Buongiorno! Grazie alla collaborazione con la casa editrice La nave di Teseo, oggi vi parlo di Non c'è posto per l'amore qui di Yaroslav Trofimov.
NON C'È POSTO PER L'AMORE QUI di Yaroslav Trofimov Editore: La nave di Teseo Pagine: 448 GENERE: Romanzo storico Prezzo: 11,99€ - 22,00€ Formato: eBook - Cartaceo Data d'uscita: 2025 LINK D'ACQUISTO: ❤︎ VOTO: 🌟🌟🌟🌟🌟
Trama:
Kharkiv, 1930, Debora Rosenbaum, diciassettenne ambiziosa e innamorata della letteratura, arriva nella capitale della nuova Repubblica socialista sovietica ucraina per costruire il proprio destino come donna moderna. Finalmente sembra arrivato il futuro, le vecchie e stantie tradizioni sono superate, anche la religione ebraica della famiglia non è più una questione importante; è il mondo nuovo, un altro inizio, l’era sovietica, in cui i grattacieli spuntano da un giorno all’altro e il paese si avvia verso la prosperità socialista. In breve tempo, Debora trova lavoro e conosce un giovane e affascinante ufficiale di nome Samuel, che si sta addestrando per diventare pilota di caccia. Le cose, tra alti e bassi, sembrano mettersi bene per lei, che riesce anche a realizzare il suo sogno di iscriversi all’Università. Ma le prospettive di Debora – e dell’Ucraina – si offuscano rapidamente. La carestia indotta dallo Stato sovietico devasta le campagne, causando milioni di vittime e incredibili sofferenze; inoltre, anche l’iniziale libertà concessa dalla Russia alle altre repubbliche è ormai alle spalle e ogni deviazione dall’ideologia dettata da Mosca è punita severamente. Lo scoppio della seconda guerra mondiale non fa che peggiorare la situazione e i campi gialli di grano dell’Ucraina si tingono del rosso del sangue. Nel mezzo di questa tragedia Debora è costretta a imparare a mentire, a dissimulare e anche a tradire pur di proteggere se stessa e chi ama. "Non c’è posto per l’amore, qui" è un romanzo epico di amore e di guerra con una protagonista straordinaria e indimenticabile.
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RECENSIONE
Non c'è posto per l'amore qui di Yaroslav Trofimov non si limita a raccontare una storia: la incide nelle ossa, e ci lascia lì a contemplarla senza poter fare nulla. NULLA, nè per noi, nè per tutti gli altri. È un romanzo che non concede respiro, che ci costringe a guardare negli occhi la storia più crudele, a immergerci in un’epoca in cui ogni speranza si sgretola sotto il peso della fame, della guerra e del terrore.
Nel mezzo di uno scenario apocalittico, c'è una sorta di eroina al contrario: Debora Rosenbaum, la giovane donna che credeva nel futuro e che invece è stata costretta a barattare i suoi sogni con la sopravvivenza.
Il romanzo si apre con un'immagine di speranza: Kharkiv, 1930, la capitale della Repubblica socialista sovietica ucraina, una città moderna, vibrante, protesa verso il futuro. Debora arriva con gli occhi pieni di luce, con il cuore colmo di promesse: “Voglio i capelli corti come i suoi, esattamente così” dice alla parrucchiera, mostrando una rivista americana con la foto di Louise Brooks. È il primo segno della sua ribellione, del suo desiderio di essere libera, di appartenere a un mondo nuovo. Eppure, già in questa scena si percepisce il sapore dell’illusione: il comunismo sovietico promette un futuro radioso, ma non tarda a mostrare il suo vero volto.
L’incontro con Samuel, il giovane ufficiale destinato a diventare pilota, sembra offrire a Debora una parentesi di felicità. I loro primi momenti insieme sono intrisi di dolcezza e di leggerezza: “Lei è davvero un seduttore, dice la stessa cosa a tutte le ragazze?” chiede Debora ridendo, e lui risponde con un sorriso disarmante.
Ma l’amore, in un mondo che brucia, è fragile come un fiore nel gelo.
Presto la realtà li travolge: la carestia del 1932-33, il genocidio dell’Holodomor orchestrato dallo Stato sovietico, in cui milioni di ucraini muoiono di fame. L'autore ci offre immagini che lacerano l’anima: “I bambini piangevano fino a perdere la voce, poi smettevano di piangere, perché non avevano più la forza”. Debora vede madri abbandonare i figli, vede cadaveri ammassati lungo le strade. E allora comprende che il suo sogno si sta sgretolando.
Il rapporto tra Debora e Samuel diventa un campo di battaglia a sé. In un mondo in cui ogni cosa è regolata dalla politica, anche i sentimenti vengono contaminati. Lui è un uomo che ha scelto l’uniforme, che si è piegato alla logica della guerra, mentre lei è ancora aggrappata all’idea che la vita possa essere altro. “Io non voglio sistemare nulla. Voglio aprire le mie porte da sola!” esclama lei, opponendosi al pragmatismo di Samuel. Ma fino a che punto è possibile restare fedeli a se stessi quando la Storia decide di stritolarti?
Il loro amore diventa un gioco di equilibri instabili, un continuo avvicinarsi e respingersi. Ci sono momenti in cui la passione esplode, come nel loro primo incontro clandestino in una stanza prestata: “Aveva sentito dire che le avrebbe fatto male quando fosse entrato dentro di lei, ma non fu così doloroso come se l’era immaginato."
Samuel rappresenta per Debora un rifugio, una promessa di normalità. Ma nel mondo in cui vivono, l’amore è una moneta di scambio, una scommessa che si può perdere da un momento all’altro. E infatti, il loro legame è costantemente minacciato dagli eventi. La carestia del 1932-1933 trasforma l’Ucraina in un cimitero a cielo aperto: “La fame era ovunque. I corpi erano talmente scheletrici che i bambini sembravano fantasmi con la pelle incollata alle ossa.” Debora impara a mentire, a fingere, a fare scelte che mai avrebbe immaginato.
Quando iniziano le purghe staliniane, la paura si insinua ovunque. Chiunque può essere denunciato, chiunque può sparire. “Di notte, nel dormitorio, il telefono squillava e sapevamo già cosa significava. Uno di noi sarebbe mancato all’appello la mattina dopo.”
Il terrore non è solo nei gulag e nei processi farsa: è negli sguardi che evitano di incrociarsi, nelle conversazioni sussurrate, nei baci dati con il timore che possano essere l’ultimo.
Samuel stesso è in pericolo, perché nessuno è al sicuro. L’Armata Rossa non è solo un simbolo di potere, ma una macchina che divora i suoi stessi figli. E mentre le minacce si addensano attorno a lui, Debora capisce che amare qualcuno è anche metterlo in pericolo.
E poi arriva la guerra. L’invasione nazista, il fuoco su Stalingrado, le scelte impossibili. “La città non aveva più case, solo rovine. E in quelle rovine c’eravamo noi, fantasmi che si trascinavano alla ricerca di qualcosa da mangiare.” Debora impara a tradire per sopravvivere. Impara che in tempo di guerra, anche l’amore è una forma di resistenza.
Il titolo stesso è una sentenza: Non c’è posto per l’amore, qui.
L’amore, in questa storia, è continuamente soffocato, negato, strappato via.
L’amore è un atto di resistenza, ma il mondo creato dal totalitarismo non lo permette.
Il libro ci dice che la Storia può distruggere tutto: gli ideali, le vite, persino i sentimenti più profondi.
Ma resta un interrogativo fondamentale: vale la pena vivere senza amore?
Il romanzo ha un valore oggi più che mai attuale. L’Ucraina è di nuovo al centro della Storia, e l’autore ci ricorda che il suo passato è segnato dalla violenza di imperi che hanno cercato di cancellarla. Ci obbliga a riflettere su cosa significhi davvero essere liberi, su quanto sia fragile la nostra esistenza in balia dei giochi di potere. Scrive con un’eleganza che sa essere sia epica che brutale. Il suo linguaggio è secco, ma capace di momenti di lirismo devastante. Il suo realismo è senza compromessi, eppure riesce a farci intravedere la bellezza anche nel dolore. I dialoghi sono intensi, carichi di sottintesi, e la narrazione procede con un ritmo che ricorda i grandi romanzi russi, da Bulgakov a Grossman.
Non c’è posto per l’amore, qui è un romanzo che fa male. Ci costringe a guardare il lato più oscuro della storia, ma anche a chiederci cosa significhi resistere, amare, esistere in un mondo che non ci lascia scelta. E per di più solleva interrogativi angoscianti: fino a che punto è giusto sacrificare la propria integrità per restare vivi?
Si può ancora parlare di amore in un contesto in cui ogni sentimento è subordinato alla necessità di sopravvivere?
Non ci offre nessuna risposta, ma ci costringe a guardare negli occhi l’abisso della Storia.
E questo ci rende piccoli, così piccoli, da temere di scomparire.
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