaggio senza scopo – sia mentalmente, con una perenne lotta interiore tra il desiderio di esprimersi attraverso la scrittura e l'incapacità di farlo. Quest’uomo non riesce a scrivere, non riesce ad amare, e soprattutto non riesce a vivere. Ogni giorno è una piccola morte per lui, simbolo della sua condizione emotiva stagnante.
È ambivalente perché è consapevole della sua miseria, ma sembra in qualche modo accettarla come parte inevitabile della sua esistenza. Si rifugia in una sorta di vittimismo passivo, incapace di prendere decisioni o di lottare per la propria felicità. Questo elemento lo rende un personaggio drastico, intrappolato in una vita che non desidera, ma che non sa come cambiare.
Il rapporto con la donna con cui condivide l’appartamento è emblematico della sua incapacità di amare. L’amore, o ciò che ne resta, si manifesta in un disprezzo reciproco, in silenzi che pesano più delle parole. Il legame tra i due si è ridotto a una convivenza di convenienza, dove ogni tentativo di intimità si è ormai perso nel disincanto e nella frustrazione. La relazione è una guerra silenziosa, segnata dalla mancanza di comunicazione e dalla progressiva disgregazione dell’affetto. Non si combattono direttamente, ma i silenzi e l’apatia diventano armi affilate che li feriscono entrambi. Questa dinamica crea un ambiente soffocante, in cui entrambi sono prigionieri delle proprie paure e insoddisfazioni. – “Lei fumava e pazientava, a volte piangeva, traduceva libri altrui, soggiornava quanto più possibile dentro la testa altrui e nella lingua altrui, così mantenevamo la distanza massima, non poteva avvicinarmi, proprio come io non potevo avvicinarmi a lei.”
La donna, che resta più in ombra, è un personaggio altrettanto complesso. Svolge un ruolo apparentemente passivo nella relazione, ma la sua silenziosa resistenza è una forma di difesa contro l’assoluta dipendenza emotiva del protagonista. La sua frustrazione e solitudine si manifestano attraverso gesti quotidiani, come fumare in cucina guardando fuori dalla finestra, simbolo della sua alienazione e della sua attesa inutile. Il momento in cui gli confessa di non amarlo più è un punto di rottura inevitabile, ma quasi catartico, come se il loro rapporto fosse ormai una ferita aperta che non può guarire se non con la separazione.
L’autrice, attraverso l’uso di immagini vivide e a tratti disturbanti, ci conduce in uno spazio interiore desolato, dove la depressione del protagonista diventa tangibile e quasi palpabile. I rimpianti, i sogni infranti e l’incapacità di reagire alla mediocrità dell’esistenza si traducono in una narrazione frammentaria, spezzata, come la vita stessa del personaggio. – “Allora mi alzai dal letto e feci ciò che avevo futilmente minacciato di fare, me ne andai, ci salvai entrambi.”
Il linguaggio utilizzato è viscerale, ricco di metafore che amplificano il senso di soffocamento e impotenza del protagonista. Gli spazi descritti – dalle periferie anonime, ai treni che corrono senza sosta, fino agli interni disadorni – diventano metafore della sua condizione interiore. Le stagioni che si susseguono mentre lui resta fermo a fissare il vuoto sono simboli della stasi emotiva e dell’inarrestabile discesa verso l’autodistruzione.
Un altro elemento centrale è il tema della fuga: il protagonista fugge da se stesso, dalle relazioni fallimentari, dalla propria incapacità di scrivere, eppure ogni fuga si rivela una nuova prigione. Anche la fuga dalla propria terra d’origine e la migrazione diventano simboli di una libertà illusoria, un disperato tentativo di lasciarsi alle spalle un passato opprimente, senza però riuscire a trovare una reale redenzione o via d’uscita.
L'isolamento non è solo emotivo, ma anche sociale. Il protagonista vive in un mondo in cui la miseria umana si riflette nella sua vita quotidiana: gli spazi vuoti, gli appartamenti trascurati, le città senza identità. Questo ambiente contribuisce ad alimentare il senso di insignificanza che pervade i personaggi. Sono intrappolati in un sistema in cui non trovano alcuno scopo o valore duraturo. La loro esistenza si svolge ai margini, lontano da qualsiasi comunità, in un mondo che sembra ridursi alla mera sopravvivenza.
Il tema della migrazione, affrontato brevemente attraverso i ricordi e le esperienze familiari, aggiunge una dimensione politica e sociale al testo. Le difficoltà di chi cerca una vita migliore altrove, spesso abbandonando famiglia e radici, fanno eco al senso di dislocazione e perdita che attraversa tutto il romanzo. Il protagonista, pur non essendo un migrante, vive comunque questa estraneità, come se fosse sempre in fuga da se stesso e dalle sue responsabilità.
Sul piano morale, il libro solleva questioni fondamentali sull’autenticità dell’esistenza e sull’etica del fallimento. I personaggi non sono eroi, né cercano redenzione: sono figure grigie, che tentano di sopravvivere nel vuoto delle loro vite. Ciò che emerge è una riflessione sull’umanità e sull’incapacità di trovare un significato in un mondo in cui il valore dell’individuo è continuamente messo in discussione. La domanda morale non riguarda tanto cosa sia giusto o sbagliato, quanto piuttosto se ci sia ancora spazio per l’empatia, per la connessione, in una società a pezzi.
La morte non è solo quella fisica, ma la morte simbolica di ogni singolo giorno in cui il protagonista si arrende un po’ di più alla propria condizione. La morte dell’amore, della speranza, della creatività, ma anche la morte sociale, rappresentata dalle vite di coloro che sono costretti a migrare, a sopravvivere ai margini, spinti dalla povertà e dall’emarginazione.
Ivana Sajko, con la sua scrittura brutale e lirica, ci consegna un ritratto potente di un’umanità sofferente, in bilico tra il desiderio di vivere e l’incapacità di farlo. Un testo che non lascia scampo e che risuona profondamente, costringendo il lettore a fare i conti con il vuoto e la solitudine che abitano ogni individuo.
Il titolo, d’altra parte, enfatizza la natura disgregata della vita moderna e la sofferenza invisibile che, giorno dopo giorno, distrugge pezzi di noi stessi, fino a farci sentire estranei persino alle nostre emozioni e alla nostra esistenza.
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