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martedì 21 luglio 2015

Intervista a Paolo Durando autore di Gli eletti di Scantigliano

Buongiorno! Oggi vi propongo l’intervista a Paolo Durando, scrittore e professore di italiano e storia di cui ho recensito recentemente il romanzo di Fantascienza intitolato Gli eletti di Scantigliano, che potete leggere qui. 
E' un'intervista molto interessante che ci aiuta a comprendere i retroscena del romanzo.


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Salve Paolo, grazie per aver accettato questa intervista.



1 - Com’è nato l’amore per la scrittura e quando ha iniziato a dedicarsi seriamente ad essa?

Ho iniziato presto a sentire il richiamo della scrittura. Dapprima cimentandomi in confuse novelle costituite da dialoghi, forse in analogia con le prime letture di fumetti Disney, poi in fiabe sotto la suggestione  di Andersen. In seguito c’è stata l’influenza dei romanzi di avventura di Oliver Curwood, tendendo già verso la fantascienza. Dopo i trent’anni, alcuni riconoscimenti avuti fuori dall’ambito familiare e amicale, mi hanno incoraggiato a impegnarmi più a fondo.

2 – Perché ha scelto di scrivere un romanzo di Fantascienza?

Spesso la fantascienza si pone come genere “maschile”, privilegiando l’azione, il plot, anche a scapito del sense of wonder. Io preferisco la fantascienza “umanistica”, quella di Clifford Simak o Ray Bradbury,  accesso privilegiato agli archetipi,  all’autocoscienza di specie. Non amo le narrazioni di guerre stellari o imperi galattici, anche perché danno tutto per già rivelato e conosciuto, mentre a me interessa frequentare il mistero, le situazioni in cui un nuovo pianeta, una civiltà aliena o un’altra dimensione, sono ancora tutti da scoprire.

3 – Quanto tempo ha impiegato a scriverlo?

La prima stesura ha richiesto circa due mesi. Poi c’è stato il lavoro di scrematura e limatura, a più riprese.

4 – Si è ispirato a qualcuno o a qualcosa in particolare per la stesura del suo romanzo?

Ho voluto dare alla narrazione una certa impostazione teatrale, curando il dialogo, alludendo anche ai clichés dei primi reality degli anni zero.

5 – Quale personaggio le ha creato maggiori difficoltà e quale ha amato di più?

Quello che mi ha creato più difficoltà è Massimo, l’uomo “pratico”. Non ho molte affinità, evidentemente, con lui. Quello che ho amato di più è, probabilmente, Giorgio, il bambino, per la sua tendenza ad estraniarsi dagli adulti che lo circondano, dai loro automatismi e ipocrisie.

6 – C’è stato un momento in cui ha pensato di abbandonare la scrittura?

L’ho pensato, quando ho partecipato con la prima stesura di questo romanzo al premio Odissea della Delos Books e ho ricevuto una stroncatura senza appello. L’esperienza mi è servita per approfondire il lavoro di editing, procedendo anche a numerosi tagli.

 7 – Gli aspetti che mi hanno colpito di più del suo romanzo sono state le descrizioni e l’introspezione psicologica dei personaggi. Quanto contano per lei questi elementi per la buona riuscita di una storia?

Sicuramente, nella mia accezione di questo genere-non genere (nel senso che li ingloba tutti), la psicologia è importante. Attraverso alcuni temi tipici della fantascienza, l’antico “conosci te stesso” e il più recente “essere gettati” nel mondo, possono declinarsi in modi alternativi e fecondi. Per questo ho guardato spesso al pensiero della differenza sessuale, dal momento che le donne, per necessità, hanno dovuto guardare più a fondo in se stesse.

8 – Ad oggi con la pubblicazione, si è pentito di qualcosa e vorrebbe cambiarla?

Si vorrebbe sempre poter cambiare qualcosa, ma viene il momento in cui ci si deve arrendere alla pubblicazione e concentrarsi su altri progetti. Sul piano formale, è presente ancora qualche refuso, nonché alcune (poche!) ripetizioni e sciatterie linguistiche che, pur potendo anche sfuggire a un lettore coinvolto dalla storia, ora vorrei eliminare e non posso farlo, almeno fino alla prossima ristampa...

9 – Qual è il messaggio nascosto, se c’è, che il lettore dovrebbe cogliere?

Il messaggio è, essenzialmente, che non sappiamo davvero chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo. Che siamo intubati nei nostri microcosmi, perdendo – chi più, chi meno - la consapevolezza del macrocosmo di cui facciamo parte.

10 – Cosa rappresenta Scantigliano per lei?

Credo che non ci sia nulla quanto certa provincia italiana a poter configurare un microcosmo, in cui la struttura profonda della vita quotidiana resta relativamente stabile nei decenni. Questo costituisce una protezione, ma rende complicata l’apertura al diverso, si tratti di persone o di situazioni. Io ho sempre cercato di fuggire dalle mie Scantigliano, pur subendone il fascino. Sono un cittadino nell’anima, un flâneur. Amo l’anonimato, l’avventura e la libertà della metropoli.

11- C’è un motivo particolare per cui ha scelto il mare come fonte di incubi e punto di risoluzione di tutta la vicenda?

Veniamo dal mare e siamo fatti soprattutto di acqua. Si pensi a come Stanisav Lem, nel romanzo Solaris, a cui fu liberamente ispirato l’omonimo film di Andrei Tarkovskij, avesse immaginato un pianeta dove un oceano pensante creava e disfaceva elementi a partire dall’inconscio dei personaggi.

12 – Quanta critica sottintende da parte sua la presenza narrata di un’umanità teatralizzata?

I personaggi del mio romanzo rappresentano tendenze medie. Sono soggetti sostanzialmente integrati. Sono tutti veri toscani, come si evince dai cognomi, e radicati a Scantigliano. Sono stati selezionati dalla Extension Ov proprio per questo. Anche se alcuni di loro possono sembrare degli intellettuali, soprattutto Serena, vivono il loro tempo e lo interpretano senza andare troppo in profondità. Come, nel bene e nel male, la maggior parte di noi.

13 – Quali sono gli autori dai quali trae ispirazione?

Oltre a quelli già citati, non posso non ricordare Philip Dick, quello di Ubik, soprattutto.  E’ indubbio, però, che un ruolo rilevante lo ha avuto la letteratura non fantascientifica, da Kafka a Bulgakov e quel filone “praghese” che dal Golem approda a Meyrink o Kubin. Mi hanno segnato, inoltre,  Giorgio Scerbanenco, per la felicità narrativa, e Clarice Lispector, per i movimenti dell’interiorità. Ho cercato poi, a più riprese, di trarre linfa per la scrittura da altre forme espressive, come il teatro di ricerca e le arti visive. In questa ottica multidisciplinare ho collaborato con altri artisti, ad esempio nel maggio 2012, nella mostra “Donna con frittata”, allo Spaziobianco di Silvano Costanzo a Torino. Mi interessa infine, per l’ampiezza della visione, il percorso dei connettivisti.

14 – Scriverà ancora romanzi?

Ne sto già scrivendo.

15 – Le chiedo di lasciarci con la citazione di un passo del suo romanzo, che ha un’importanza particolare per lei.

“La presenza di Scantigliano nei loro ricordi li caricava di una nostalgia mai provata fino a quel momento. Si sentivano complici in questo, uniti da qualcosa di profondo, specifico e irripetibile. Scantigliano non era stato soltanto lo sfondo dei loro giorni e del loro evolversi o involversi che fosse, era stato parte del loro corpo, sostanza stessa delle loro azioni.”


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